Articolo pubblicato nella rivista n.3/2023 di Civiltà del Lavoro
Produrre di più preservando i beni naturali. Una sfida ai limiti del possibile, che il settore agricolo ha già cominciato a porsi e che investe senza ombra di dubbio la questione dell’acqua. La terza tavola rotonda del convegno di Genova si è aperta con un’ampia riflessione del presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, intervenuto all’appuntamento dei Cavalieri del Lavoro con un video-collegamento dal Giappone.
Popolazione in aumento, terra lavorabile in diminuzione, cambiamenti climatici sempre più impattanti dove, per restare al tema dell’acqua, si passa dalla siccità alle alluvioni. A questa situazione si è aggiunta la guerra russo-ucraina, che ha reso il tema dell’approvvigionamento e della sicurezza alimentare di grande attualità. “Come Confagricoltura, due anni fa, abbiamo lanciato una società, Farm, proprio con lo scopo di promuovere un uso attento e consapevole sia dell’acqua che dei prodotti – ha spiegato Giansanti –. Oggi la tecnologia, la tecnologia satellitare, i sensori, i droni, permettono di dare dati agli agricoltori che in passato non avevamo e che ci consentono di irrigare in maniera importante, in maniera significativa rispetto a come abbiamo fatto fino ad oggi.
Per esempio, il modello di irrigazione a goccia in pieno campo permette di diminuire fino al 50% la quantità di acqua, consente di diminuire l’uso dei fertilizzanti di circa il 30%, con aumenti della capacità produttiva variabili tra il 20% e il 90%”. Al fine di applicare queste nuove tecniche, così come quelle dell’agricoltura di precisione con droni e immagini satellitari, è necessaria la formazione, “che andrà certamente aiutata e incentivata”. E qui Giansanti ha citato lo strumento di Agricoltura 4.0, legato a Industria 4.0: “In pochi anni siamo passati da 300 milioni di euro di investimenti a oltre 2 miliardi e 200 milioni”.
Un altro capitolo importante è la ricerca. “In questi giorni è stata votata, sia in Italia che a Bruxelles, la possibilità finalmente di sperimentare nuove varietà resistenti anche alla siccità. Non sono organismi geneticamente modificati – ha spiegato Giansanti –, ma sono piante che riescono a essere modificate a livello di laboratorio”. Una tecnologia che può rappresentare una svolta, soprattutto se si pensa che oggi il 75% di quello si mangia nel nostro Paese proviene da agricoltura irrigata. “Capite quanto è importante avere un modello produttivo che possa impattare sempre meno sul prelievo delle acque”, ha sottolineato il presidente di Confagricoltura.
Un’ultima considerazione di Giansanti ha riguardato il problema delle infrastrutture – con “un’età media degli invasi e delle dighe di circa 62 anni. Abbiamo quindi bisogno di investire molto di più rispetto a quello che stato fatto in questi anni” – e quello dei danni provocati dalle alluvioni. “L’Agenzia europea per l’Ambiente ha stimato che negli ultimi trent’anni il degrado generato dall’acqua e dalle piovosità eccedenti ha creato danni, in Italia, per circa 92 miliardi di euro. Nello stesso periodo, l’Ispra ha monitorato che sono stati fatti investimenti per 7 miliardi”, ha concluso. Con Giorgia Pontetti, Ceo Ferrari Farm e Cto EltHub, il dibattito sugli scenari futuri dell’agricoltura si è arricchito con una visione ancora più sfi dante.
L’ingegnere elettronico appassionata di spazio è partita infatti da una domanda ambiziosa: “Come faremo su Marte dove non abbiamo le risorse alle quali siamo abituati oggi, che sono preziose sulla Terra e che diventano ancora più preziose in una missione su un altro pianeta?”.
La risposta sta nell’agricoltura idroponica, realizzata mediante serre completamente artificiali nelle quali le piante usano soltanto l’acqua necessaria per la loro crescita. “Questo consente di risparmiare risorse – ha spiegato Pontetti – ma al contempo di non immettere CO2 in atmosfera perché l’ambiente è completamente sigillato. Non inquiniamo e non siamo inquinati perché se realizziamo un ambiente artificiale sterile, non siamo inquinati dall’esterno e non immettiamo contaminati in atmosfera. Risparmiamo energia al 90% e risparmiamo l’acqua per oltre il 90%. D’altra parte, se la prospettiva è quella di coltivare dal Polo Nord all’Equatore, “dobbiamo immaginare un nuovo modo di coltivare”. L’agricoltura idroponica si pone, inoltre, come un’alternativa possibile nelle grandi città, in quanto tanti edifi ci abbandonati potrebbero essere riconvertiti in “vertical farm” tali da consentire la produzione a chilometro zero.
Sono pratiche già in uso in Giappone, negli Stati Uniti. Giorgia Pontetti con la sua azienda Ferrari Farm l’ha realizzata nei pressi del Lago del Salto, in provincia di Rieti. “Volevo dimostrare che l’ingegneria poteva essere messa a fattore comune con l’agricoltura – ha affermato l’ingegnere –. Oggi c’è bisogno di complementarietà”. E a chi le contesta che in questo modo, con le serre artificiali, si perde il contatto con la natura Contatti risponde: “Noi abbiamo cinque sensi. Quando entri in una serra che è completamente ermetica e coltivi pomodori e basilico, non hai il tatto ma hai l’olfatto e vieni pervaso dall’odore della natura, che altrimenti nell’orto non sentiresti perché stai all’aperto. La natura si manifesta in mille modi, sta a noi vedere come apprezzarla”.
Dall’agricoltura si passa all’edilizia con Regina De Albertis, presidente Assimpredil Ance. La terza ospite della tavola rotonda, in collegamento da remoto, ha fatto una panoramica di come stia cambiando l’uso della risorsa acqua all’interno del settore perché “siamo tutti consapevoli, e anche l’occasione di questo convegno lo dimostra ancora di più, di come l’acqua sia l’oro del nuovo millennio e potrà essere addirittura causa di futuri confl itti mondiali se veramente non cambiamo passo”. Così come si è cominciato a calcolare la Carbon Footprint di cantiere, ovvero la quantità di CO2 prodotta all’interno dei nostri cantieri”, altrettanto si sta facendo per la Water Footprint, ovvero l’impronta idrica. “ll ciclo dell’acqua all’interno di una produzione edilizia – ha spiegato De Albertis – è molto vasto. Considerate che la nostra filiera impatta sull’80% dei settori produttivi”. “Per dare importanza al risparmio idrico bisogna partire dal progetto – ha sottolineato –, poi bisogna consolidare queste scelte con i materiali e gli impianti che vengono utilizzati nella fase di produzione”.
In generale, la tutela dell’acqua oggi per il settore si traduce in alcune azioni concrete: Qualche esempio? “Vuol dire predisporre sistemi di regolazione delle acque non contaminate per evitare il ristagno delle stesse, vuol dire gestire le acque usate in cantiere per il lavaggio delle auto betoniere e di altre attrezzature come acque reflue industriali o adottare sistemi di contalitri per evitare lo spreco eccessivo di acqua durante la fase di demolizione”, ha spiegato la presidente De Albertis. Il tutto senza dimenticare il ruolo giocato dal cliente finale, “che va educato per un consumo intelligente”. A chiudere la terza tavola rotonda è stato Carlo Pontecorvo, Ceo di Ferrarelle e Cavaliere del Lavoro, che riallacciandosi alle parole pronunciate dal presidente Flick, piuttosto severe nei confronti dell’uso commerciale dell’acqua, ha voluto spiegare che l’attività di un’azienda come Ferrarelle comprende aspetti molto più ampi.
Mostrando una immagine del Parco Fonti di Riardo, nell’alto casertano, Pontercorvo ha parlato di “coltivazione del giacimento acquifero”. Che cosa vuole dire? “Significa acquisire tutta una serie di dati meteorologici – ha spiegato –. Innanzitutto, abbiamo un’area di concessione di 1.200 ettari e su quest’area abbiamo stazioni meteorologiche con rilievi quotidiani. Acquisiamo ogni giorno livelli statici e dinamici della falda acquifera, facciamo circa 615 controlli al giorno sui cosiddetti ‘pozzi spia’, che sono oltre 40, cioè pozzi attraverso i quali si studiano tutte le caratteristiche del giacimento. Facciamo poi analisi periodiche sull’anidride carbonica” e il tutto confluisce in un database informatizzato che consente di applicare un modello previsionale di sfruttamento. “Il primo obiettivo – ha chiarito il Ceo di Ferrarelle – è ridurre gli sprechi o gli esuberi.
Il secondo è lasciare il rapporto tra l’emunto e la ricarica naturale sempre neutro. Quello che prelevo, quindi, è quello che si deve ricostituire naturalmente, è la ricarica naturale”. “L’attività che noi facciamo e la coltivazione che facciamo, credo che siano un esempio di sostenibilità ambientale”, ha aggiunto il Cavaliere del Lavoro. Benché ci sia un uso commerciale con un marchio presente sul mercato del largo consumo, “ci preoccupiamo di proteggere il giacimento dal quale emungiamo”.