Articolo pubblicato nella rivista n.3/2023 di Civiltà del Lavoro
È ispirata a Vittorio Cini, Cavaliere del Lavoro e protagonista della vita economica, politica e culturale italiana del Novecento, la mostra “Vittorio Cini. L’ultimo Doge”. L’esposizione, a Gardone Riviera, ospitata al Vittoriale degli Italiani fino al 10 settembre, intende illustrarne la figura e gli ideali attraverso una selezione di documenti originali e ventinove dipinti di artisti contemporanei.
Numerose opere ritraggono i luoghi nei quali Cini lasciò un segno indelebile, a partire dalla città di adozione, Venezia. Era infatti convinto che accanto al turismo fosse necessario sviluppare il porto industriale, allacciare la città alla terraferma, curare il patrimonio artistico e attivare correnti culturali con manifestazioni di respiro internazionale. A tutto ciò dedicò la sua vita. Fu così che, superate le vicissitudini della guerra, ricostruì l’isola di San Giorgio e ne fece la sede della Fondazione Giorgio Cini, istituzione di alta cultura internazionale e di educazione professionale marinara intitolata alla memoria del figlio Giorgio, scomparso in un incidente aereo. E ancora la zona industriale di Porto Marghera, del cui quartiere urbano gettò le basi e infine Roma, dove Mussolini gli affidò l’incarico di commissario generale dell’Esposizione Universale (E42).
Dal “Cavallo Blu” di Mimmo Paladino al “Colosseo Quadrato” di Alessandra Giovannoni, passando attraverso il segno di Riccardo Monachesi, Achille Perilli, Piero Pizzi Cannella e Emilio Vedova, vi è anche chi, come Vito Bongiorno, ha inteso celebrarne la ricchezza e la lungimiranza delle idee attraverso una pianta di Venezia realizzata con ceppi di carbone nero, dove solo l’isola di San Giorgio è interamente in oro.
Altre tele rinviano alle sue iniziative imprenditoriali e al suo contributo alla creazione e alla crescita di grandi organismi industriali e finanziari, tra cui la Compagnia italiana grandi alberghi; il Credito Industriale di Venezia; la Società adriatica di elettricità, di cui estese l’attività lungo tutta la fascia adriatica, fino all’Italia meridionale; la società italiana di armamento Sidarma e l’Ilvadi cui fu “commissario straordinario” e poi presidente.
Le sue vicende personali s’intrecciano con la storia d’Italia del secolo scorso. Fu “fiduciario del governo” per il riassetto della struttura agraria del ferrarese nel 1927, senatore del Regno dal 1934 e ministro delle Comunicazioni nel 1943, incarico quest’ultimo che lasciò dopo quattro mesi in aperto dissenso col regime, per finire l’indomani dell’8 settembre internato a Dachau.
“Il suo ricordo – spiega Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale – è offuscato dalla sua partecipazione al fascismo, che è stata un’adesione tecnica e non politica. Cini era un cultore della bellezza, come lo era D’Annunzio. Entrambi associati al regime, entrambi capaci di modificare i codici dell’Italia moderna”.