In tutte le storie, nelle biografie dei capitani di industria come nella vita delle aziende, c’è sempre un momento topico un piccolo episodio che finisce per dare il senso a tutto il racconto. Nel nostro caso quel momento arriva quasi alla fine del libro. La scena è ambientata a Cernobbio, sulla ghiaietta del parco di Villa d’Este, quella che le telecamere inquadrano almeno una volta all’anno affollata di banchieri, politici e giornalisti per il convegno Ambrosetti. Questa volta invece ad animare la scena sono i vertici di Luxottica, la multinazionale dell’occhiale fondata da Leonardo Del Vecchio nel 1961 e ormai diventata leader mondiale nel settore della vista. È l’estate del 2014, l’occasione è la convention annuale del gruppo.
Bilanci, progetti, analisi: al termine della giornata l’amministratore delegato Andrea Guerra riceve un biglietto riservato. Apre e legge: «Grazie di tutto». La firma è quella di Del Vecchio. Con cortesia, il fondatore ha licenziato il ceo. Il nodo è tutto in quel biglietto: quanto capitalismo familiare è in grado di delegare ai manager?
Articolo pubblicato il 4 Giugno da La Stampa