La pandemia, con le misure restrittive disposte per contrastarla, non le ha colte impreparate. «Durante l’emergenza sanitaria tutte le nostre aziende sono state in grado di eseguire collaudi da remoto in varie parti del mondo – dice Riccardo Cavanna, presidente di Ucima, l’associazione nazionale a cui fanno capo i costruttori di macchine per il confezionamento e l’imballaggio -. Le piattaforme erano già pronte ma non ancora pienamente sfruttate: le abbiamo sdoganate». Merito degli investimenti nella digitalizzazione, con i quali le imprese del packaging hanno dimostrato di essere entrate a pieno titolo nella galassia dell’industria 4.0. Una svolta che riguarda soprattutto, ma non solo, i grandi gruppi. Adesso si assiste a un grande fermento, con molti progetti in collaborazione con le università per il packaging tricolore. Un settore che l’anno scorso ha generato un volume d’affari superiore a 8,i miliardi, più dei principali competitor: i produttori tedeschi sono fermi, secondo le stime riferite al 2022, a 7,3 miliardi. E che sta toccando con mano le ricadute degli incentivi statali alla digitalizzazione del sistema manifatturiero: da quando sono stati introdotti, la cresdta media delle vendite in Italia è aumentata del 20%.
Il mercato interno, infatti, da quando sono state varate le politiche per l’industria 4.0, ha registrato risultati in continua crescita, anche in anni in cui la dinamica mondiale ha subito battute d’arresto. Ora i costruttori nazionali di packaging avvertono l’esigenza di fare rete. «Dobbiamo fare pressioni per costruire un grande made in Italy della meccanica avanzata – osserva Cavanna – e far comprendere alla politica che dobbiamo operare nell’ottica del medio e lungo periodo». L’obiettivo è quello di proporre al governo di programmare un nuovo credito d’imposta per i costruttori di beni strumentali, con una durata minima di 3-5 anni. Questo per spingere una crescita di circa il 15-20% del fatturato realizzato oltreconfine. L’export infatti è una colonna portante del settore, rappresenta il 70% del giro d’affari. Ma la strada è tracciata, nonostante le incertezze legate anche al fatto che se Italia e Europa stanno correndo verso una produzione 4.0 ciò non avviene in altre parti del mondo. Tanto che molte grandi imprese hanno già aperto anche la fase dell’applicazione dell’intelligenza artificiale.
Proprio come stanno facendo, nella packaging valley emiliana, colossi come Ima e Marchesini Group. Ima, quartiere generale a Ozzano, in provincia di Bologna, 53 stabilimenti tra Europa, Usa, Asia e Sudamerica (con ricavi che hanno raggiunto i due miliardi di euro), con il programma pluriennale Ima Digital sta preparando la produzione alle reali applicazioni dell’intelligenza artificiale, investendo anche su robotica collaborativa, automazione avanzata, big data, additive manufactoring, Iot. «La crescita del nostro gruppo è stata progressiva – spiega Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato di Ima – con alcuni momenti di andamento esponenziale. Una serie di motori ha alimentato la crescita con una precisa ricerca di equilibrio tra le spinte diverse. Il nostro export è pari a quasi il 90%. Ciò comporta una selezione continua che fa evolvere, che obbliga a continui adattamenti capaci di attrarre nuovi utilizzatori finali dei prodotti e dei servizi che offriamo. E il motore di tutto ciò è la capacità di innovazione».
Sulla stessa linea, Marchesini Group, che produce macchine per l’industria farmaceutica e cosmetica. Sede a Pianoro, sempre in provincia di Bologna, con venti stabilimenti produttivi in Italia e un fatturato di 52o milioni, dopo aver investito negli ultimi sei anni sulla digitalizzazione di tutte le aree dell’azienda, da quella del customer care all’area tecnica (per i collaudi virtuali delle linee), da tre anni si sta concentrando anche sull’intelligenza artificiale. «Stiamo investendo sulla programmazione della robotica, sui sistemi di ispezione dei farmaci, che riguardano sia la qualità del prodotto sia la qualità della confezione – osserva Pietro Cassani, amministratore delegato di Marchesini Group -. E investiamo in vari modi sulla digitalizzazione e sull’intelligenza artificiale: attraverso l’acquisizione di aziende che operano in questo campo, attraverso la formazione professionale e l’assunzione di personale con elevate competenze».
Nonostante un certo rallentamento degli investimenti, dovuto a fari fattori, tra i quali la corsa dei prezzi delle materie prime e le carenze del mondo dell’elettronica, la marcia del packaging non si ferma. Solo un ostacolo potrebbe frenarla: la mancanza di talenti, di giovani tecnici con alte competenze. «Non c’è solo il tema di un piano di incentivi statali in un’ottica di medio e lungo periodo – dice Cavanna -. Dobbiamo porre anche maggiore attenzione ai luoghi di formazione, come gli istituti tecnici, sui quali non investiamo abbastanza: le scuole tedesche sono maggiormente avanzate di quelle italiane, sulle quali lo Stato dovrebbe investire in modo massiccio. Il punto è che i nostri luoghi di formazione devono essere dotati dei mezzi per assicurare la migliore formazione possibile. Penso ai laboratori ma anche a personale docente di alto livello».
Articolo pubblicato il 27 aprile da Il Sole 24 Ore Rapporti