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“L’ITALIA DEL BIOTECH: una sfida da non perdere” di Rino Rappuoli | Civiltà del Lavoro 1/2024

11.06.2024

Articolo pubblicato nella rivista n.1/2024 di Civiltà del Lavoro

 

Nel 2022 il 50% dei farmaci approvati dalla Food and Drug Admistration americana non erano prodotti con processi chimici, ma usando organi­smi viventi, cioè con processi biotecnologici. Nello stesso anno i farma­ci biotech hanno rappresentato il 39% delle vendite globali, una crescita costante di un settore che nel 1999 rappresentava solo 1’8%. Tutti i pre­supposti fanno pensare che i prodotti biotech continueranno ad essere il settore più in crescita nel futuro.
Oggi Gli Stati Uniti dominano il settore biotech, l’Europa rincorre a distanza mentre paesi come Cina e India stanno accelerando. Nonostante la supremazia indiscussa, il 12 settem­bre 2022, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto di investire ulteriormente nel settore e ha emanato un ordine esecutivo che chiede di sfruttare la potenza della biologia per creare nuovi prodotti e servizi, aumentare i posti di lavoro, migliorare la qualità della vita e dell’ambiente e creare l’opportunità di crescita dell’economia americana.

La spinta a investire veniva anche dal fatto che i 12,5 miliardi di dollari investiti dall’agen­zia governativa BARDA (Biomedica! Advanced Research and Development Authority, ndr) nella operazione “warp speed” per sviluppare i vaccini contro il Covid, avevano avuto un ritorno sull’investimento per il settore pubblico di oltre il 600%.
Anche l’Europa sta valutando iniziative per potenziare la capacità imprenditoriale in questo settore. In Italia, un tavolo di lavoro per l’internazionalizzazione delle indu­strie nel settore delle biotecnologie, or­ganizzato dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale è un segnale nella direzione giusta. Tuttavia fi­no ad oggi, il nostro Paese è dominato da un’industria farmaceutica basata su pro­dotti tradizionali fatti da molecole chimi­che e, benché in questo settore abbia una industria di primo ordine, il Paese rischia di perdere questo primato se non entra anche nel biotech.
Il Pnrr sta dando una opportunità mai vista prima per poter entrare a far parte della farmaceutica del futuro. Progetti innova­tivi come quello sul Centro Nazionale per la terapia genica e farmaci a RNA, quello sulle malattie infettive emergenti, quello della Fondazio­ne Biotecnopolo di Siena che contiene il Centro Nazio­nale Antipandemico, e l’ecosistema Toscano sulla salute sono opportunità da non perdere.

Tuttavia, per non perdere l’occasione biotech, l’Italia ha bisogno di una serie di cose:

1. Una agenzia governativa che sia in grado di fare inve­stimenti strategici diretti, capaci di indirizzare la ri­cerca nella direzione dell’interesse nazionale. L’agen­zia dovrebbe fare pochi investimenti ma consistenti e favorire la nascita dei progetti che poi attraggono gli investimenti privati.

2. Velocità di decisione ed esecuzione. Il settore biotech corre ad una velocità mai vista nella farmaceutica clas­sica, può sviluppare vaccini personalizzati antitumo­rali nel giro di qualche settimana, anticorpi monoclo­nali e vaccini antipandemici nel giro di qualche mese. Ritardare gli investimenti significa arrivare quando i pazienti sono deceduti oppure quando altri hanno già trovato la soluzione. In entrambi casi l’investimento sarebbe inutile.

3. Ecosistemi eccellenti, di valenza internazionale. Il biotech in tutto il mondo si sviluppa in pochi luoghi in cui si concentrano capacità di ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico, finanza, capacità di creare e gestire start up, gestione di proprietà intellettuale, affari regolatori, gestione e esecuzione di prove cliniche. T ipici sono Boston, negli Stati Uniti, e il golden triangle con Londra, Oxford e Cambridge in Inghilterra. Ne servono pochissimi, non più di tre/cinque nel Paese, eccellenti, ben finanziati dal settore pubblico, indipendenti dalle università ma capaci di collaborare con esse.

4. Capitale umano. Servono più laureati nelle materie di scienze della vita in cui siamo al 14° posto in Europa. Va inoltre migliorata drasticamente la capacità di tenere nel nostro Paese i ricercatori e diventare competitivi nell’attrarre talenti stranieri. Per fare questo dobbiamo eliminare le cause che lo impediscono, ovvero la mancanza di meritocrazia, salari troppo bassi, carenza di ecosistemi biotech cui si possa lavorare in modo competitivo e la quasi impossibilità di accedere al mondo accademico italiano.

5. Accesso al capitale per evitare la situazione attuale in cui la maggior parte delle start up italiane sono incorporate in altri paesi, sia per la difficoltà burocratica di creare impresa, ma soprattutto per la difficoltà di accedere al venture capitai e al capitale azionario che globalmente è dominato dal Nasdaq americano, mentre in Europa è spezzettato in più di 20 mercati azionari.

6. Una agenzia regolatoria che sappia mantenere gli standard di qualità internazionali e capace di guidare con sicurezza e velocità i processi innovativi.

7. Capacità di manufacturing, favorendo gradualmente la transizione da farmaci classici a prodotti biotech.

In Italia mi piace portare due esempi di ecosistemi virtuosi che sono stati capaci di partecipare da protagonisti nel biotech mondiale, dimostrando come nel nostro Paese si può competere a livello internazionale, attraendo investimenti e creando posti di lavoro. Queste realtà hanno la potenzialità di avere un impatto molto forte e di fare da apripista per il settore biotech italiano, a patto che le sette condizioni citate sopra si avverino. Il primo esempio è quello della terapia genica, in cui il team italiano dell’ospedale San Raffaele di Milano, guidato da Luigi Naldini, ha portato a registrazione il primo prodotto al mondo in questo settore. La tecnologia inizialmente usata per la cura di una malattia rara come l’immunodeficienza causata dalla mancanza dell’enzima adenosina deaminasi è stata poi usata per far nascere diverse start up, una delle quali, Genenta, è quotata al Nasdaq americano. Il secondo esempio mi riguarda più da vicino e concerne vaccini e anticorpi che sono tra i settori chiave dell’era biotecnologica. Nel 1904, l’imprenditore scienziato Achille Sciavo fece la sua start up, che nel corso del secolo scorso è diventata l’azienda che ha sviluppato sieri, vaccini e diagnostici per l’Italia. Alla fine degli anni Cinquanta Albert Sabin, l’inventore del vaccino antipolio orale, si recò a Siena per sviluppare il vaccino per il mondo occidentale.

I proventi del vaccino antipoliomelitico furono usati per creare un centro di ricerca che nei decenni successivi ha sviluppato e registrato per primo nel mondo importanti vaccini innovativi come quello contro la pertosse, quelli contro tutti sierotipi di meningococco, quelli con adiuvante contro l’influenza stagionale e pandemica e recentemente ha contribuito al primo vaccino contro il virus respiratorio sinciziale. Questi vaccini oggi fatturano diversi miliardi all’anno e sono distribuiti in tutto il mondo. Grazie a questa storia centenaria oggi l’ecosistema biotecnologico senese conta di un polo industriale, un incubatore, una serie di start up a diversi livelli di maturazione, una delle quali, Filogen, è quotata alla Borsa di Milano. Nel settore dei vaccini e della immunizzazione passiva, l’ecosistema cresciuto intorno a Sciavo è l’unico in Italia e uno dei pochissimi in Europa in cui i prodotti sono stati inventati, sviluppati, prodotti e commercializzati per un secolo con la creazione del Biotecnopolo ha l’ambizione di diventare un pilastro per la sicurezza nazionale e uno dei trampolini di lancio su cui il paese può contare per giocare da protagonisti nella sfida delle biotecnologie.

Rino Rappuoli è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2021. È direttore scientifico della Fondazione Biotecnopolo di Siena, che contiene al suo interno il Centro Nazionale Anti pandemico (CNAP). Contribuisce alla nascita di GSK Vaccines, azienda biotecnologica del Gruppo Glaxo attiva in Italia nella ricerca, sviluppo, produzione e distribuzione di vaccini, di cui viene nominato amministratore delegato e responsabile ricerca e sviluppo e direttore scientifico a livello globale fino a ottobre 2022. Sotto la sua guida l’azienda investe in Italia in ricerca e sviluppo ed in infrastrutture e impianti produttivi, portando i collaboratori a oltre 2.000

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