La crisi innescata dal precipitare degli eventi in Ucraina suggella un anno di tensioni sui mercati del gas che ricorda crisi energetiche del passato in cui a tensioni geopolitiche si sono sommate quelle sui mercati delle commodity fossili (petrolio, carbone e gas), evidenziando in maniera anche brutale l’utilizzo strumentale dell’energia come arma di pressione tra aree di influenza. E quasi paradossale ricordare che nel 2014 l’Unione Europea aveva capito di dover ridurre il gas per usi civili. La via per limitare il consumo per usi civili è una sostituzione graduale delle caldaie per il riscaldamento con sistemi a pompe di calore la dipendenza dal gas, senza agire in maniera convinta, ritrovandosi ora in una situazione peggiore. Una società che non abbia accesso a energia abbondante, sicura, a buon mercato e pulita è in difficoltà nel progresso economico e sociale, e questa preoccupazione oggi tocca tutta l’Europa. Dalla fine della Seconda guerra mondiale i singoli Stati di quella che oggi è l’UE hanno definito singole politiche energetiche sulla base delle differenti risorse a disposizione e delle diverse visioni del futuro economico da parte dei governi. Nel tempo alcuni Stati hanno cambiato le loro politiche adattandole a situazioni in evoluzione nel mondo o a cambiamenti di visione politica e pressioni dell’opinione pubblica, altri le hanno mantenute più costanti. II risultato di questi mutamenti ha però determinato, a livello europeo, un parco di generazione di energia tra i più differenziati e bilanciati al mondo, con una interconnessione energetica tra le più articolate e densamente magliate. Una situazione quindi buona, anche se raggiunta in maniera abbastanza casuale. Le risorse fossili europee sono state ormai abbondantemente sfruttate, provocando una sempre maggiore dipendenza da zone extra europee per il crescente fabbisogno di petrolio e gas. Negli ultimi dieci anni si è poi assistito, prima in Europa e poi nel mondo, all’incredibile ascesa della competitività delle rinnovabili, grazie proprio ai programmi di sviluppo europei che hanno portato queste tecnologie a soppiantare a livello globale per motivi economici le fonti fossili in maniera irreversibile. La dipendenza dalle importazioni di gas è il principale problema energetico e di conseguenza anche geopolitico che oggi l’Europa si trova ad affrontare, così come nel 1973 lo shock petrolifero mostrò per la prima volta la fragilità di un sistema eccessivamente dipendente dalle fonti fossili. I singoli Paesi membri dell’UE dipendono dal gas in maniera molto differente, ma l’interconnessione dei mercati è ormai tale da far riverberare l’eccessiva dipendenza di alcuni Paesi su tutta l’eurozona. Quale in questo contesto la posizione dell’Italia? Dopo la Germania l’Italia è il Paese europeo che importa più gas ed è quindi un punto debole nella generale esposizione europea a questa commodity fossile. In comune con la Germania c’è anche l’eccessiva dipendenza da gas che arriva via tubo da paesi extra europei (per l’Italia da Russia, Libia, Algeria, Azerbaijan via Turchia) e la scarsa rapacità di rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL).
Articolo pubblicato il 1 Marzo dal Corriere della Sera