Nell’ondata di pessimismo elettrico che dilaga in Italia dopo le decisioni della Commissione Ue sulla fine del motore endotermico al 2035 fa eccezione la posizione di Enrico Loccioni, fondatore del gruppo marchigiano che lavora nel campo delle soluzioni per l’energia, la mobilità e ambiente (709 del fatturato viene dall’estero). Non è un costruttore di veicoli né fa componentistica ma ha diritto di parola perché lavorando per un numero incredibile di dell’automotive ( da Bosh a Ferrari, da Lamborghini e Volvo passando per Daimler e Audi ) ha il polso di cosa stia succedendo nel settore.
Loccioni è un sarto della tecnologia e crea soluzioni su misura per i suoi clienti. «Si parla di transizione all’elettrico ma spesso si trasmette l’idea di un processo lineare e continuo — dice —, invece il progresso scientifico va avanti per improvvise accelerazioni seguite da lunghe fasi di Implementazione e calma. Per cui non bisogna aver paura e in fondo noi italiani abbiamo il dna di Galileo Ferraris che inventò il motore elettrico cinque anni prima del più celebrato Nicola Tesla».
Da più parti si sostiene che l’elettrico metta in crisi una delle eccellenze italiane, rappresentata dalle competenze sul motore endotermico e dalla presenza di un numero incredibile di aziende della componentistica. La transizione, si sostiene, lascerà sul terreno 7o mila posti di lavoro e secondo le analisi del Mise sono le aziende operanti nel powertrain diesel/benzina — il 17% — che vanno considerate ad alto rischio per ritardi nella riconversione contro solo 4o tra piccole e medie imprese, startup e spin off dell’elettronica e dei motori elettrici considerate ad alto potenziale.
Articolo pubblicato il 18 luglio da L’Economia