« Torneremo a investire in Italia. Dopo una lunga stagione di acquisizioni all’estero che ci ha trasformato in una grande conglomerata internazionale con 3,8 miliardi di ricavi consolidati, ora il gruppo guarda soprattutto al nostro Paese, alle sue aziende di medie. dimensioni con potenziale di crescita all’estero. Come gruppo De Agostini abbiamo varato disinvestimenti per circa 2 miliardi. Ora siamo pronti per la nuova fase». Lo ha spiegato Marco Drago, nelle nuove vesti di presidente emerito, a una platea di 150 persone: un centinaio di membri delle famiglie Boroli e Drago che Do anni fa hanno rilevato le attività cartografiche da Giovanni De Agostini. Affiancati da 50 manager che hanno nel tempo contribuito a costruire la svolta del gruppo di Novara. Lo ha fatto nella cornice di Palermo dove tra venerdì e sabatnsi sono tenuti il management meeting e le assemblee di De Agostini e di BeD Holding. II punto di partenza è che il portafnel io investimenti tra editoria (De Agostini Editore), giochi (IGT, Lotto, Gratta e Vinci, controllata al 48,7%), media (Banijay/Atresmedia) e la finanza di DeA Capital (67,1%) ha ormai 15 annidi anzianità. «Vedremo di equilibrare i nostri investimenti con il traino dell’innovazione e in relazione ai nuovi megatrend», dice Drago che lascia appunto la presidenza di De Agostini dopo una stagione durata 25 anni al vertice del gruppo, un quarto di secolo che ha cambiato il profilo delle attività. «De Agostini ha accresciuto in modo significativo il proprio patrimonio, non solo finanziario, assicurando il benessere economico e rafforzando il senso di appartenenza a più generazioni di azionisti, ai collaboratori e alle loro famiglie», sottolinea Drago che proseguirà l’impegno come presidente della cassaforte BeD Holding.
Ora, forte di quella ricchezza creata, il gruppo guarda a un’ulteriore fase di crescita. E in un momento di incertezza toma a puntare sul Paese. Per la dinastia raccolta al Villa Igiea di Palermo è l’occasione per fare il punto su quanto costruito nel passato e sulla nuova strada da imboccare con un nuovo piano strategico. Un percorso che intreccia anche il passaggio di consegne dalla tersa alla quarta generazione. L’assemblea diDe Agostini ha nominato il nuovo consiglio che vede Lorenzo Pellicioli presidente (era amministratore delegato), la conferma di Enrico Drago e Nicola Drago — vice presidenti, quarta generazione —, Marco Sala, che assume l’incarico di amministratore delegato, Paolo Boroli, Pietro Boroli, Paolo Tacchini, Paolo Basilico, Mario Cesari e Marco Costaguta — già membri del precedente board — e Roberto Drago, nuovo consigliere. Marco Drago è stato nominato presidente emerito della capogruppo De Agostini. È il risultato del lavoro fatto in questi anni insieme agli azionisti, ai manager e agli stakeholder sulla governance e sulla successione generazionale. «Perché senza regole non si costruiscono realtà solide».
Avete varato operazioni come Seat, Toro, IGT che hanno fatto la storia del gruppo. Siete stati gli apri pista nel private equity. In questa fase, condizionata da inflazione, instabilità é incertezza, a cosa guardate?
«In una prima fase guarderemo all’Italia. Ci aspettiamo molte difficoltà per le imprese, ma è proprio in queste fasi che possono arrivare le opportunità. Ed essere liquidi è importante. In alcuni casi abbiamo ridotto l’indebitamento, in altri rafforzato la liquidità. Nelle casse della De Agostini ora ci sono oltre 5Oo milioni disponibili per i nuovi investimenti. La vendita delle azioni di Generali, per circa 40o milio- ni, è servita anche a questo. Avevamo completato un ciclo. Il resto della cassa è venuto dalla cessione della De Agostini Scuola a Mondadori per un valore d’impresa di oltre 15o milioni, infine la vendita di Lottomatica Videolot Rete e Lottomatica Scommesse a Gamenet per quasi un miliardo. Sono risorse finite nelle varie subholding che ora possono reinvestire, ciascuna nel suo settore. In oltre un secolo di storia gli azionisti hanno imparato a non temere i cambiamenti, affrontandoli con coraggio, determinazione e consapevolezza anche del ruolo sociale dell’impresa che, per chi lavora nel gruppo De Agostini, non costituiscono parole astratte, ma fanno parte del dna. Abbiamo cercato l’eccellenza nei settori in cui siamo presenti, mantenendo la massima trasparenza verso gli stakeholder con l’obiettivo di costruire un gruppo a vocazione sempre più internazionale e leader negli ambiti in cui opera».
Cosa cercate?
«Imprenditori che nei prossimi 12-24 mesi, malgrado le difficoltà, guardino a partner non solo finanziari. E alla nostra porta che possono bussare. Le famiglie che lavorano con prospettive di lungo periodo, che hanno obiettivi di crescita internazionale che in Italia sono tante. Famiglie imprenditoriali che magari hanno temi di successione; noi quei temi li conosciamo bene, li abbiamo superati e possiamo offrire competenze e percorsi».
Solo maggioranze?
«È l’obiettivo primario ma non escludiamo altre formule se un imprenditore ha dimostrato capacità. Avevamo preso Lottomatica quando gestiva solo il Lotto e l’abbiamo trasformata in un leader globale delle lotterie. Ci proponiamo come investitori che possono accompagnare la transizione di un’impresa da totalmente familiare a gruppo managerializzato, internazionale con una governance presa a modello». Insomma, sempre più holding di investimenti diversificati modello Warren Buffett? «Se guardiamo ai ritorni, negli ultimi 25 anni, abbiamo fatto meglio di Berkshire e Buffett ha go anni. Abbiamo appena inserito la quarta generazione. Non è solo questione di crescita».
In che senso?
«Non c’è crescita possibile se non è sostenuta da una governance che si sviluppa e diventa sempre più articolata, di pari passo al progetto del gruppo. Da noi ha funzionato, senza scossoni, e di fatto tutta la famiglia è rimasta, a eccezione di un paio di azionisti usciti 25 anni fa. Da allora nessuno ha più voluto vendere le sue azioni, anche per loro fortuna visto che il gruppo ha creato ricchezza. Tra gli anni `8o e ‘go c’erano 19 cugini primi, tutti dirigevano qualche attività del gruppo. Ma via via i familiari hanno aderito all’idea che era importante fare soprattutto gli azionisti. Da allora la governance vuole che i membri della famiglia siano presenti solo nei consigli delle holding De Agostini e BeD, che però vedono anche consiglieri indipendenti che danno un contributo fondamentale. Poi, ci può essere qualche esponente della famiglia anche nelle subholding di settore come De Agostini Editore o IGT ma solo in funzione della lo- ro comprovata esperienza. Il management ha una funzione chiave e costituisce la cinghia di trasmissione tra la holding e le subholding per prendere decisioni veloci ed efficaci. Questa struttura di governance facilita anche i passaggi generazionali».
Come siete arrivati a selezionare l’ingresso della quarta generazione?
«È stato un percorso durato dieci anni. Ci sono regole, per esempio un familiare deve aver lavorato all’esterno del grúppo per almeno 5 anni. Abbiamo comitati ad hoc, come la Commissione Attuativa, che lavorano alla selezione dei candidati familiari e ne seguono la carriera all’interno del gruppo. Questo consente di selezionare i talenti, di formarci e avvicinarli al gruppo. Circa 25 anni fa ho proposto queste regole che hanno creato qualche perplessità. Ma dopo un anno di dibattito il nuovo regolamento è stato approvato all’unanimità da entrambe, la terza e quarta generazione. Enrico e Nicola hanno compiuto un lungo percorso e dimostrato all’esterno del gruppo il loro valore. Enrico è stato ceo di Inditex Italia, con 5 mila dipendenti, e oggi è ceo di Play Digital in IGT. Nicola lavorava in McKinsey, ora guida De Agostini Editore e di De Agostini Publishing».
Articolo pubblicato il 27 Giugno 2022 da L’Economia