Questa primavera è stata uno stress-test continuo. Che però non ha mutato l’indole di Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, reduce pure lui dal lockdown («Non ero mai stato così a lungo nella mia Ravenna da quando ero liceale», ammette). Ora che ha ripreso a
girare per l’Italia, il capo dei banchieri evita di rispondere alle critiche sui ritardi negli aiuti («Ho fatto un fioretto…»), evidenzia timori ford per la stasi prolungata del turismo e offre due indicazioni sulle chiavi per la ripresa: agire sulla leva fiscale – rivedendo l’aliquota del 26% – per convogliare il risparmio dei “cassettisti” italiani verso le attività produttive e «definire con certezza e rapidità grandi investimenti» sui quali convogliare i fondi Ue che arriveranno.
Ma, soprattutto, ci tiene ad indicare un proposito all’orizzonte: «Il Paese non deve rassegnarsi di fronte alle previsioni di una recessione tremenda. Non sarà per forza così: i fatti economici sono determinati dalla volontà e responsabilità di tutti gli attori. Non mi rassegno all’idea ineluttabile e inevitabile che l’autunno sarà segnato da una crisi profonda. Gli italiani sono fantasiosi e pieni di risorse nei momenti di difficoltà. Lo spirito negativo non deve prevalere». Le banche come sono uscite dal lockdown? Innanzitutto non ci sono mai entrate. Gli sportelli sono rimasti sempre aperti. Anzi, si è lavorato di più per dar corso a una quantità eccezionale di pratiche legate all’emergenza, per di più svolte “in modalità remota”: oltre 2,6 milioni di richieste di moratoria sui prestiti, per 277 miliardi d’importo, e 669mi1a domande di finanziamenti garantiti poi trasmesse al Fondo di garanzia. Si viaggia a un ritmo di quasi un miliardo d’importi al giorno. Numeri forti, in effetti.