“Come Cavalieri del Lavoro avvertiamo forte la responsabilità verso il vostro futuro” afferma con quel carisma speciale di chi ha sempre saputo fare sintesi tra le ragioni dell’impresa e quelle della filantropia Marino Golinelli nel “suo” Opificio, in occasione della presentazione del Premio Alfieri del Lavoro. A fare da cornice alla presentazione, promossa dal Gruppo Emiliano Romagnolo dei Cavalieri del Lavoro lo scorso 15 aprile, un articolato dibattito su “Etiche e nuove estetiche della Comunicazione” animato dal presidente del Gruppo Emiliano Romagnolo Lorenzo Sassoli de Bianchi, il presidente del Gruppo Toscano Piero Neri, il presidente della Fondazione Pubblicità Progresso Alberto Contri e Sebastiano Maffettone, ordinario di Filosofia Politica presso la Luiss e coordinatore del Comitato scientifico del Collegio Universitario dei cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani”.
E tra i protagonisti dell’incontro, come da prassi, ci sono anche loro, gli allievi del Collegio, bersagliati dalle domande dei candidati Alfieri delle scuole toscane, emiliane e liguri su indirizzi, metodi, opportunità del Lamaro Pozzani.
Piero Neri: Le ricadute esistenziali delle nuove tecnologie
“Il tema della rivoluzione digitale è stato al centro del nostro convegno nazionale di Torino, oggi più in particolare ci occupiamo dell’influsso del nuovo sistema mediale sui processi comunicativi e sulle persone”. Nell’introdurre i lavori Piero Neri mette subito in chiaro le ricadute esistenziali delle nuove tecnologie della comunicazione, si tratta di dover e saper trovare il modo di rispettare i diritti delle persone con l’esigenza del rispetto della realtà. Compito non semplice di per sé e reso oggi ancora più complesso dalla facilità con cui si può “bombardare il pubblico di false notizie, di elementi contraddittori per manipolarlo”. Il Cavaliere ricorda la il documento redatto dal Consiglio Pontificio per le Comunicazioni Sociali nel 2000 dove già si mettevano in evidenza la necessità di intervenire facendo appello alla “responsabilità dell’uomo e al dovere di porre la persona umana e la comunità umana come fine e misura dell’uso dei mezzi di comunicazione umana”.
Le tecnologie, conclude Neri passando dall’etica all’estetica dell’Ict, possono produrre nuove forme spaziali, nuovi suoni, nuove forme percettive per le quali categorie maturate sinora non sono più adatte.
Sassoli de’ Bianchi: Le parole sono abusate, così perdono rilevanza
Traccia un rapido excursus storico Lorenzo Sassoli de Bianchi, parla della scomparsa dei corpi intermedi e dell’erosione di credibilità delle classi dirigenti che in qualche modo l’ha preceduta. “La situazione culturale sostanzialmente coesa del dopoguerra non c’è più da tempo. Oggi chi indirizza l’economia e la politica non è più riconosciuto, a una solidità di punti di riferimento si è sostituito un pluralismo che ha condotto a un’indubbia apertura della società ma anche a un indebolimento del comune sentire. Oggi è difficile sentire l’appartenenza a una comunità”.
Le ragioni di questo sfilacciamento sono anche nell’uso sempre meno consapevole del linguaggio, arrivando al paradosso per cui proprio il profluvio di parole che circoscrive il nostro ambiente quotidiano fa sì che le parole non abbiano più rilevanza. “Le parole sono abusate e per questo diventa importante mettere in gioco la responsabilità, la dimensione etica. Più è sano il contesto nel quale riusciamo a muoversi meno sarà il rischio di incorrere nella sindrome delle finestre rotte, ovvero nella percezione di un degrado sociale”. Il progresso tecnologico ci ha aiutato, nessuno ma va evitato il rischio di guardare il mondo attraverso le lenti della tecnologia invece di vedere la tecnologia attraverso le lenti dei bisogni umani.
Alberto Contri: Dai CroMagnon al Big Bang del web
Delle conseguenze del Big Bang del web parla Alberto Contri, studioso e storico presidente della Fondazione Pubblicità Progresso. “Le innovazioni rese possibili da quando, il 6 agosto del 1991, Tim Berners Lee mise sulla rete il primo sito web grazie anche al rivoluzionario meccanismo dell’interattività, hanno modificato in maniera straordinaria il modo di rapportarsi tra le persone, il modo di lavorare, studiare, divertirsi e fruire dei media. I nostri figli e ancor più i nostri nipoti dovranno inoltre vivere sempre di più immersi nell’Internet delle cose”. Ma c’è un ma: i nostri figli saranno schiavi o padroni delle innovazioni?
Contri ricorda la sua esperienza di docente di Comunicazione sociale all’università e di come gli studenti ora vivono di “frammenti”: “gli studenti collezionano frammenti, e al momento di fare una sintesi, interloquire in un esame, scrivere una tesi, restituiscono altrettanti frammenti”. Si tratta del sintomo di un pensiero destrutturato. Ludwig Wittgenstein spiegava che “Dato che il linguaggio è il mezzo con cui l’io si relaziona con la realtà, se è corrotto il tuo linguaggio, significa che è corrotto il tuo rapporto con la realtà”. Contri cita l’epistemologo per denunciare come i più giovani oggi rischiano di essere perennemente connessi eppure fuori dal mondo.
Contri conclude allargando ulteriormente lo sguardo e invita la platea a riflettere sul fatto che siamo sempre più schiacciati da una molla le cui spire hanno cominciato a comprimersi molto lentamente almeno 60.000 anni fa. Il primo grande “breaktrough” (rottura evolutiva) nella storia dell’uomo risale al periodo dei Cro-Magnon, quando i primi uomini cominciarono a parlare tra loro. Il secondo grande breaktrough è stato la nascita della scrittura e si è verificato grosso modo solo 50.000 anni dopo, intorno al 1500 a.C. Dovranno ancora passare altri 3000 anni per arrivare al terzo breaktrough, l’invenzione della stampa a caratteri mobili fusi in piombo ad opera di Gutenberg, nel 1445. Passeranno ancora altri 400 anni per arrivare ad un periodo in cui nel campo della comunicazione e non solo c’è poi stata quasi una importante invenzione all’anno: quotidiani, fotografia, cinema, telefonia, telegrafia, radio, televisione, computer e digitalizzazione dei segnali, per arrivare al Big Bang del web negli anni novanta.
Maffettone: Le macchine non sono un destino
A chiudere il dibattito è Sebastiano Maffettone, che nel riannodare le fila di chi lo ha preceduto invita a riflettere sulle potenzialità e i limiti delle macchine pensanti. Il filosofo ricorda Marx (“Sia detto per inciso – osserva con ironia – Marx ha scritto sul comunismo 300 pagine, sul capitalismo 30mila. Questo significa che pensava di conoscere molto bene il secondo e poco il primo, eppure sappiamo come è andata a finire”). Quello che sta accadendo adesso assomiglia molto, secondo Maffettone, all’alienazione. “Siamo alienati rispetto alla macchina eppure le macchine sono alienate rispetto a se stesse nel senso che non possono rendere consto di quello che fanno”.
L’intelligenza artificiale, per come si è evoluta e affermata ha segnato la vittoria dell’approccio del machine learning secondo la logica bottom-up e non top-down. La macchina cioè sa raccogliere una quantità incredibile di dati e li incorpora in informazioni. Ma la macchina sa riconoscerli? E qui Maffettone chiama in causa la categoria hegeliana del “riconoscimento”. “Si tratta di un’esigenza primaria per l’uomo, su questo ho avuto modo di portare avanti un progetto significativo con LegaCoop con cui abbiamo sviluppato dei sistemi digitali di tipo social collegati all’idea del riconoscimento. Dobbiamo metterci nelle condizioni di non accettare quello che ci gira intorno come un destino, dobbiamo capire che è nelle nostre possibilità mutarne la direzione”.