«La nostra fragilità è come quella del vetro, inventato dall’uomo con fuoco e ferro, trasparente come l’acqua, duttile come la creta ma eterno come l’oro. Capace di dare luce al buio e di farci vedere le stelle»: Joan Crous, catalano ma da tempo in Italia, non è solo un artista ma anche il profeta di un movimento che intende unire arte ed etica. Non a caso accanto al suo atelier, a Bologna, vi è una cooperativa sociale, da lui creata e gestita, in cui insegna la manualità a giovani problematici. Sei sue opere animano l’edizione di Doudo (Dare per dare), Biennale che promuove l’arte abbinata all’altruismo. Non a caso il tema di questa edizione è Fragil. «Se accettiamo la nostra fragilità possiamo trasformare l’apparente vulnerabilità nel suo opposto», dice Alessandra D’Innocenzo, fondatrice e presidente di Doutdo. «Se le fragilità di uniscono e diventano comunità possono produrre innovativi e potenti risultati, la vulnerabilità dei singoli diventa forza collettiva per difendere valori condivisi e il bene comune».
Questa Biennale (dal 3 febbraio ad Artefiera) e l’attivismo etico-artistico di Crous supportano una delle più interessanti (e vincenti) iniziative pubblico-private in campo sanitario, l’Hospice Seragnoli, frutto della collaborazione tra l’imprenditrice Isabella Seragnoli, l’università e le aziende Asl. Si tratta di una struttura che si occupa dell’assistenza e cura di pazienti affetti da malattie inguaribili e delle loro famiglie e compie attività di formazione e ricerca sulla medicina palliativa. 58 posti-letto, 17mila pazienti ricoverati dal 2002 a oggi e in più l’Hospice pediatrico: si può fare impresa in modo virtuoso, così come portare alti valori nell’arte. «Un dare-per-dare che si oppone, o quanto meno si discosta da un utilitaristico o egoistico dare-per-ricevere», conclude Crous. «Una restituzione di senso e valore che non ricerca o pretende nulla in cambio».
Articolo pubblicato il 24 gennaio da Italia Oggi