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SINTESI IN PRIMO PIANO – 11 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:
– Di Maio sfida i parlamentari ribelli
– Pd, il piano di Zingaretti
– L’Istat: produzione industriale e Pil restano deboli
– Mossa Usa: sanzioni all’Iran

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Stampa 
Autore:  Capurso Federico 
Titolo: 5Stelle, Di Maio ai ribelli “Se volete, sfiduciatemi” Successione, corsa a tre – Di Maio sfida i ribelli grillini “Provate pure a sfiduciarmi”
Tema: M5S

Luigi Di Maio pensa di sfidare i dissidenti agli Stati generali di marzo. «Mi sfiduciassero se ne hanno la forza». Una sfida, non una resa. Ma è trapelato tutto troppo in fretta. E in modo incontrollato. Tanto da far sospettare al ministro degli Esteri che dietro tutto questo ci sia Giuseppe Conte. O meglio, qualcuno che vuole accrescere il potere politico nelle mani del premier. Perché, è il suo ragionamento, «io in questo modo ne esco indebolito. E chi indebolisce me, rafforza lui». Ieri ha incontrato il “team del futuro”, il gruppo di sei big che compongono la segreteria politica grillina, e ha fissato le date degli Stati generali: dal 13 al 15 marzo. In quei giorni, ogni cosa tomerà in discussione. Si potra parlare di modifiche allo Statuto, di una nuova Carta dei valori, di rendicontazioni. «Tutto è migliorabile», ha ammesso Di Maio durante l’assemblea congiunta dei parlamentari M5 S, «ma criticare attraverso i giornali non è il metodo giusto. Ci sarà spazio per discuteme insieme agli Stati generali». Giorni in cui i senatori che hanno presentato il documento per defenestrare lui e Davide Casaleggio chiederanno di mettere ai voti le loro proposte. A preoccupare il capo politico, però, è soprattutto il nucleo romano che fa riferimento a Paola Taverna e Roberta Lombardi, i cui propositi, «non vengono suppostati, ma — dicono nel M5S – nemmeno contrastati da Beppe Grillo». D’altronde, Di Maio continua a dire l’opposto di ciò che chiede Grillo. Il fondatore vorrebbe il suo Movimento ben piantato nel campo progressista, mentre lui difende la «terza via», quella dell’equidistanza da Pd e Lega. E a Roma c’è Alessandro Di Battista. Anche lui vuole la testa di Di Maio, ma gioca una partita diversa da quella di Taverna e Lombardi, incentrata sulla caduta del governo e sul ritorno allo spirito sovranista.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Di Maio sotto attacco sfida i ribelli M5S – Lo sfogo di Di Maio sui ribelli del M5S «Mi dimetto e vediamo cosa sanno fare»
Tema: M5S

Probabilmente l’architrave dei pentastellati sarà definita o illustrata prima degli Stati generali, che si dovrebbero tenere ad Assisi (in seconda battuta ci sono Torino e Roma) tra il 13 e il 15 marzo. Secondo le indiscrezioni, Di Maio ha intenzione di lanciare una nuova struttura, una «gestione più collegiale». L’idea è di un doppio Movimento, a due livelli: uno governativo e l’altro, di fatto, che gestisca il «brand» Cinque Stelle. E non solo. Saranno lanciate anche altre novità. La più rilevante riguarda Rousseau: la piattaforma smetterà di essere un corpo autonomo (per venire incontro anche alle lamentele dei parlamentari sospettosi e stanchi dei versamenti verso un ente «terzo»). Rousseau — con i suoi costi e la sua struttura — verrà «inglobato» nel Movimento. Davide Casaleggio diventerà responsabile del sistema operativo. Il mantra sarà «non solo web» e il Movimento diventerà sempre più partito: saranno destinati fondi ai territori per le iniziative e si darà vita a un nuovo progetto civico parallelo che tenda ad integrare tutte le realtà civiche del Paese. Ma la kermesse di marzo sarà anche il momento dello scontro, il momento in cui il Movimento dovrà scegliere che strada imboccare. E che forse sfronderà ancora di più i Cinque Stelle. Agli Stati generali i vertici si confronteranno se scegliere di essere la terza via (tra centrosinistra e centrodestra) della politica, «l’ago della bilancia» come ha più volte detto Di Maio che caldeggia questa soluzione, o cercare un’alleanza stabile con i dem, linea su cui sono orientati Beppe Grillo e l’asse ortodosso. Una resa dei conti, in cui i vertici immaginano una partecipazione «corale» dei gruppi, per vidimare o smentire definitivamente la storia del posizionamento nel «campo progressista» dei Cinque Stelle. Che quello sia il ring designato è chiaro anche dal messaggio che alcuni governisti lanciano ai senatori ribelli: «Se vogliono discutere della forma del Movimento possono farlo agli Stati generali. Ma non ci tedino ogni giorno sullo stesso argomento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Taglio dei parlamentari, si al referendum – Si voterà sul taglio dei parlamentari Le firme last minute dei leghisti
Tema: taglio parlamentari

Il dato di cronaca è che il referendum si terrà, e dunque saranno gli italiani a decidere direttamente, con il loro voto, se confermare o meno il taglio dei parlamentari già approvato dalle Camere. Il vero dato politico è che al termine di due giorni di fibrillazioni, dopo il ritiro delle firme da parte di un gruppo di parlamentari vicini a Mara Carfagna, è uscita allo scoperto la Lega, che ha aggiunto sei firme in parte determinanti, rivendicando la scelta direttamente con le parole di Matteo Salvini, secondo il quale in questo modo si rafforzano le ipotesi di un voto anticipato, paradossalmente proprio per non fare svolgere il referendum e mantenere l’attuale assetto parlamentare, che fa gola, anche se non si può dichiarare, a molti partiti. Alle fine le firme depositate in Cassazione sono 71, sette in più del necessario. La richiesta è appoggiata da esponenti di tutti i gruppi presenti a Palazzo Madama, con la sola eccezione di quello di Fratelli d’Italia. «La nostra scelta di non firmare questo referendum — spiega la leader FdI, Giorgia Meloni — è coerente con i nostri voti in Parlamento, sempre a favore della diminuzione dei parlamentari. Una posizione che confermeremo quando si dovesse celebrare il referendum, chiedendo agli italiani di votare sì al taglio». Tra i 71 sostenitori c’è un solo rappresentante, Gianni Marilotti, dei Cinque Stelle che hanno sempre fatto della riforma la propria bandiera. Il referendum infatti ritarda l’entrata in vigore della riforma e quindi apre uno spazio temporale ipotetico che manterrebbe il vecchio sistema in caso di crisi di governo. Visto che in tanti rischiano di non essere rieletti con la riforma, una crisi prima del referendum diventa più appetibile per tanti. E infatti in serata è direttamente Matteo Salvini a spiegare la vera ragione del sostegno leghista: «Sostenere il referendum sul taglio dei parlamentari, legge che abbiamo promosso e votato in Parlamento, rappresenta anche Il tentativo politico e democratico per mandare a casa questo governo pericoloso e incapace. La nostra priorità è restituire la parola agil italiani al più presto». Il Movimento attacca duramente la Lega per questa decisione. «Non hanno resistito alla voglia di tenersi strette le poltrone e a quanto pare è arrivato l’aiutino leghista», denunciano fonti 5S.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Scafi Massimiliano 
Titolo: Adesso Salvini si rimangia il taglio dei parlamentari – Sorpresa referendum: il blitz della Lega blocca il taglio dei parlamentari
Tema: taglio parlamentari

Salvini ha dovuto lasciare le sue impronte su un’iniziativa legittima, forse pure ragionevole, però alquanto impopolare. La spiegazione? Semplice: «Abbiamo dato un contributo – dice l’ex ministro dell’Interno – per avvicinare la data delle elezioni e mandare a casa questo governo di incapaci». La questione è scivolosa. Infatti, come convincere i cittadini che mille parlamentari sono meglio di seicento? Come dimostrare che la sforbiciata, tanto voluta dai Cinque stelle, è più un’operazione di immagine che di vero risparmio? Tra l’altro la Lega quella riforma l’ha votata. I 5s l’hanno subito messo in mora: «Sovranisti da poltrona», attacca il viceministro allo Sviluppo Stefano Buffagni. Francesco D’Uva si chiede «che cosa voterà Salvini, forse?». E Federico D’Incà, ministro per i rapporti con il Parlamento: «E curioso notare che a volere il referendum siano partiti che hanno approvato la legge. In situazioni normali sarebbe una contraddizione, per certa politica è consuetudine». Allora, perché? La questione non si inquadra bene se non dentro il contesto generale, se non la si collega alla riforma elettorale di tipo proporzionale, alla tedesca e con uno sbarramento al cinque per cento e il diritto di tribuna, presentata proprio ieri dalla maggioranza, e se non la si mette in rapporto alla decisione che tra qualche giorno la Consulta dovrà prendere sull’ammissibilità di un altro referendum, stavolta in senso maggioritario, richiesto da Roberto Calderoli. E soprattutto, non si capisce la mossa di Salvini se non la si inserisce nella cronica instabilità dell’esecutivo Conte. Senza la consultazione popolare, questo il ragionamento del segretario del Carroccio, la legislatura durerebbe fino alla scadenza naturale, visto che al prossimo giro non ci sarà posto per tutti e gli attuali parlamentari farebbero carte false per allungare il brodo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  D’Alimonte Roberto 
Titolo: Se torna il proporzionale, addio stabilità di Governo – Il proporzionale del brescianellum pietra tombale sui governi stabili
Tema: legge elettorale

Si torna al passato. I partiti della maggioranzadi governo hanno presentato in questi giorni un progetto di legge che reintroduce un sistema elettorale proporzionale. Gli è già stato appiccicato l’etichetta di Germanicum, come se fosse simile a quello in vigore in Germania, ma non è così Di tedesco ha solo una soglia al 5% e anche questa non è detto che sopravvivrà al passaggio parlamentare E perdi più, per ridurre l’impatto della soglia, è stato previsto un complicato meccanismo per dare ai partiti più piccoli una sorta di diritto di tribuna. Il tedesco con i suoi collegi uninominali è una altra cosa. Brescianellum, dal nome del primo firmatario del progetto, è l’etichetta che gli si addice di più. La pura e semplice verità è ch edeputati e senatori veranno eletti con una formula proporzionale La conversione dei voti in seggi verrà fatta a livello nazionale, e non circoscrizionale come in Spagna. I seggi assegnati ai partiti che ne avranno diritto verranno poi distribuiti a livello di circoscrizioni e di collegi plurinominali. Senza voto di preferenza Se questo sistema elettorale verrà approvato finirà per certo la stagione del bipolarismo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verderami Francesco 
Titolo: Settegiorni – Il governo (per ora) non rischia – Nessuno (oggi) vede le urne Ma la legge elettorale può cambiare gli equilibri
Tema: legge elettorale

Per una volta maggioranza e opposizione concordano: è più facile che Meghan mandi in crisi la monarchia britannica piuttosto che i grillini mettano in crisi il governo italiano. Perciò le difficoltà del Movimento appaiono ad alleati e avversari per quel che sono: una crisi politica sfociata in un regolamento di conti interno, che per ora non si proietta sulla stabilità dell’esecutivo, siccome persino i dissidenti 5S lasciano i gruppi ma si dichiarano più contiani di Conte. Per dirla con un ministro dem, «tutti vogliono contare ma nessuno vuole andare a casa». L’ha capito anche Salvini, che — nella speranza di dare una spallata alla legislatura — è stato costretto a uscire allo scoperto, appoggiando il referendum per il taglio dei parlamentari. E’ una mossa che svela una debolezza, perché lascia intuire quail rischi potrebbe correre se non riuscisse ad andare al voto entro primavera, e perché così facendo si è esposto all’accusa di incoerenza. Anche degli alleati: «Siamo gli unici ad aver votato la riforma e a non aver firmato il referendum», ha infatti puntualizzato la Meloni. Com’era previsto, sono iniziati i giochi di Palazzo. E com’era prevedibile, sono aumentati gli scontri tra grlllini, monitorati dagli alleati che già discutono sul prossimo leader del Movimento e sul ruolo che Di Maio si starebbe ritagliando, come capo delegazione 5S a palazzo Chigi. Visto da vicino l’altra sera in Consiglio dei ministri, il titolare della Farnesina è parso ai colleghi del Pd «molto sotto tono rispetto al solito», rispetto a quando alza la voce per far valere la forza dei numeri. Non è chiaro se il suo umore fosse legato ai problemi di partito o perché «non aveva ancora smaltito l’arrabbiatura verso Conte», che l’aveva tenuto all’oscuro del doppio incontro Haftar-Sarraj, poi fallito. Una cosa è certa: quando si apriranno le urne in Emilia Romagna e Calabria, oltre a vedere chi avrà vinto bisognerà leggere le percentuali grillane. Ad analizzarle con particolare attenzione saranno Zingaretti e Salvini, rappresentanti a vario titolo di quel partito trasversale per il ritorno al voto che oggi è minoranza in Parlamento.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Giannini Massimo 
Titolo: Intervista a Nicola Zingaretti – La sfida di Zingaretti “Vecchio Pd addio ecco la mia svolta”
Tema: Pd

«Vinciamo in Emilia-Romagna, e poi cambio tutto: sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito…». Era il 10 gennaio del 49 avanti Cristo e, secondo Svetonio, Giulio Cesare passava il Rubicone. È il 10 gennaio 2020, e anche Nicola Zingaretti, nel suo piccolo, il suo dado lo ha tratto. Comunque vada il voto alle regionali, dopo il 26 gennaio il Pd non sarà più lo stesso. Il segretario ha deciso, e spiega così la sua strategia: «Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura. In questi mesi la domanda di politica è cresciuta, non diminuita. E noi dobbiamo aprirci e cambiare per raccoglierla. Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzato in ogni angolo del Paese…». Detta altrimenti, e al di fuori del politichese: il Partito democratico si scioglie, e nasce un nuovo soggetto politico più vasto e plurale, con l’obiettivo di includere (non solo nella raccolta del consenso, ma anche nella ridefinizione delle strutture e degli organigrammi) la società civile, i movimenti, le sardine, tutte le forze democratiche, progressiste e ambientaliste. Magari cambiano anche simbolo e nome, benché per adesso (a due settimane dalla madre di tutte le battaglie) l’argomento sia ancora e comprcnsibilmente un tabù.  Il riformismo italiano è ancora una volta di fronte al solito, maledetto bivio: cambiare o morire. Zingaretti vuole cambiare, per non morire insieme a un governo anomalo che non può reggere se a sua volta non cambia. E il suo ragionamento parte proprio da qui, da un esecutivo che arranca senza progetto, da una maggioranza che galleggia senza identità, e da un Pd sospeso tra la paura di consegnare il Paese a Salvini e l’ansia di non declinare insieme a Di Maio, la tentazione di nascondersi dietro a Conte e l’ossessione di non farsi sabotare da Renzi. C’è un problema politico “congiunturale”: «È inutile che ci giriamo intorno, non possiamo fare melina fino al 26 gennaio, non possiamo fare ogni giorno l’elenco delle cose sulle quali non c’è accordo nella maggioranza…».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo 
Titolo: Salvini in guerra contro l’antisemitismo “E invito Segne al mio convegno”
Tema: Lega

Un convegno per approfondire e prevenire “Le nuove forme dell’antisemitismo” – questo il titolo non sarebbe neanche una notizia, di fronte ai dilaganti episodi di violenza, minaccia e discriminazione ai danni degli ebrei, nell’Europa (e nell’Italia) del 2020. Ma a trasformare l’appuntamento fissato per giovedì mattina in Sala Zuccari al Senato in un evento è il fatto che sia stato «fortemente voluto e organizzato» da Matteo Salvini. «Interrompo la campagna elettorale in Emilia Romagna e in Calabria solo un giorno, giovedì 16, per presenziare al convegno, è una cosa a cui tengo molto», racconta il segretario della Lega nel giorno in cui ha lasciato Reggio Emilia per puntare verso l’altra campagna più a Sud: da Catanzaro a Crotone. Gli inviti ufficiali per l’incontro che avrà una connotazione «culturale e scientifica e non politica», tengono a sottolineare dalla Lega, stanno partendo in queste ore, la gran parte lunedì. Esperti internazionali, alcuni intellettuali da Israele, direttori delle principali testate giornalistiche italiane, il sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro (M5S), perchè alla sua delega fa capo il comitato governativo per la celebrazione del Giorno della Memoria. Il segretario della Lega tirerà le conclusioni. Tra gli invitati, anche Liliana Segre. Anche se la sua presenza non è affatto scontata. L’invito tuttavia ha un peso.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Lops Vito 
Titolo: Borse mondiali, scampato pericolo Spread giù a 150 punti – Le Borse globali al record storico, i listini superano la crisi con l’Iran
Tema: Borsa

Le Borse superano tutto sommato indenni la settimana ad alta tensione in Medio Oriente. I tre principali indici di Wall Street hanno centrato nuovi record nella seconda settimana finanziaria del 2020. In Europa, il Ftse Mib di Piazza Affari ha messo a segno un rialzo settimanale dell’1,35%, ancora meglio è andata per il Dax di Francoforte (+2%), mentre l’indice Stoxx Europe 600 ha riagganciato il record del 27 dicembre. A conti fatti è stata una settimana di forte contrazione anche per il petrolio che dopo un picco in area 72 dollari al barile (qualità Brent) ha visto flettere il prezzo a 65 dollari registrando un calo del 9% dai massimi e del 5% rispetto ai valori con cui aveva esordito lunedì. È accaduto che dal pomeriggio di mercoledì sono arrivate dichiarazioni distensive da parte della Casa Bianca, che hanno fatto il paio con quelle del ministro degli Affari Esteri iraniano, Javad Zarif, sull’intenzione di non voler proseguire nelle operazioni militari. A quel punto la volatilità sui mercati è tornata sui livelli consoni ai momenti favorevoli al rischio (indice Vix intorno ai 12 punti) e i capitali sono ritornati sulle azioni, a svantaggio dei beni rifugio che, così come si erano gonfiati in prima battuta, si sono poi rapidamente sgonfiati. La questione Usa-Iran (non del tutto archiviata) è passata in secondo piano e si è tornato a parlare di intesa tra Usa e Cina sulla guerra dei dazi, il market mover che ormai tiene banco dalla primavera del 2018. I prossimi giorni potranno essere quelli decisivi per la firma della “Fase Uno” dell’accordo sulla tregua commerciale.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Netti Enrico 
Titolo: Boccia: lo sviluppo sia al centro del tagliando di Governo
Tema: produzione in calo

«La nostra idea è molto chiara: speriamo che in questo tagliando che il governo intende fare a gennaio la questione economica del Paese sia prevalente per risolvere anche i grandi nodi aperti» ha detto ieri a Milano Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria a margine della firma del protocollo con Confimprese .«Ci sono tanti nodi aperti – ha aggiunto- e non possiamo parlare ogni giorno solo delle emergenze ma bisogna guardare al futuro del Paese con un piano di medio termine di una politica anticiclica che metta al centro l’incremento dell’occupazione a partire, per esempio, da un grande piano infrastrutturale che abbia un’attenzione su due punti: il primo è la questione temporale, in quanto tempo facciamole cose che diciamo, in quanto tempo attiviamo i cantieri e il nodo risorse sia in chiave italiana che europea». Per il momento il Paese non vede segnali di una ripresa costante e sostenuta. La produzione di auto archivia il mese di novembre con un nuovo segno negativo (-4,2%) per il diciassettesimo mese consecutivo secondo le rilevazioni dell’Anfia mentre il 2019 per la produzione industriale, a dirlo gli ultimi dati Istat verrà ricordato come un anno nero per la manifattura. Certo a novembre la produzione è ritornata in area positiva ma per un esile decimo di punto.Viene così a mancare la forza di quella che è la dorsale economica dell’Italia.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Patucchi Marco 
Titolo: L’industria non riparte più produzione in calo dell’1,1%
Tema: produzione in calo

«Quando a settembre venne qui a Vicenza, nella nostra assemblea scelta per il suo debutto pubblico da ministro dello Sviluppo Economico, Patuanelli ci fece una buona impressione. Sobrio e concreto. Altro segnale positivo a ottobre con l’apertura del confronto sull’automotive. Poi non è accaduto assolutamente più nulla, a parte il moltiplicarsi di tavoli inconcludenti. Compreso quello sull’Ilva». Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, avamposto della manifattura italiana, la mette giù così per spiegare i dati Istat sulla produzione 2019 e sulle prospettive del nuovo anno. L’ennesimo segnale del declino industriale italiano. A parte il lievissimo recupero congiunturale di novembre (+0,1% su ottobre) e il ritorno del segno più su base annua per il settore auto (+1,8%, non accadeva da giugno 2018), il quadro generale è deprimente. Novembre segna -0,6% del tendenziale (nono ribasso consecutivo), flessione che sale a -1,1% considerando i primi undici mesi 2019: cioè, salvo miracoli, l’intero anno chiuderà in negativo. Non accadeva dal 2014. «L’andamento dell’indicatore anticipatore dei prossimi mesi – spiega l’Istat – mantiene un profilo negativo, suggerendo il proseguimento della fase di debolezza dei livelli produttivi». E il Centro studi Promotor rileva come la produzione industriale italiana sia in calo del 20,9% rispetto al massimo ante-crisi 2008.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Patta Emilia 
Titolo: Gualtieri: a gennaio decreto sul cuneo Agenda Pd con Irpef e riordino Iva
Tema: tasse e cuneo fiscale

Se con la manovra per il 2020, dopo mesi di discussione, alla fine la tassa sui consumi non è stata toccata, il problema si ripresenterà tal quale nei prossimi mesi: 19 miliardi di clausole da disinnescare per il 2021 e quasi 26 per il 2022. Sarà anche per questo che l’argomento-tabù è finito di nuovo sul tavolo dei ministri economici del Pd che stanno lavorando ai dossier in vista del 13 e 14 gennaio, quando si terrà a Rieti il seminario voluto da Zingaretti con l’obiettivo di indicare alcune priorità programmatiche in vista dell’attesa verifica di governo con il premier Giuseppe Conte di fine mese. L’idea è quella di una rimodulazione che, oltre al vantaggio di disinnescare in parte le clausole, abbia una finalità per così dire sociale: un abbassamento a vantaggio del cosiddetto carrello della spesa e un innalzamento a scapito dei beni voluttuari. II tema della rimodulazione Iva, assieme a quello della revisione della “giungla” delle tax expenditures è emerso già nel confronto tra ministri e sottosegretari economici avvenuto al Nazareno l’8 gennaio per mettere a punto il documento da presentare a Rieti. Ma non è detto che il nodo Iva finisca già tra le priorità che usciranno dal seminario del 13 e 14, gennaio: il tema è a rischio polemica politica da parte del leader della Lega Matteo Salvini e le elezioni regionali in Emilia Romagna del 26 sono troppo vicine. Ma certo al Mef se ne è cominciato già a discutere in vista della preparazione del Def di aprile e dunque della legge di bilancio per il 2021. Il punto è che il risparmio che si prospetta da una rimodulazione dell’Iva non deve essere percepito per i democratici come un aumento di tassazione ma all’interno di una riforma fiscale più generale che sgravi il peso sui ceti medi e sui dipendenti «II tema dell’Iva va posto solo per alleggerire il carico Irpef», si spiega. La priorità in campo fiscale resta dunque la diminuzione del peso fiscale che grava sui redditi. Come ha ricordato ieri lo stesso ministro Gualtieri parlando a Milano a un evento di partito: «Già questo mese dobbiamo varare il decreto che consente di allocare i 3 miliardi di riduzione del cuneo fiscale previsti dalla legge di bilancio per un primo sostegno ai redditi bassi e medio-bassi», ha detto il ministro dell’Economia.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Russo Paolo 
Titolo: Niente stretta sulla flat tax Le nuove regole in vigore dal 2021 – Flat tax, niente stretta Boccata d’ossigeno per 500 mila persone
Tema: flat tax

Niente stretta sulla flat tax per il 2020. In base allo Statuto del contribuente e a quanto ribadito da una circolare dell’Agenzia delle Entrate lo scorso anno, la tassa piatta del 15% sul reddito da lavoro autonomo si applica anche a chi al momento ne verrebbe escluso dai paletti fissati dalla legge di bilancio. Quindi via libera per quest’anno alla tassazione agevolata anche a chi, oltre al reddito da lavoro autonomo, ha percepito più di 30mila euro da pensione o lavoro dipendente, così come non scatta per ora l’altro limite fissato dalla finanziaria 2020, quello di 20mila euro di compensi a collaboratori o di spese per acquisto di beni strumentali. «Questo -spiega il tributarista Gianluca Timpone- in virtù del fatto che lo Statuto del contribuente fissa in 60 giorni il limite di tempo che deve intercorrere tra l’approvazione delle modifiche in materia di adempimenti fiscali e la loro applicazione». E non è questo il caso visto che i paletti alla flat tax contenuti nella manovra hanno ottenuto il via libera finale dal Parlamento solo a dicembre per entrare teoricamente in vigore pochi giorni dopo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Intervista a Carlo Cottarelli – Cottarelli: «Per ripartire va ridotta di due punti la pressione del fisco» – «Per ripartire va ridotta la pressione fiscale di due punti, senza deficit»
Tema: pressione fiscale

«Per provare a riprendere il cammino della crescita serve un piano ambizioso e strutturale, incluso un taglio drastico alla burocrazia e una riduzione della pressione fiscale di due punti di Pil nei prossimi tre anni. Ma non in deficit». Carlo Cottarelli, alla guida dell’Osservatorio conti pubblici della Cattolica, ha appena pubblicato un’analisi sulle cause della sostanziale stagnazione italiana degli ultimi 10 anni. Il tema dovrebbe farsi largo nell’agenda di governo, ma per ora anima il dibattito fra economisti mentre continua a latitare nel confronto interno alla maggioranza, in vista di una verifica che per il momento rimane in stand by in attesa delle elezioni regionali. Ma l’anno inizia anche con un’Italia ancora una volta in fondo alle classifiche europee sulla crescita, e con venti freddi che soffiano sulle prospettive economiche continentali.  «Prima di tutto bisogna mettersi d’accordo sulle ragioni per le quali l’Italia ha avuto un tasso di crescita inadeguato negli ultimi vent’anni – spiega Cottarelli –  Questo impone di porsi la domanda su quale sia il fattore che porta crescita in un’economia di mercato: e questo fattore, indiscutibilmente, è rappresentato dagli investimenti delle imprese che sono troppo bassi e non per colpa loro». Che cosa li frena oggi?  «È difficile essere imprenditori in Italia. Da anni i sondaggi fra gli imprenditori indicano tre deterrenti strutturali all’investimento: livello della tassazione, burocrazia e lentezza della giustizia, in particolare civile. Qualsiasi programma di rilancio deve ripartire da lì».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Petrini Roberto 
Titolo: Intervista ad Antonio Misiani – Misiani “Per uscire dall’emergenza serve un’alleanza tra Stato e imprese”
Tema: crisi aziendali

Alla domanda se c’è il rischio che non vengano centrati I target del governo il viceministro dell’Economia Antonio Misiani, senatore del Pd risponde che «per il momento  tutte le previsioni più recenti confermano l’obiettivo programmato dal governo: crescita dello 0,6% del Pil nel 2020 e qualcuno si spinge fino allo 0,8%. E chiaro che le incertezze geopolitiche potrebbero cambiare il quadro ma, al netto di questi eventi straordinari, rimaniamo fiduciosi di poter raggiungere gli obiettivi». I fronti di incertezza tuttavia si moltiplicano: Alitalia, Ilva, Autostrada. «In questi mesi abbiamo dovuto fare i conti con numerose crisi di grande portata. La sfida è passare da una logica di pura emergenza alla costruzione di una vera e propria strategia di politica industriale nella direzione di una nuova alleanza tra Stato e privati. Non la riproposizione della vecchia Iri, ma uno Stato più assertivo, investitore paziente e motore di innovazione. Tutte le crisi di questi mesi, da Alitalia ad Autostrade, dall’ex Ilva alle banche, chiamano in causa un nuovo ruolo dello Stato a difesa della presenza nazionale in settori chiave, dal manifatturiero ai servizi. L’Italia ha bisogno di grandi imprese, senza le quali nell’economia globale non si è protagonisti ma solo gregari». Con quale strumento? «Oggi si avverte l’esigenza di una cabina di regia politica tra i ministeri direttamente interessati in grado di governare, con rapidità e in stretto rapporto con il mondo imprenditoriale privato, una serie di questioni di primaria importanza. Avremmo bisogno di una sorta di consiglio nazionale di sicurezza economica, come il National Economic Council degli Usa. In una strategia fondata su un ruolo più attivo dello Stato andrebbero meglio focalizzate anche le funzioni di realtà come Cdp e Invitalia».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Barlaam Riccardo 
Titolo: Iran, in vigore nuove sanzioni Usa sull’acciaio – Iran, sanzioni Usa sull’acciaio Più fitto il mistero del Boeing
Tema: Iran

L’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni all’Iran. Sanzioni che colpiranno le esportazioni di acciaio, alluminio, rame e ferro. Colpiranno le 13 più grandi società produttrici di metalli del paese, settori economici come le costruzioni, l’industria manifatturiera, tessile e mineraria, hanno spiegato il capo della diplomazia Mike Pompeo e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin. Presi di mira dal regime sanzionatorio anche otto alti dirigenti della Repubblica islamica per il loro coinvolgimento nell’attacco missilistico contro le due basi in Iraq nella notte dell’8 gennaio. In una nota Donald Trump si è detto convinto che le nuove sanzioni «avranno un enorme impatto sull’economia dell’Iran» e taglieranno «entrate che potrebbero essere usate per sostenere lo sviluppo del programma nucleare e missilistico, il terrorismo e i gruppi terroristici nella regione». Per il presidente americano, che aveva annunciato le sanzioni dopo i raid missilistici di mercoledì scorso, Teheran è «responsabile degli attacchi contro il personale e gli interessi degli Stati Uniti» e resta «il principale sponsor mondiale del terrorismo». L’amministrazione Usa ha previsto sanzioni per gli operatori stranieri che acquistano o trasportano acciaio iraniano. E ha lanciato anche avvertimenti alle società assicuratrici, alle banche, agli operatori portuali e alle compagnie di navigazione per evitare che flussi di esportazioni sfuggano al regime sanzionatorio. Gli Stati Uniti stavano studiando queste nuove sanzioni da dicembre, prima dell’escalation della tensione trai due paesi. L’obiettivo è quello di tagliare tutte le fonti di ricavi da export dell’Iran «permettere in ginocchio la sua economia». «Noi vogliamo semplicemente che l’Iran si comporti come una nazione normale», ha spiegato Pompeo dalla Casa Bianca.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Mossa Usa: sanzioni all’Iran – Trump prova a stritolare l’Iran Sanzioni sulle ultime industrie
Tema: Iran

La manovra Usa è divisa in due parti. Le misure restrittive colpiscono 17 aziende e otto figure di vertice nominate dalla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Nell’elenco ci sono, tra gli altri, Ali Shamkhani, segretario del consiglio di sicurezza nazionale e Gholamreza Soleimani, il comandante dei Basiji, una delle cinque formazioni paramilitari delle Guardie della Rivoluzione. «Questi individui — ha detto Pompeo — hanno tessuto le trame della destabilizzazione nel Medio Oriente e sono complici nell’assassinio di circa 1500 manifestanti iraniani». Ma la mossa più forte tocca l’economia. Dopo aver soffocato le esportazioni di petrolio, crollate dai 2,5 milioni di barili al giorno a circa 250 mila, gli americani ora puntano a tagliare il resto dell’export, punendo le società straniere che acquisteranno materie prime o semilavorati dalle ultime realtà ancora vitali, come la Mobarakeh Steel Company, il più grande produttore di acciaio del Medio Oriente o la Iran Aluminium Company, che copre il 75% dell’offerta di alluminio. «Vogliamo tagliare le fonti di approvvigionamento del governo di Teheran, visto che questi fondi vengono usati per alimentare il terrorismo e le guerre per procura nella regione», ha spiegato Mnuchin. L’Iran è già in grave difficoltà, come mostrano i dati della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Nel 2016, subito dopo la firma dell’accordo sul nucleare, il prodotto interno lordo era cresciuto a ritmi «cinesi»: oltre il 12%. Ma dopo le prime sanzioni sul petrolio imposte da Trump nel 2017 e nel 2018, il Paese è rapidamente scivolato in recessione e il pil è sprofondato a quota -9% (dato 2019). II potere di acquisto dei cittadini si polverizza all’istante, con un’inflazione al 42% e addirittura al mostruoso 62% se si considera solo il paniere dei beni alimentari. Il cordone di isolamento su banche e finanza permette al governo di Teheran di attingere solo al 10% dei circa 80 miliardi di dollari di riserve in valuta pregiata. Ora bisognerà vedere come gli Usa gestiranno concretamente la nuova stretta. Il tema, ormai, tocca solo marginalmente l’Ue e l’Italia che, stando ai numeri di Eurostat, hanno tagliato rispettivamente del 94 e del 95% il valore dell’import iraniano. Il problema, invece, è serio per Cina e India, gli ultimi clienti del petrolio iraniano.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Pagnoncelli Nando 
Titolo: Scenari – Italiani «neutrali» sulla crisi Per il 50% uccidere Soleimani è stato un pericoloso errore
Tema: italiani e crisi iraniana

La tensione tra Usa e Iran e le vicende libiche stanno scuotendo l’opinione pubblica del nostro Paese che, da lungo tempo, è alle prese prevalentemente con le questioni interne, a partire da quelle economiche e politiche. Non a caso secondo il monitoraggio annuale che Ipsos realizza per Ispi, l’interesse per le notizie internazionali tra il 2015 e il 2019 ha fatto segnare un significativo arretramento: gli italiani molto interessati rappresentano il 17% (nel 2015 erano il 23%) e coloro che dichiarano esplicitamente di non essere interessati sono saliti al 40% dal 25% di cinque anni fa. Riguardo all’attacco Usa che ha portato all’uccisione del generale Soleimani, solamente l’8% lo considera una giusta reazione da parte del governo americano per blocrare un possibile conflitto che avrebbe potuto estendersi rapidamente; il 27% lo giudica un’azione comprensibile, ma eccessiva per i rischi dl destabilizzare ulteriormente un’area già molto instabile, mentre uno su due (49%) lo ritiene un grave errore che potrebbe innescare una guerra dalle conseguenze imprevedibill. La reazione iraniana con il lancio di missili sulle basi americane in Iraq accentua il timore che possa esplodere un conflitto: il 59% è convinto che i rischi di guerra tra Usa e Iran siano reali (e tra costoro il 43% ritiene che l’Italia dovrebbe rimanere neutrale), mentre il 16% è del parere che non vi sia il rischio di un conflitto imminente e il 25% non ha un’idea in proposito.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Lorenzo 
Titolo: Il grido di Bagdad: «Truppe straniere via» Gli Usa: restiamo per combattere l’Isis
Tema: Iraq

«Via, via, via l’America e via l’Iran dall’Iraq», scandiscono a migliaia battendo le mani: «Non siamo il campo di battaglia della guerra tra Washington e Teheran». Uno slogan che è anche una richiesta di legittimazione ai governanti: «L’Iraq agli iracheni, fuori tutte le truppe straniere». II grido echeggiava ieri da piazza Tahrir all’antica Rasheed Street, sino alle stradine del «mercato dei libri» di Muthanabbi e lungo i quartieri di casupole in mattoni rossi sul Tigri, di fronte alla Zona Verde, la cittadella del potere dove c’è l’ambasciata Usa (più blindata che mai). A una settimana dal blitz Usa contro Qassem Soleimani («Voleva colpire quattro ambasciate americane», ha detto ieri Donald Trump), i giovani delle rivolte rilanciano la mobilitazione per abbattere il governo, porre fine alla comizione, ottenere «lavoro e dignità». Dai primi di ottobre la polizia e le milizie hanno ucciso quasi 600 dei loro, e i feriti sono oltre 22.500.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: La Ue dà pieni poteri a Borrell per raffreddare le crisi libica e iraniana
Tema: Libia

I ministri degli Esteri dei Ventotto hanno tentato ieri di imporsi quale attore-protagonista nella guerra civile che sta insanguinandola Libia. Tra le altre cose hanno affidato all’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Josep Borrell un mandato per lavorare in vista di una interruzione delle ostilità. Nello stesso modo, gli hanno chiesto di impegnarsi per raffreddare le tensioni tra Washington e Iran dopo l’escalation degli ultimi giorni. Parlando in una conferenza stampa a Bruxelles alla fine di un incontro straordinario tra i ministri degli Esteri, l’Alto Rappresentante Borrell ha elencato i rischi legati alla crisi libica. Tra questi l’accentuarsi del terrorismo, il rischio di nuovi arrivi di rifugiati o di migranti sulle coste europee, la destabilizzazione politica della regione così come l’ingerenza di nuove potenze straniere. «Ho ricevuto dai ministri mandato di perseguire una soluzione politica», ha detto. L’Alto Rappresentante ha spiegato che nel caso si raggiungesse un cessate-il-fuoco, l’Europa è disponibile a monitorarlo. Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio ha spiegato che «occorre definire al più presto la data per la Conferenza di Berlino sulla Libia». L’obiettivo europeo è di mettere attorno a un tavolo tutte le parti per trovare una soluzione politica. La Conferenza di Berlino promossa dalla cancelliera Angela Merkel e sotto l’egida delle Nazioni Unite è già stata rimandata una volta.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Sarraj accetta l’invito, oggi vede Conte
Tema: Libia

Il premier libico Fayez al-Sarraj sarà ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Lo riferisce l’ambasciatore libico presso l’Unione europea, Hafed Gaddur, precisando che è stato il primo ministro italiano ad invitare ufficialmente Sarraj a Roma. L’Italia dunque prova a ricucire lo strappo di tre giorni fa, quando in modo clamoroso lo stesso Sarraj, dopo aver incontrato a Bruxelles Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera della Ue, aveva deciso di rifiutare l’incontro programmato con Conte e a sorpresa era rientrato direttamente a Tripoli. Sembra dunque ridursi la distanza diplomatica fra Roma e il governo legittimo della Libia, con Sarraj che alla fine ha accettato un corteggiamento durato almeno 48 ore. In un primo tempo infatti l’incontro di Conte con il generale Haftar aveva di fatto congelato i rapporti e provocato la fortissima irritazione del capo del governo di Tripoli. L’incontro avverrà alla vigilia di un tour internazionale del presidente del Consiglio, che porterà da lunedì Conte prima a Istanbul, per un faccia a faccia con Erdogan che sostiene Sarraj e ha mandato anche aiuti militari in Libia. Seconda tappa al Cairo, dove incontrerà il presidente egiziano Al Sisi, che invece ha sempre sostenuto, non solo politicamente, l’iniziativa di Haftar, e infine negli Emirati arabi uniti. L’incontro con Sarraj ovviamente verterà sulla possibilità di una tregua, proposta sia dalla Russia che dalla Turchia, e appoggiata anche dall’Unione europea. Sarraj ha accettato l’ipotesi, invece Haftar l’ha finora rifiutata, almeno sino a quando, rivendica, non saranno disarmate le milizie, che considera di stampo terroristico e che comunque combattono per difendere Tripoli. Il faccia a faccia può anche essere visto come un passo in avanti verso la Conferenza di Berlino, di cui non è ancora stata fissata una data, ma sulla quale anche il nostro governo sta puntando in modo deciso.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: A Belfast sbloccato lo stallo sul governo
Tema: Irlanda del Nord

L’Irlanda del Nord potrebbe iniziare l’anno con un nuovo Governo autonomo. Esattamente tre anni dopo il fallimento della coalizione al potere a Belfast e dopo tre anni di tensioni e negoziati infruttuosi, i partiti finora in contrasto ieri hanno trovato un accordo. L’intesa proposta dai governi di Londra e Dublino, dal titolo “Nuovo decennio, nuovo approccio”, è stata approvata in linea di massima da tutti e cinque i partiti – Democratic Unionist Party (Dup), Sinn Féin, Ulster Unionists, Sdlp e Alliance Party. Arlene Foster, leader del Democratic Unionist Party (Dup), il maggiore partito protestante e filo-britannico, ha detto che l’accordo «non è perfetto» ma rappresenta «una base dalla quale il Governo e il Parlamento possono ripartire in modo equilibrato e giusto». Sul fronte opposto anche Sinn Féin, il partito cattolico e nazionalista, ha detto che l’accordo «può funzionare». «Siamo pronti a condividere di nuovo il potere», ha dichiarato la presidente Mary-Lou McDonald al termine di un vertice del partito. Il partito cattolico aveva chiesto una maggiore tutela per la lingua irlandese e una riforma del sistema per impedire al Dup di fare ostruzionismo. Le proposte messe a punto da Dublino e Londra comprendono «la protezione della lingua irlandese», che sarà posta allo stesso livello dell’inglese, e la rimozione del diritto di veto di un partito. L’accordo impegna anche il Governo di Londra a «garantire per legge che le imprese dell’Irlanda del Nord avranno libero accesso all’intero mercato interno britannico» dopo Brexit, questione complessa e tutta da definire.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Guerrera Antonello 
Titolo: L’Elisabetta furiosa Una task force per risolvere il caso di Harry e Meghan
Tema: Casa reale inglese 

Al volante c’è sempre lei. E anche stavolta risolverà la situazione. La propaganda della “ditta” Windsor ieri ha sfoderato l’immagine chiave, e cioè Elisabetta, per la prima volta in pubblico dopo il clamoroso “divorzio” del nipote I larry e di Meghan dalla famiglia reale. Fazzoletto in testa, sguardo di ghiaccio, rossetto fuoco, alla guida del suo Suv scuro poco fuori dalla tenuta di Sandringham per partecipare a una battuta di caccia in campagna col nipote Peter Phillips, l’unico maschio della figlia Anna. È l’immagine della granitica risolutezza che la Regina, a 93 anni, ancora vuole incarnare. E che oggi, ancora una volta, è necessaria dopo il pasticcio che hanno combinato i duchi del Sussex. Che cosa farà ora Elisabetta? Se il figlio Carlo e il nipote William sono andati su tutte le furie dopo quell’esplosivo post su Instagram di Meghan e Harry, “l’irritata” Regina ha preso in mano la situazione. «È una persona pragmatica», dice durante un incontro con la stampa straniera a Londra William Hanson, esperto dei Windsor e di etichetta inglese, «e non si abbandonerà a vendette o a punizioni. Vuole risolvere la faccenda il prima possibile. Difatti, ha subito attivato figlio e consiglieri per arrivare a un compromesso ragionevole».
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