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SINTESI IN PRIMO PIANO – 12 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– M5S: chi saprà sfidare Di Maio?;
– Pd: per Zingaretti è ora di cambiare;
– Taglio cuneo fiscale: si allarga la platea;
– Riforma pensioni: i riflessi della Francia sull’Italia;
– Libia: incontro Serraj – Conte sul “cessate il fuoco”;
– Iran: protesta di piazza contro aereo caduto.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Il retroscena – Dal futuro del capo al governo I dubbi (e le strategie) che separano Grillo e Dibba
Tema: M5S

«E Grillo, che dice?». Tra i molti misteri che avvolgono il Movimento in questi giorni di lunghi coltelli, c’è quello su Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, due dei leader del quadrumvirato che governa di fatto il Movimento, insieme a Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Con chiunque si parli del fondatore, arriva puntuale la domanda: «E lui che dice?». Perché il fondatore è avaro di parole pubbliche. Al contrario di Di Battista che è piuttosto loquace e, tra un post e un articolo, dice la sua. Anche se, a un certo punto, arriva la domanda dell’interlocutore: «E Di Battista, che pensa davvero?». Mai come ora le posizioni dei due si sono divaricate. Grillo è per la stabilità dell’esecutivo, Di Battista per buttare tutto all’aria. Grillo è per l’alleanza con i progressisti, Di Battista per le mani libere e, magari, pronte a riallacciarsi a quelle leghiste. Grillo è per un ricambio della leadership, Di Battista invece la puntella, sia pure tra mille incertezze e cambi di passo. Si racconta che Di Maio abbia tirato un sospiro di sollievo nel leggere l’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano, nel quale l’ex sodale lo difende apertamente, pur rivendicando la sua totale sfiducia verso l’esecutivo con il Pd. «Sono amici – dicono in molti – Alessandro non lo tradirà mai».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Al.T. 
Titolo: Le tensioni sulla leadership di Di Maio Potrebbe lasciare per ricandidarsi
Tema: M5S

Che qualcosa debba cambiare, nel Movimento, si sa da tempo. Il recentissimo «team del futuro» sembra già un arnese del passato, il tentativo prematuramente fallito di Luigi Di Maio di diluire le responsabilità e di mostrare una leadership collettiva che, di fatto, non è mai nata. E così gli Stati Generali del 13-15 marzo finiranno per essere lo strumento con cui si decideranno il nuovo (o vecchio) leader e il posizionamento politico del Movimento. Di Maio smentisce le indiscrezioni che ipotizzano le sue imminenti dimissioni da capo politico: «Se ne sentono tante». Non proprio un niet furibondo. Evidentemente, si lascia una porta aperta. Ma come sono nate queste voci? Giulia Grillo, ex ministra dissidente, parla di «insufflatori anonimi» e di «meschino, vile e opaco gioco di potere». Cui prodest? C’è chi attribuisce le voci a una manovra di Palazzo Chigi. Chi dice siano state insufflate da Grillo in persona. E chi dallo stesso Di Maio, una sorta di minaccia preventiva alla gogna quotidiana. In sua difesa scendono Manlio Di Stefano e Alfonso Bonafede. Che dice: «La sua unica colpa è aver preteso le restituzioni». Un dirigente di peso commenta: «Se pensano di convincere Luigi a mollare, si sbagliano di grosso. Ha la testa dura, se gli dici di fare una cosa, lui fa il contrario».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Intervista a Vincenzo Spadafora – «Vedremo chi saprà sfidare Di Maio» – «Su Luigi allacchi cinici da chi gli deve molto Gli Stati generali? Vediamo chi lo sfida»
Tema: M5S

Ministro Spadafora, il M5S è in agonia? «Il Movimento è in una fase di evoluzione. Ha rivoluzionato con il suo arrivo il panorama politico che si basava su un finto bipolarismo che serviva solo a spartirsi il potere. Ha varato leggi che hanno cambiato questo panorama. Ora non c’è dubbio che ci siano fibrillazioni, ma è solo perché il M5S segue la sua natura di continuo cambiamento». L’occasione per cambiare sarà agli Stati generali? Si preannunciano come il momento dello scontro e della scelta tra chi vede il M5S come terza via o chi come parte del centrosinistra. «Chi immagina gli Stati generali come uno scenario di guerra è un folle. Piuttosto vediamo quali proposte e soprattutto quali persone si candideranno ad assumere delle responsabilità che finora sono ricadute tutte sulle spalle di Di Maio». Si, però il tema della collocazione politica sarà determinante. «Non direi. Si tratta di un argomento di fatto superato con la proposta di legge proporzionale, che non obbliga più i partiti ad allearsi ma consente a ognuno di far valere il proprio consenso». Grillo sì è speso molto per una confluenza con i dem: scegliere di essere “terzi” non significherebbe sconfessarlo? «Anche lo ho sempre detto che sono più a mio agio con questo governo che con quello precedente, ma con il proporzionale non è necessaria nessuna confluenza stabile con nessun partito».
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  De Carolis Luca 
Titolo: Intervista ad Alfonso Bonafede – “Il M5S non deve cambiare per il Pd Prescrizione, il lodo Conte reggerà” – “Contro Di Maio solo una minoranza. M5S non cambia per il Pd”
Tema: M5S

Il Guardasigilli che del M5S è di fatto il numero due lo dice subito: “Non vedo una guerra contro Luigi Di Maio, perché per definirla tale servirebbe la partecipazione di molte persone. Invece è una minoranza che staprovando adattaccareLuigi. Ma il capo politico è e deve restare lui”. Così la pensa il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Sarà pure una minoranza, ma solleva anche temi di buon senso: per esempio, come si possono svolgere assieme due ruoli come iI capo politico e il ministro degli Esteri? “Semplice, lavorando 24 ore al giorno come fa Di Maio, che si dedica senza sosta a entrambi i ruoli”. Non sembra sostenibilo. Delegare è una necessità. “Luigi non si è mai tirato indietro di fronte alla necessità di riorganizzare il Movimento, e infatti ha voluto il team del futuro e i facilitatori. Ora il M5S ha le spalle abbastanza larghe per governare il Paese e per rispondere alle esigenze dei territori”. Ma in tanti chiedono una getione più collegiale, magari una segreteria politica. E in generale il malessere è diffuso, non trova? “Ripeto, è una minoranza che sfrutta la stampa, il mainstream, per avere un’eco. Io ricordo che il reddito di cittadinanza, il taglio dei vitalizi, quella dei parlamentari e la legge Spazzacorrotti sono obiettivi raggiunti con Luigi come capo politico”. Provocazione: Di Maio non farebbe bene a dimettersi, coal da mettere gli altri di fronte alla responsabilità dl gestire tutto? “Secondo meno. Deve portare avanti il suo lavoro”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  De Marchis Goffredo 
Titolo: M5S, l’idea Appendino per la leadership a due Ribelli via da Rousseau
Tema: M5S

Nel caos a 5 stelle un solo nome da affiancare a Luigi Di Maio può mettere tutti d’accordo: Chiara Appendino. È lei la donna che dovrebbe condividere il ruolo di capo politico del Movimento dopo gli Stati generali di marzo. La sindaca di Torino è nel cuore di Beppe Grillo, gode dell’amicizia di Di Maio (che le ha più volte chiesto di fare il ministro), ha pochi nemici interni e soprattutto ha già fatto sapere di non voler correre per un secondo mandato da sindaco. La sua immagine è considerata quella giusta per rilanciare quella del M5S. L’idea di Paola Taverna, interprete fedele del grillismo degli inizi e della lotta, riscuote meno consensi. Perché nella fossa dei leoni in cui si sono trasformati i gruppi parlamentari anche lei non ha soltanto estimatori. Fra espulsioni, uscite, polemiche sui rimborsi, i gruppi sono infatti il vero anello debole del Movimento e del governo. Giuseppe Conte, qualche giorno fa, ha confidato al telefono a un interlocutore istituzionale: «Il mio timore, per la tenuta del governo, è uno solo: l’esplosione dei parlamentari grillini». Non c’è dubbio che le ultime mosse di Di Maio abbiano scontentato molti, anche tra i suoi fedelissimi. Un cattivo risultato in Emilia e in particolare in Calabria dove alle politiche i grillini sfiorarono il 40 per cento, rischia di metterlo in ulteriore difficoltà.
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Testata:  Espresso 
Autore:  Turco Susanna 
Titolo: Giggino va in trincea
Tema: M5S

Un tempo la Farnesina era una dimora per leader, fidati vice, personaggi chiave. Un luogo adatto a un Aldo Moro, a un Giulio Andreotti. E andata così, grosso modo, fino a Massimo D’Alema, che usò il prestigioso incarico per (continuare a) fare politica. Da lì, il crollo: salvo eccezioni, è diventata più spesso una poltrona per quelle che Giampaolo Pansa definirebbe «pompose nullità». Attendenti di campo, parvenue, genti sensibili ad argomenti tipo «giri il mondo», «conosci i Grandi della Terra». Luigi Di Maio. Il trentatreenne capo dei Cinque stelle, immortale autore di neologismi come «Mister Ping» (alias il presidente cinese Xi Jinping) e «Mister Ross» (alias il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, poi ci si chiede perché non telefoni), già responsabile di una posizione sul Venezuela di Maduro per lo meno ambigua e della più grave crisi diplomatica con la Francia dal secondo dopoguerra a oggi, proprio nelle stesse ore, si slanciava intanto alla rincorsa affannosa a tentare di colmare l’inconsistenza italiana, il senso di fallimento e la fosforescente marginalità sul fronte internazionale (un micidiale filotto dal Medio Oriente all’Africa del Nord: Iran, Iraq, Libia e ritorno), con post su Facebook alle due di notte, divisive prese di posizione tipo «l’Europa lavori in modo più coeso» o «serve subito un cessate il fuoco», e sguardi pensosi sulla contemporaneità come quello che abbracciando Libia e Iran diceva: «Il faro che ci guida è sempre solo un’unica, semplice verità: la guerra genera altra guerra, la violenza chiama altra violenza, la morte altra morte». Anche Di Maio, del resto, genera altro Di Maio. Cambia giusto il vestito. I risultati si vedono.
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Testata:  Corriere della Sera 
Titolo: Intervista a Matteo Renzi – «Il Pd imita Corbyn? Ci apre un’autostrada» – «Se fanno come Corbyn ci aprono un’autostrada Il governo cambi passo»
Tema: Pd

Senatore Matteo Renzi, secondo lei come si sta muovendo il governo in Libia ? «La situazione libica è drammatica, non solo preoccupante. Il governo italiano non sta raccogliendo successi, uso un eufemismo, ma il problema è più ampio. Dobbiamo prendere atto che gli Stati Uniti sono meno attenti a questa parte dl mondo. La scoperta dello shale gas ha portato gli americani all’autosufficienza energetica e questo quadrante non è più decisivo come in passato per Washington. A ciò si somma la miopia dell’Europa che non si interessa al Mediterraneo, con atteggiamento autolesionista. Non a caso la Russia per l’intelligenza strategica di Putin e la Turchia per la scriteriata campagna di Erdogan ne approfittano. E un periodo difficile, occorrono nervi saldi e lucidità di visione». Il premier non è riuscito a incontrare Sarraj e Haftar lo stesso giorno… «Non è questo il punto. Incontrare quei due lo stesso giorno può funzionare per il Tg1 delle 20 o come foto notizia sui quotidiani. Ma questa non è politica estera, questa è solo mediocre comunicazione. Qui abbiamo un problema ben più grande: l’Italia deve riaffermare il proprio ruolo nel Mediterraneo e in Libia in particolare. E dobbiamo dire con forza che non permetteremo a Erdogan e ai turchi di sostituirci come interlocutori in Libia. Questo vale peril petrolio e per l’Eni, certo. Ma vale per tutto: per l’immigrazione, per le infrastrutture, per la relazione Europa-Africa. A me non interessa chi incontra Conte a Palazzo Chigi: a me interessa che l’Italia non perda la leadership nel Mediterraneo».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Giannattasio Maurizio 
Titolo: Zingaretti lancia il «partito nuovo» I dem: ora un congresso vero
Tema: Pd

«II Pd c’è, esiste e combatte ma lo deve fare in maniera radicalmente aperta. Poi faremo il congresso e decideremo se il Pd resta o meno». Nelle sale dell’Umanitaria, culla del riformismo milanese, il segretario Nicola Zingaretti traccia il futuro del suo partito. Lo fa con molta più prudenza rispetto alle dichiarazioni rilasciate a Repubblica in cui parla di scioglimento del partito. «Non credo in processi distruttivi, nell’illusione di passi indietro o di scioglimenti,- dice dal palco di Nord Face, la due giorni del tour che lo porterà in giro per tutta Italia – però è arrivato il tempo di tomare al dna del Pd e cioè la necessità di continuare a cambiare, a coinvolgere, aprire, rinnovare, costruire. E di essere utili all’Italia». La sintesi è uno slogan a effetto: «Non faremo un nuovo partito, ma un partito nuovo». Aperto a tutte le forze progressiste, sindaci e sardine e comprese, ma senza volontà annessionistiche sottolinea Zingaretti. «Non vanno tirate per la giacchetta». Per simbolo e nome ogni decisione è rimandata al congresso. Una buona notizia replica ironicamente il leader della Lega, Matteo Salvini: «Zingaretti ha detto che dopo le elezioni in Emilia-Romagna scioglie il Pd? Magari. Non credo che ci saranno manifestazioni di disperazione…». «Caro Salvini non ti illudere – risponde Zingaretti – vogliamo costruire non sciogliere. Combattere e non arretrare. Aprirci e non chiuderci. Racconti i problemi delle persone, ma li racconti e basta, li crei e non dai mai soluzioni, perché non le hai». Nel centrosinistra tocca al sindaco di Milano, Beppe Sala aprire la danza delle reazioni. Lui preferisce chiamarle raccomandazioni. Sembrano più dubbi a cui dare una risposta. Chiede un piano strategico nazionale e che la «svolta» non sia solo di facciata.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Casadio Giovanna 
Titolo: Tanti sì al nuovo Pd – “È ora di cambiare il Pd” Piace l’idea di Zingaretti Sala: ma sia svolta vera
Tema: Pd

Tanti sì al nuovo Pd proposto da Nicola Zingaretti. Anche se spunta qualche paletto. Il sindaco di Milano Beppe Sala ad esempio, incalza: «Serve coraggio e che non sia un’operazione di facciata quella indicata da Zingaretti sulla svolta nel Pd….». Alcuni temono che l’annuncio del segretario dem di una rifondazione del più grande partito del centrosinistra si riveli solo una liturgia. Ma altrettanti sono consapevoli della fatica di togliere l’ancora per salpare verso un campo progressista nuovo e ampio. E poi c’è chi agita lo spauracchio di un ritorno nostalgico alla vecchia sinistra post-comunista. Il giorno dopo il colloquio con Repubblica, Zingaretti elenca un’altra volta i punti-chiave della sua proposta: il Pd è uscito dal guado in cui l’aveva gettato la sconfitta alle politiche del 2018, però corre un rischio: stare fermo. Non può farlo e non lo farà. Quindi congresso in vista. Un progetto strategico per l’Italia. Un cambiamento radicale. Capacità attrattiva per Sardine, sindaci, società civile. Anche un nome nuovo? «Non partiamo dal nome per favore, prima le idee e i contenuti», dice. Ai suoi collaboratori – mentre si sposta tra Milano e la Calabria, e prepara il rush finale in Emilia Romagna per la campagna elettorale di Stefano Bonaccini – Zingaretti fa una sorta di promemoria.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bertini Carlo 
Titolo: Intervista a Luigi Zanda – “Costituente con tutti i partiti per cambiare forma di Stato”
Tema: Pd

A tutti quelli che danno per moribondo il governo ed esaurita la legislatura, Luigi Zanda, che da qualche decennio solca il palcoscenico della politica ai massimi livelli, risponde sfoderando una proposta che pub apparire una suggestione: «Serve un’assemblea Costituente con tutte le forze politiche, che cambi la forma di Stato e di governo». Insomma, malgrado si sparino addosso ogni giorno, Salvini, Di Maio, Zingaretti e Renzi potrebbero vestire i panni di padri costituenti. Il tesoriere del Pd sposa poi la decisione del segretario di rifondare il partito, che dovrà aprirsi non solo agli ex scissionisti come Bersani e Speranza, ma anche alle nuove energie civili impersonate dalle Sardine. Intanto soffermiamoci sulla Costituente. Perché proprio ora? «Io penso sia giunto il momento di affrontare le grandi questioni guardando oltre: dobbiamo riformare le nostre istituzioni, affrontando i due grandi temi della riforma del governo e dello stato. Vero, non c’è riuscita la commissione Bozzi, poi la commissione D’Alema, la riforma Berlusconi, poi quella di C’è un sistema regionale che va rivisto e il bicameralismo perfetto da abolire Renzi. Dobbiamo imparare da questa lezione: se vogliamo fare piccoli ritocchi, va bene usare l’articolo 138 della Carta, ma se vogliamo riforme organiche di pezzi della Costituzione, salvando la prima parte, abbiamo bisogno di un’Assemblea costituente. C’è un sistema regionale che va rivisto, il bicameralismo perfetto che va abolito…».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Giannini Chiara 
Titolo: Bonaccini & C. allo stadio con i soldi pubblici – Bonaccini a vedere la Juve coi soldi della società pubblica
Tema: Pd

Il Pd vuol governare in Emilia Romagna, ma intanto il candidato Stefano Bonaccini finisce all’interno di una bufera. I fatti risalgono al periodo 2015-2017, quando Iren spa, società quotata in borsa a maggioranza pubblica che gestisce i servizi elettricità, gas, rifiuti e acqua nei Comuni di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emilia acquistò abbonamenti per due stagioni (campionato 2015/2016 e 2016/2017) per svariate partite di Champions League relative alle partite di calcio della Juventus presso il Juventus Stadium (oggi Allianz Stadium) di Torino. Iren è controllata per mezzo di un patto di sindacato dai Comuni di Torino, Genova, Parma e Reggio Emilia e da circa 100 piccoli Comuni sparsi tra l’Emilia, il Piemonte, la Liguria, in particolare i 3 Comuni maggiori azionisti, ossia Torino, Genova e Reggio Emilia e la maggioranza dei membri del Consiglio di amministrazione nominano rispettivamente il presidente, l’amministratore delegato e il vicepresidente. All’epoca dei fatti i Comuni principali erano governati dal Pd. A Torino c’era Piero Fassino, a Genova Marco Doria, a Reggio Emilia Luca Vecchi. A Torino anche la Appendino (M5s) poi subentrata a Fassino, ha usufruito dei privilegi di cui vi raccontiamo. I fatti sono oggetto di una pluralità di esposti e denunce depositate alla Consob. Iren, in sostanza, acquistava posti allo stadio e li metteva a disposizione dei politici e dei loro accompagnatori.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ainis Michele 
Titolo: Quel referendum paradossale
Tema: Taglio dei parlamentari

Che differenza c’è tra una legge e un referendum? Sulla prima decidono gli eletti, sul secondo gli elettori. Ma non è più così, non in quest’ultima esperienza. La legge sul taglio dei parlamentari è stata battezzata nelle piazze, prima che nelle aule di Camera e Senato; a furor di popolo, come s’usa dire. Invece il referendum da cui dipende la sua entrata in vigore ha raccolto la miseria di 669 firme, rispetto alle 500 mila prescritte dalla Costituzione; e allora è stato deliberato dagli eletti, da 71 senatori. Questa inversione di ruoli e competenze riflette tutti i paradossi della democrazia italiana. Dove ogni istituto, ogni strumento normativo, viene distorto a fini impropri, se non anche illeciti. Succede con i decreti legge, concepiti dai costituenti per fronteggiare le emergenze, ma divenuti ormai da tempo il principale rubinetto della legislazione. Succede con il milleproroghe, altra eccezione convertita in regola, che arriva puntuale ogni Natale insieme al panettone. Succede con il divieto di mandato imperativo, che dovrebbe proteggere i parlamentari dall’invadenza dei partiti, e che si è invece trasformato nello schermo che ne protegge i tradimenti (566 cambi di casacca nella legislatura scorsa, già 92 in questa). Succede, adesso, con il referendum costituzionale. Funziona come una prova del nove, per accertare che gli italiani siano d’accordo sulle modifiche alla Carta decise in Parlamento; però stavolta serve a ottenere le elezioni.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Tucci Claudio
Titolo: Cuneo fiscale, platea allargata e per il 2021 1 miliardo in più – Taglio del cuneo anche oltre i 35mila euro
Tema: Cuneo fiscale
L’operazione ” taglia-cuneo” per i lavoratori dipendenti potrebbe salire oltre i 35mila euro di reddito; e per Il 2021 il governo è pronto a mettere sul piatto 1 miliardo di euro in più per portare così la dote a disposizione da 5 a 6 miliardi di euro (per quest’anno sono confermati 3 miliardi di euro). Con queste due ulteriori novità, l’intervento per portare, quest’anno, circa 500 euro medi in più (mille nel 2021) nelle buste paga entra ufficialmente nel vivo: per fine settimana entrante (probabilmente venerdì) è prevista la convocazione dei sindacati da parte del governo. Martedì intanto le sigle, Cgil, Cisl e Uil, riuniranno, tutte insieme, le proprie segreterie. Lo strumento che dovrà dare il via all’operazione è un decreto attuativo, da definire d’intesa con i sindacati. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, è intenzionato a fare presto, e pubblicare il provvedimento entro questo mese per consentire a tutti, datori di lavoro in primis, di adeguarsi alle nuove disposizioni. La vera novità dell’operazione “taglia-cuneo”, targata Conte 2, riguarda i circa 4,5 milioni di lavoratori che guadagnano trai 26.600 euro e i 35mila euro. A costoro infatti verranno estesi, totalmente o parzialmente gli 80 euro, introdotti dal governo Renzi, considerato che oggi non li percepiscono. Qui però potrebbe esserci una novità. L’esecutivo, forte delle prime elaborazioni che si stannofacendo al Mef, starebbe pensando di allargare la platea dei beneficiari oltre i 35mila euro di reddito. Unasceltadettatadalla necessità di creare un decalage più morbido per evitare “scalini” troppo rigidi e penalizzanti per i lavoratori, che guadagnano poco di più.
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  …
Titolo: Dai congedi di paternità ai contratti a termine la forbice pubblico-privato torna ad allargarsi
Tema: Lavoro
La manovra innalza a sette i giorni di congedo peri neo papà nel privato; la ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone, parla di «norma di civiltà», e auspica, risorse permettendo, una equiparazione nella Pa, dove il giorno di astensione peri neo-padri è uno (legge Fornero dei 2012), portato a cinque giorni con la scorsa legge di Bilancio, ma tuttora in attesa di definizione amministrativa. La contrattualizzazione del pubblico impiego è datata 1993; ma ancora oggi, a più di trent’anni da quelle riforme sospinte dalle idee di Massimo D’Antona, il processo di avvicinamento delle due legislazioni lavoristiche è tutt’alto che compiuto. Anzi. Negli ultimi anni, se possibile, le due sfere si sono allontanate, con il pubblico che rimane più garantista, il privato più rigorista. L’ultimo esempio in ordine di tempo lo si è visto con il decreto dignità che ha operato una forte stretta sui contratti a termine. Ebbene, nonostante unavvicinamento tra privato e pubblico, sugli stessi contratti a termine sono rimaste divergenze, specie nel regime sanzionatorio in caso di abusi. Nella Pa, infatti, è sempre esclusa la conversione del rapporto e per i contratti a tempo illegittimi è riconosciuto il solo risarcimento del danno(da 2,5 a 12 mensilità). E nel privato? C’è la conversione a tempo indeteminato, che è una sanzione che grava sul datore in caso di superamento del tetto massimo di durata del contratto (oggi sceso da 36 a 24 mesi). Nel privato, insomma, si punta a scoraggiare i rapporti precari.
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Testata:  Messaggero
Autore:  Cisnetto Enrico
Titolo: Miseria e Nobiltà – Lavoro, basta con i vecchi slogan La svolta è possibile innovando
Tema: Lavoro
Reintrodurre l’articolo 18? Ridurre ex lege di alcune ore la settimana lavorativa? Ogni tanto, ciclicamente, c’è chi non trova di meglio da fare che riesumarevecchie e (per fortuna) superate proposte. Non se ne farà niente, ma intanto 5Stelle e LeU sono pronti a dare battaglia, senza minimamente tener conto che il lavoro, i processi produttivi, l’organizzazione delle fabbriche del 2020 sono oggi distanti anni luce dai modelli fordisti del Novecento, quando intelligenza artificiale, interne, stampanti 3d non erano nemmeno fantascienza. Per cui applicare gli schemi del passato non solo non funziona, ma è controproducente. Così sarebbe se passasse l’idea che in certi casi – solo per le aziende con più di 15 unità, solo per gli assunti dopo marzo 2015 e solo per i licenziamenti senza giusta causa – invece dell’indennizzo economico al lavoratore venisse garantita la “reintegra” sul posto di lavoro. In pratica, una controriforma che riporterebbe indietro di 50 anni, quando lo Statuto dei Lavoratori regolava ben altri sistemi di lavoro. Tra l’altro, ignorando che senza articolo 18 in due anni i licenziamenti sono calati del15% (Inps) e i contenziosi del 30% (Inapp). Stessa cosa sarebbe con la riduzione delle ore di lavoro a parità di salario, secondo lo schema “4 giorni lavorativi la settimana per 6 ore quotidiane”.
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Testata:  Stampa
Titolo: L’intervento – Tridico: “Con quello che guadagnano i dirigenti siano disposti a spostarsi”
Tema: Dirigenti pubblici
Gentile Direttore, per la prima volta nella storia dell’Inps e come riconosciuto anche dalle OOSS e dai Ministeri vigilanti, ho avviato un processo di riorganizzazione partecipato e trasparente: 7 mesi di incontri con personale, dirigenti, Consiglio di indirizzo e vigilanza e sindacati; ho anche suddiviso i dirigenti apicali in tre gruppi di lavoro da cui sono emerse le decisioni più importanti, discussi poi in incontri e convention con 500 dirigenti di seconda fascia. Quindi il percorso è stato focalizzato su temi, strategie, assetti, scelte organizzative per migliorare servizi all’utenza e efficienza. Poi, al momento dell’individuazione dei titolari degli incarichi, invece di trattare con leader politici e sindacali, come voci del passato riportavano, ho chiesto una previa selezione a una commissione di tre professori universitari e la proposta al Direttore generale sulla base dei principi delle competenze, della rotazione, dell’osmosi fra centro e territorio, portando sul territorio chi non c’era mai stato e riportando dal territorio direttori che avevano lavorato in trincea. Ho avuto il coraggio o l’incoscienza (scelga lei) di applicare un principio di rotazione degli incarichi, come suggeriscono ANAC e un nostro regolamento (precedente al mio arrivo): quindi sono andati sul territorio alcuni direttori che non avevano mai visto una sede operativa. Preciso che all’oggi a distanza oramai di 3 mesi dalla riorganizzazione e di uno dalle nomine, non c’è nessun ricorso legale, ma solo una lettera di un avvocato di parte che difende suoi clienti.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Salvia Lorenzo
Titolo: Intervista a Mario Monti – «Le colpe di chi fuggì» – «Spero che Macron non ceda perché ha idee avanzate E l’Europa ha bisogno di lui»
Tema: Intervista a Mario Monti
«Mi auguro sia solo una ritirata temporanea». Perché? «Altrimenti sarebbe un segnale negativo per il presidente francese e per l’Europa: Macron è il leader con le idee più avanzate sul come costruire una nuova Europa. La sua forza nello spingere su questo sentiero gli altri Paesi europei, a partire dalla Germania, risulterebbe tanto più attenuata quanto meno riuscisse ad andare avanti sulle riforme strutturali a casa sua, che sono sempre il banco di prova di un governo». Il senatore a vita Mario Monti la sensibilità della politica al tema pensioni la conosce bene. Fu il suo governo, nel 2011, a portare a casa quella riforma Fornero che ancora oggi è al centro di ogni campagna elettorale. Che segnale è, questo, per la Mancia? «Non positivo ma nemmeno una catastrofe. Si fa temporaneamente marcia indietro solo su un elemento ulteriore di riforma, la cosiddetta età di equilibrio, che non era nella piattaforma elettorale di Macron e che il premier Philippe ha voluto successivamente includere». Ma le pensioni sono sempre un tema tabù. Ancora di più dopo tanti anni di crisi? «La crisi ha reso più sensibile questo nervo. E la politica monetaria molto accomodante degli ultimi anni ha attenuato la percezione da parte dei mercati degli squilibri delle finanze pubbliche, inclusi quelli dei sistemi pensionistici. Se nel 2011 ci fosse stato il Quantitative easing e non una Bce super esigente, la nostra riforma non sarebbe passata così velocemente».
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Di Vico Dario
Titolo: Il corsivo del giorno – Se vacilla il mito liberal – Se Macron inciampa sulle pensioni, l’Italia non può ridere
Tema: Pensioni
Dopo Putin anche Macron si è inchinato alle proteste contro la riforma delle pensioni? Lo sapremo con certezza nei prossimi giorni, capiremo se è solo un mezzo dietrofront ma la posta in gioco è ulteriormente salita. I francesi con i loro 42 regimi previdenziali, che consentono a un macchinista delle ferrovie di lasciare il lavoro a 50 anni, spendono il 14% del Pil. Un dato che li vede molto in alto nelle classifiche Ocse e che Macron vuole correggere. Le vicende di Parigi ci portano anche a guardare in casa nostra. Il governo Monti varò, senza opposizione dei sindacati, la riforma Fornero che ha via via allungato l’età pensionabile fino ai 67 anni. I problemi si produssero successivamente, con gli errori commessi nei confronti degli esodati e con l’iniziativa della Lega, capace di costruire parte dei suoi successi chiedendo l’abolizione della Fornero (e una volta al governo varando quota 100). Ma visto che sulla materia sta inciampando anche Macron noi italiani possiamo ridercela? Purtroppo no. Nonostante le riforme fatte, le pensioni, rapportate al Pil, costano in Italia comunque più che in Francia.
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Testata:  Repubblica
Autore:  Conte Valentina
Titolo: In pensione da 62 Contropiano di Cgil, Cisl e Uil
Tema: Pensioni
I sindacati dicono no all’ipotesi di superare Quota 100 fissando in 64 anni di età anziché i 62 attuali – e 36 o 38 anni di contributi i requisiti per andare in pensione prima, una sorta di “Quota 102”. Un no senza appello perché quell’idea – che il governo accarezza prevede un ricalcolo per intero delle pensioni future col contributivo (si prende in base ai contributi versati). E quindi un’implicita penalizzazione – un taglio dell’assegno – per chi ancora ricade nel sistema misto e vanta diversi versamenti, fino a 15 anni, nel più vantaggioso retributivo (si prende in base alle ultime retribuzioni). Ecco dunque la controproposta di Cgil, Cisl e Uil. Non solo per superare Quota 100, misura sperimentale che, scadendo il 31 dicembre 2021, crea uno scalone e allunga la permanenza al lavoro di 5 o più anni dall’oggi al domani. Ma anche per sostituire una volta per tutte la legge Fornero. Come? Cosi: in pensione dai 62 anni con almeno 20 di contributi e calcolo della pensione pro-rata (i contributi versati col retributivo non vengono dunque ricalcolati e penalizzati). Oppure 41 anni di contributi a prescindere dall’età. E sconti per i lavori gravosi, le donne, i giovani con carriere discontinue. Il clima per ora è di dialogo. I sindacati attendono la convocazione del governo al tavolo sulla previdenza già inaugurato dal premier Conte. Ma non sono disposti a sconti. «Non faremo barricate come in Francia, ma certo siamo pronti alla mobilitazione permanente», scandisce Roberto Chisel li, segretario confederale Cgil, con delega alla previdenza.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Ferrando Marco 
Titolo: Intervista a Gian Maria Gros-Pietro – Gros-Pietro: «Dalla sostenibilità spinta in più per il made in Italy» – «Dalla svolta sostenibile spinta al made in Italy»
Tema: Made in Italy

«Il 2020 potrebbe riservare qualche sorpresa, non per forza negativa». Il presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros Pietro, economista industriale in forza al credito, guarda all’anno appena iniziato incrociando il punto di vista delle imprese con quello della finanza. E rivela un ottimismo non scontato: «Il cambio di paradigma verso la sostenibilità sta accelerando e può sostenere molto più del previsto il made in Italy, che ha costruito la sua resilienza sulla capacità ormai strutturale di aderire al terreno, e di adattarsi con estrema rapidità ai suoi cambiamenti», ragiona con Il Sole 24 Ore in questo inizio d’anno. Professore, per il 2020 la banca si aspetta una crescita del Pil dello 0,4%, non solo meno del Governo che è ottimista per necessità ma anche di Bankitalia (0,5%) o di Jp Morgan che si è lanciata in un ambizioso +0,7 per cento. Lei come la pensa? “Ovviamente come il nostro ufficio studi, che è cauto e fa bene a esserlo. Ma non mi stupirei se nel corso dell’anno ci fosse qualche segnale positivo in più”. In settimana la Germania è uscita con dati contrastanti, la produzione industriale in Italia è ferma. E poi ci sono tutte le incertezze geopolitiche. “Le criticità sono evidenti, siamo all’incrocio di una serie di transizioni epocali che spaziano dalla tecnologia all’ambito socio-politico, ma quello che conta è l’esito finale. Che non è scontato, anzi: come dimostra la crisi Iran-Usa di questi giorni, in pochi oggi hanno interesse al fatto che la situazione sfugga di mano, con le possibili conseguenze sull’economia e la crescita globale, di cui tutti hanno bisogno.”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Fontanarosa Aldo 
Titolo: Export italiano, nuovo incubo dazi Stavolta a rischio anche vino e pasta
Tema: Export italiano

Il nostro olio, i vini, la pasta italiana. Da domani, gli Stati Uniti potrebbero imporre nuovi dazi all’Ue. E la black list tornerebbe a colpire anche i prodotti simbolo del nostro Paese. L’associazione Coldiretti – che lancia l’allarme – pronostica aumenti dei dazi fino al 100 per cento. Una bottiglia di prosecco, per fare solo un esempio, arriverebbe a costare 15 dollari invece degli attuali dieci. Le esportazioni italiane di olio, pasta e vino verso gli Usa – che valgono 2,24 miliardi di euro l’anno – vanno incontro a un vistoso ridimensionamento. Rischiano anche i biscotti (e così il volume d’affari interessato salirebbe a 3 miliardi). Sarebbe il secondo intervento a colpire le tante aziende del settore. Già nell’ottobre scorso, il Dipartimento statunitense al Commercio (Ustr) ha deciso dazi aggiuntivi del 25 per cento nei confronti di prodotti italiani come i formaggi (parmigiano reggiano, grana padano, gorgonzola, asiago, fontina, provolone); ma anche a danno di salami, mortadelle, crostacei, molluschi, agrumi, succhi e liquori (a partire da amari e limoncello). Se la nuova ondata di dazi investirà olio, pasta e vino, prenderà forma una beffa per il made in Italy. Tante famiglie americane rinunceranno all’acquisto dei nostri alimenti, scoraggiate dal prezzo in aumento, proprio ora che la loro volontà di acquisto cresce. Nel 2019, i consumatori statunitensi hanno manifestato una richiesta crescente di cibi tricolori. ll vino è ormai il prodotto italiano più venduto negli States.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rizzo Sergio 
Titolo: Appalti, tre ricorsi al giorno Ecco come si bloccano le gare
Tema: Appalti

Mancava la firma “in calce”. Intendiamoci, la firma c’era, soltanto che era sul frontespizio dell’offerta. Tutto per giunta in busta chiusa, elaborati compresi. Ma tanto è bastato perché l’impresa che aveva perso la gara per la manutenzione della Casa dello studente di Perugia, un appalto da oltre 8 milioni, facesse ricorso al Tar. E poi, sconfitta dal buonsenso in primo grado, ricorresse in appello al Consiglio di Stato lamentando che i giudici di primo grado avrebbero «omesso di considerare che, se è vero che la giurisprudenza ormai non prevede più l’obbligo di sottoscrivere tutte le pagine dell’offerta, ciò nonostante prevede l’obbligo della sottoscrizione, per tale dovendosi intendere almeno la firma in calce». Ricorso, ovviamente, respinto. E respinto anche quello dell’impresa battuta alla gara del Comune di Caserta per la sistemazione di una caserma (opera da 4,8 milioni) che chiedeva l’esclusione del concorrente aggiudicatario per «mancata sottoscrizione in calce» dell’analisi giustificativa dei prezzi di lavori non previsti nei listini ufficiali. Stesso destino subito dal ricorso della ditta soccombente alla licitazione per la copertura del Palazzo civico di Cagliari. Così ostinata nella pretesa di far escludere il vincitore perla mancanza di una firma “in calce” da fare addirittura ricorso al Consiglio di Stato per la revoca della sentenza dello stesso Consiglio di stato. Le aziende interessate assumono più avvocati che progettisti e la giustizia amministrativa si ingolfa.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Daveri Francesco – Verona Gianmario 
Titolo: Perché ha senso investire in Italia (e viverci) – Imprese di successo e finanza pubblica Perché l’Italia è un Buy e non un Sell
Tema: Investire in Italia

Quando l’economia italiana arriva sotto i riflettori lo fa spesso perle ragioni sbagliate. Giusto un anno fa, il New York Times titolava: «L’Italia cade di nuovo in recessione, alimentando paure globali». Il giornale più famoso del mondo registrava che il Pil italiano era di nuovo sceso e per due trimestri consecutivi, alimentando il timore della terza recessione in undici anni. E in più ricordava anche che eventuali guai italiani potevano essere cattive notizie per il mondo intero. Non esattamente uno spot pubblicitario per il nostro Paese. Poi, nel corso dell’anno, si è scoperto che i timori di recessione erano sopravvalutati: negli ultimi due anni l’economia italiana è semplicemente rimasta più o meno ferma dov era. Ma tant’è: dopo qualche mese, l’Economist – nel segnalare l’arrivo di «uno scorcio di buone notizie sul fronte economico» – ha comunque scelto di titolare: «L’Italia è fuori dalla recessione: ma per quanto tempo?». Le conseguenze L’incapacità dell’economia italiana di crescere a tassi decenti non è una novità. Dopo l’adozione dell’euro e l’ingresso della Cina nel Wto (the World trade organization) la crescita dell’Italia è scesa a un magro o,i per cento all’anno, che si confronta con un 1,4 per cento per il resto dell’area dell’euro nello stesso periodo molto meglio di quanto si di tempo. A sua volta, la scom- possa pensare. parsa della crescita ha altre E vero, i governi cambiano spiacevoli conseguenze.
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Testata:  Quotidiano del Sud L’Altravoce dell’Italia 
Autore:  Napoletano Roberto 
Titolo: L’editoriale – Un piano per l’Italia
Tema: Investimenti pubblici

Se il governo italiano dedicasse un decimo del tempo che impiega in politica estera a come far funzionare la macchina degli investimenti pubblici di questo Parse, potrebbe rimettere in moto l’economia e guadagnare stabilità politica. Per contare qualcosa in un’Europa che non conta niente e si muove in coda alla Turchia di Erdogan e alla Russia di Putin sugli scacchieri africani e mediorientali (a questo si è ridotta!), l’Italia deve recuperare il rango di Paese Fondatore che solo una crescita economica duratura e una lunga stagione di governabilità possono restituirle. Si deve sporcare le mani con il suo unico, irrisolto problema sistemico, la riunificazione economica e sociale delle due Italie, e fare i conti con l’operazione verità lanciata da questo giornale, condivisa ai massimi livelli dell’indagine economica, statistica, contabile, anche nella sede più rappresentativa della democrazia che è il Parlamento. Avere sottratto per dieci anni consecutivi 60 miliardi l’anno di spesa sociale e, soprattutto, di infrastrutture di sviluppo, entrambe dovute, alle popolazioni meridionali per fare un regalo ai territori settentrionali e alimentare il peggiore assistenzialismo, ha trasformato il Nord produttivo in una appendice meridionale dell’industria tedesca afflitta da fragilità senile e ha condannato il Mezzogiorno al declino ambientale e alla diffusione della povertà. Questo atto di ottusa miopia ha messo l’Italia fuori gioco.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Trump e Ue, politica estera cercasi – Europa e Trump senza una chiara politica estera
Tema: Trump – Ue

La decisione del presidente Trump di uccidere Qassem Suleimani ha “scrollato” (secondo Judy Dempsey) le leadership europee e le loro opinioni pubbliche. La discussione che ne è seguita, però, ha riguardato la legittimità o la necessità di quella decisione, non già perché quest’ultima non avesse una giustificazione strategica. Di questo occorre invece discutere. Il mio argomento è che non l’ha avuta, non solo per le caratteristiche personali del presidente americano ma soprattutto per le difficoltà politiche degli Stati Uniti (Usa). Una difficoltà preoccupante se si considera, a sua volta, l’impossibilità dell’Unione europea (Ue) a esercitare un ruolo internazionale. Mi spiego. Gli Usa sono stati la potenza egemone del secondo dopo guerra. La loro egemonia è stata sostenuta da un consenso interno per un sistema internazionale retto da organizzazioni multilaterali (il cosiddetto liberal international order). A partire dall’invasione dell’Iraq (2003), però, gli Usa non sono stati più capaci di esercitare quella egemonia, per i cambiamenti intervenuti internazionalmente ma anche per la disintegrazione del consenso bipartisan interno.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: Conte a Sarraj: lavoriamo per la pace Merkel e Putin: presto il vertice di Berlino – Serraj a Conte: «Sì alla tregua, ma Haftar deve ritirarsi»
Tema: Libia

Senza nascondersi tutte le difficoltà dell’impresa, l’Italia continua a svolgere il ruolo di facilitatore nella crisi libica riconoscendo la gravità della situazione e le difficoltà che il Governo di accordo nazionale di Tripoli sta subendo per difendersi dalle aggressioni delle forze armate del generale Haftar. Continuerà a lavorare, annuncia il premier Conte, senza «agende nascoste», ma alla luce del sole cercando di fare pressione su Turchia e Russia da una parte e con i partner europei dall’altra (ieri il premier ha parlato anche con il presidente francese, Emmanuel Macron) per arrivare quanto prima alla conferenza di Berlino, al cessate il fuoco e all’embargo sulle armi. L’incontro di due ore e mezza, ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, tra il premier, Giuseppe Conte e il presidente del Governo di Tripoli, Fayez al Serraj, è servito non solo a chiudere la vicenda della “gaffe” di mercoledì (quando Serraj aveva saltato la tappa romana, irritato per la presenza di Haftar nella capitale), ma per concordare le future mosse politico-diplomatiche necessarie a convincere Haftar a sospendere l’assedio a Misurata e Tripoli. Un’opera di ricucitura alla quale hanno lavorato nelle ultime ore la diplomazia italiana insieme ai servizi di intelligence, a cominciare dal responsabile dell’Aise, Luciano Carta.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Sarraj da Conte, colloquio di tre ore Poi l’annuncio di Haftar: sì alla tregua
Tema: Libia

Con un colpo a sorpresa, dopo l’appello congiunto di Turchia e Russia, dopo che ieri il primo ministro libico Sarraj è stato ricevuto da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, le forze del generale Khalifa Haftar hanno annunciato il cessate il fuoco. Secondo quanto ha riportato l’agenzia turca Anadolu, le truppe libiche leali ad Haftar hanno annunciato di accettare l’appello avanzato questa settimana da Putin ed Erdogan. La notizia è arrivata in serata, al termine di una settimana di contatti diplomatici e incontri che si sono svolti fra Ankara, dove si sono visti Putin ed Erdogan, Mosca, dove ieri è stata Angela Merkel, Roma, dove Conte ha ricevuto Sarraj e quattro giorni fa lo stesso Haftar, Bruxelles, dove i ministri degli Esteri della Ue hanno discusso del dossier libico. È chiaramente una svolta, la prima da quando le truppe del generale Haftar hanno attaccato Tripoli ad aprile dell’anno scorso. Ed è il primo successo diplomatico da quando è scoppiata la guerra civile, un segnale che può aprire spiragli di pacificazione in vista della prossima Conferenza di Berlino, che dovrebbe tenersi fra qualche settimana e coinvolgere almeno 13 Stati che hanno interesse a una soluzione politica. Giuseppe Conte ha dichiarato che «è il primo passo per perseguire una soluzione politica, c’è ancora tanta strada da percorrere, ma la direzione è quella giusta». Nell’incontro di ieri a Palazzo Chigi Fayez al Sarraj ha riconosciuto il ruolo dell’Italia e ha espresso «apprezzamento» per gli sforzi diplomatici del nostro Paese.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Libia, Haftar accetta la tregua. Serraj a Conte: “Allora si ritiri” – Libia, Haftar obbedisce al Cremlino “Sì da subito al cessate il fuoco”
Tema: Libia

Khalifa Haftar accetta il cessate-il-fuoco chiesto da Russia e Turchia. II generale di Bengasi, che dal 4 aprile attaccava Tripoli e il governo di Fayez Serraj, ieri notte ha fatto annunciare dal suo portavoce Mismari che si adeguerà al cessate il fuoco «nella parte Ovest del Paese, a patto che il governo di Tripoli lo rispetti». Per il modo in cui l’annuncio è stato fatto, sembrerebbe sicuro che la tregua verrà rispettata. Innanzitutto, la solennità dell’annuncio televisivo e dei comunicati diffusi dagli account Facebook della “Libyan National Army”. Ma poi una serie di segnali convergenti che adesso vengono letti in maniera più chiara. Prima di tutto ci sono gli avvertimenti pubblici che i russi hanno lanciato alla parte di Haftar, e di sicuro il loro lavoro sotterraneo. Il secondo aspetto è il ruolo giocato dagli Stati Uniti, che proprio a Roma, nelle ore in cui si tenevano gli incontri con Conte, hanno fatto recapitare i loro messaggi sia ad Haftar che al presidente del governo di Tripoli, Fayez al-Serrai. Ieri sera l’ambasciata americana a Tunisi ha diffuso un comunicato per dire che «gli Stati Uniti appoggiano con favore gli sforzi per il cessate-il-fuoco: un accordo è stato raggiunto fra le due parti per ottenere una soluzione politica. Gli Usa confermano il loro sostegno all’azione delle Nazioni Unite». Gli Stati Uniti, dunque, parlano di «accordo raggiunto dalle parti», il che lascerebbe pensare che anche il governo di Tripoli accetterà la tregua.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Lombardo Ilario 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – Di Maio: in Libia con i caschi blu – “Una missione in Libia con i caschi blu Presto trilaterale Roma-Mosca-Ankara”
Tema: Libia

Luigi Di Maio risponde al telefono dal suo breve tour elettorale in Emilia-Romagna. Ancora una volta è lui solo a mettere la faccia su una sconfitta certa del MSS, a dimostrazione che resta il capo politico, anche di fronte all’amarezza di questi giorni e alla logica della politica che davanti alle molteplici disfatte consiglierebbe di mollare. Da ministro preferirebbe parlare di politica estera, ma l’eterna faida dei 5 Stelle lo risucchia e lo mette di fronte a quelle indiscrezioni che non smentisce con nettezza. Ma cominciamo dalla Libia. E da una notizia. Si parla di una missione militare di pace, è vero? «In passato abbiamo avuto alcune missioni di pace sbagliate nei tempi e nella forma, altre virtuose. Sono i libici gli unici titolati a decidere il proprio futuro e ogni processo dovrà essere inclusivo e intralibico, ma laddove le parti fossero d’accordo, visto che abbiamo raggiunto un cessate il fuoco (sperando che dopo l’annuncio di Haftar sia rispettato da tutti), come Ue credo sia opportuno pensare a un’iniziativa che possa garantire un’intesa». Dei caschi blu europei? «Perché no? Sarebbe l’unico modo per fermare le interferenze esterne, il massacro di civili innocenti e per dare all’Ue una sola voce». Sul modello Libano? Con soldati italiani? «Il modello Libano è una di quelle missioni Onu di pace vere, dove i nostri militari si sono perfettamente integrati e dove la guida italiana ha fatto la differenza».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  R.Es.
Titolo: Iran: «Abbiamo abbattuto noi il Boeing» – Teheran: «Abbiamo abbattuto noi il Boeing»
Tema: Iran

Dopo aver tentato pergiorni di coprire l’accaduto, negando le «bugie» dei servizi di intelligence occidentali, il governo di Teheran si è arreso e ieri ha ammesso che sono stati i suoi stessi missili ad abbattere il Boeing 737-800 ucraino, l’8 gennaio. Nonvolutamente, maacausa di un «imperdonabile» errore umano, “forzato” dalla tensione determinata dall’escalation con Washington, dopo l’uccisione del generale Qasem Soleimani, eliminato il 3 gennaio a Baghdad da un drone Usa La prima ammissione è arrivata tramite latvdi Stato iraniana, secondo la quale la contraerea di Teheran ha «involontariamente» abbattuto l’aereo sul quale viaggiavano 176 persone, tutte morte. Il Boeing della Ukraine International Airlines è stato scambiato per un «razzo nemico». Poche ore prima della tragedia, le forze armate iraniane avevano lanciato un attacco missilistico contro basi americane in Iraq, come rappresaglia per l’uccisione di Soleimani, ed erano in stato di massima allerta. I militari hanno promesso che metteranno in atto «riforme nei processi operativi per evitare simili errori in futuro» e che faranno giustizia. Poi è arrivata l’assunzione di colpa da parte del generale della forza aerea delle Guardie della rivoluzione, Amirali Hajizadeh: «Un soldato ha agito in maniera indipendente, sparando senza averne avuto ordine. il sistema di comunicazione era interrotto. L’operatore non è riuscito a contattare il comandante e aveva io secondi per decidere. Ha preso la decisione sbagliata».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  V.Ma. 
Titolo: Teheran e l’aereo: il missile era nostro Proteste in piazza – Teheran ammette: l’aereo, un errore Rabbia degli studenti «Morte ai bugiardi»
Tema: Iran

Shehad Sahar, la «città del testimone», è il nome di un poverissimo quartiere nel Sud della capitale iraniana, a pochi chilometri dall’aeroporto Imam Khomeini. Qui l’aereo della Ukraine International Airlines è precipitato in fiamme mercoledì scorso, mancando per 800 metri una centrale elettrica e una fabbrica di batterie, e per molto meno le case degli abitanti. E esploso in uno spiazzo non edificato, davanti a un parco giochi che abbiamo visitato ieri, accompagnati da un anziano tassista veterano di guerra, che serve il tè in macchina per riscaldarsi. Non può credere che sia stato un missile, «non ha senso». Aspettiamo che la luna piena ceda il posto all’alba, dice. «Aspettiamo che si schiarisca un po’ l’aria». Attraverso le inferriate del cancello da cui pende il nastro giallo della polizia, sono visibili grossi pezzi di metallo accartocciato accanto alle giostre dei bambini. La fusoliera, fotografata qui nel giorno dell’incidente, è stata rimossa lasciando nel fango una scia di sedili imbottiti, pezzi di finestrini insieme agli oggetti più intimi dei 176 passeggeri, reggiseni, taccuini. Nell’esaminare la cabina di pilotaggio l’altro ieri gli investigatori ucraini erano certi: a colpirla era stato un missile. Dopo tre giorni di smentite, a sorpresa, il governo iraniano ha annunciato l’esito ieri mattina: è stato un missile terra-aria dei Guardiani della Rivoluzione – ha ammesso – ad abbattere l’aereo. “Un errore umano”.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Del Re Pietro 
Titolo: L’Iran ammette: il Boeing abbattuto per errore – Iran, svolta sull’aereo “Abbattuto da noi” Proteste a Teheran contro Khamenei
Tema: Iran

Dopo tre giorni di smentite e dinieghi, l’Iran ha riconosciuto di aver abbattuto con un missile terra-aria l’aereo dell’Ukrainian Airlines precipitato dopo il decollo dall’aeroporto di Teheran. Mercoledì scorso, il Boeing 737 con a bordo 176 persone è stato scambiato per un missile da crociera statunitense, ha sostenuto il governo degli ayatollah, giurando che i colpevoli saranno duramente puniti. La confessione e le scuse Ieri mattina, dopo una prima confessione in tivvù del generale Amir Ali Hajizadeh, alla guida delle forze aeree dei Guardiani della Rivoluzione, responsabili dell’accaduto, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha scritto una lettera aperta alla nazione in cui si rammarica profondamente per la «terribile catastrofe e l’errore imperdonabile», confermando così la versione fornita dai servizi di intelligence americani, canadesi e britannici. Rouhani ha detto di essere stato informato da poche ore soltanto e ha porto «le sue più sentite condoglianze» alle famiglie delle vittime, promettendo di prendere tutte le misure necessarie per compensare i parenti in lutto e per restituire al più presto i corpi dei loro cari. L’accusa contro gli Stati Uniti Poco prima, il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif aveva imputato parte delle responsabilità anche agli Stati Uniti, colpevoli di aver creato il clima di tensione in cui è nato l’errore della contraerea.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  R.Es. 
Titolo: Parigi revoca la riforma delle pensioni – Parigi, ancora scontri Il Governo ritira la riforma pensioni
Tema: Francia

A Parigi va in scena il 38° giorno di sdoperi contro la riforma delle pensioni e il Governo apre al compromesso e annuncia una parziale marcia indietro, con il ritiro «provvisorio» del punto che creava più problemi coni sindacati, l’introduzione di una soglia di età a 64 anni (più alta dell’età minima, confermata a 62 anni) per poter lasciare il lavoro senza subire tagli all’assegno previdenziale. Il premier, Edouard Philippe, ha inviato ieri una lettera alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, nella quale si dice «disposto a ritirare» in via provvisoria la soglia dei 64 anni, pur mantenendo il principio di un’età di equilibrio. È questa una delle misure chiave della riforma, pensata per incentivare carriere più lunghe, in modo da contenere l’aumento del rapporto tra pensionati e attivi, destinato a crescere per l’invecchiamento della popolazione. «Per dimostrare la mia fiducia nei confronti dei partner sociali – scrive Philippe – e non pregiudicare il risultato dei loro lavori sulle misure da adottare per raggiungere l’equilibrio 2027, sono disposto a ritirare dal progetto di legge la misura di breve termine che avevo proposto, consistente a convergere gradualmente a partire dal 2022 verso un’età di equilibrio di 64 anni nel 2027». Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha parlato di «compromesso costruttivo e responsabile».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Montefiori Stefano 
Titolo: Ora Macron frena sulle pensioni – A Parigi una marcia indietro (a metà) «Riforma delle pensioni da rivedere»
Tema: Francia

Al 38° giorno di protesta, quando si diffonde la notizia che il governo è pronto è ritirare la misura sull’«età spartiacque» di 64 anni, i manifestanti esultano ma non gridano ancora vittoria. «Non ci fermiamo», è lo slogan, ripetuto nell’enorme striscione lasciato ai piedi della «colonna di luglio» della Bastiglia. Bene la prima mezza marcia indietro del governo, ma non è abbastanza: l’obiettivo resta il ritiro totale della riforma della pensioni. La lotta contro il piano promesso già in campagna elettorale da Emmanuel Macron e adesso difeso dal premier Edouard Philippe ha vissuto ieri una giornata importante: il movimento è ancora vivo, come dimostrano le migliaia di francesi scesi in piazza a Parigi (21 mila secondo il governo, 150 mila per il sindacato Cgt) e in tutta la Francia (149 mila compresa Parigi secondo il governo, 500 mila per la Cgt). Accanto al corteo sindacale hanno sfilato centinaia di gilet gialli, che portavano corone di fiori in omaggio al fattorino Cédric Chouviat, morto dopo un violento controllo di polizia il 3 gennaio scorso e diventato il simbolo di un uso della forza che molti denunciano come sproporzionato e intimidatorio.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ginori Anais 
Titolo: Mezza retromarcia di Macron per dividere i sindacati “Stop all’aumento dell’età”
Tema: Francia

Il governo francese fa una concessione simbolica sulla riforma delle pensioni e cerca di spaccare l’unità dei sindacati. Con una lettera inviata ieri, il premier Edouard Philippe ha annunciato alle parti sociali di voler sospendere «provvisoriamente» uno dei punti più controversi del progetto, ovvero l’introduzione di un’età di equilibrio a 64 anni per ottenere una pensione piena rispetto ai 62 anni previsti oggi. Al trentottesimo di sciopero, mentre ieri c’è stata l’ennesima giornata di cortei e scontri a Parigi e Nantes, si entra così in una nuova fase. I sindacati riformisti chiedevano da tempo il ritiro dell’innalzamento dell’età pensionabile inserito nella riforma, una «linea rossa da non valicare», secondo la definizione del leader della Cfdt, Laurent Berger. Ora che la grande confederazione riformista, che ha superato la radicale Cgt per numero di iscritti, è stata accontentata, incassando una vittoria politica, è probabile che Berger cambierà le Il record parole d’ordine, sfilandosi dai cortei in piazza e dagli appelli a scioperare. Restano però varie incognite. Bisognerà vedere se la base degli iscritti ai sindacati riformisti seguirà le indicazioni dei dirigenti: il malcontento contro il governo è tale che le reazioni delle varie categorie, soprattutto tra i macchinisti di treni e metropolitana, sono diventate imprevedibili.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Scott Antonella 
Titolo: Merkel e Putin allineati su gas e Medio Oriente
Tema: Medio Oriente

Non tornava al Cremlino dal io maggio 2015: allora, scura in volto, Angela Merkel aveva accettato l’invito per tenere aperto uno spiraglio nel legame con Mosca, stravolto dalla crisi ucraina. E Vladimir Putin aveva cercato di non mostrarsi offeso dal rifiuto della cancelliera tedesca di assistere, il giorno prima, alla parata sulla Piazza Rossa per la vittoria nella Seconda guerra mondiale. «Ci sono problemi tra noi – aveva ammesso il presidente russo, sperando in un miglioramento delle relazioni con l’Europa – ma prima riusclremo a bloccare l’impatto negativo sul nostro rapporto, e meglio sarà». Lei lo gelò: l’annessione della Crimea, disse, «è stato un atto criminale e illegale». Cinque anni dopo, l’agenda dell’incontro tra Merkel e Putin è ancora ingombra di problemi internazionali: la differenza è che ora si va a Mosca per cercare di risolverli. E che su parte dei fronti aperti, a partire dallo sforzo di evitare un conflitto su vasta scala in Medio Oriente, russi ed europei si vengono a trovare più vicini. Per Angela Merkel la priorità era ottenere il sostegno di Putin per la Conferenza di pace a Berlino, dove la Germania conta di raccogliere i protagonisti della guerra in Libia.
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