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SINTESI IN PRIMO PIANO – 15 dicembre 2019

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– Le Sardine conquistano San Giovanni: «Siamo in 100 mila, obiettivo raggiunto»
– Popolare di Bari: piano da 1 miliardo. Sette inchieste dei pm
– Manovra, mancano 700 milioni. Norme a rischio ammissibilità
– Di Maio vola in Libia: riparte l’iniziativa diplomatica in Maghreb
– Corea del Nord: effettuato un altro test «cruciale»
– In Sudan prima condanna per l’ex dittatore Al-Bashir

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Caccia Fabrizio 
Titolo: Roma, le Sardine invadono San Giovanni «Siamo in 100 mila, obiettivo raggiunto» – «Siamo i partigiani del 2020» Le Sardine conquistano Roma
Tema: Movimento Sardine

«Vi do una notizia -dice a sorpresa Mattia Santoni davanti alla piazza piena di San Giovanni – le Sardine non sono mai esistite! Qui ci sono le persone, cervelli che valgono più di un milione di like». Obiettivo raggiunto, esulta il 32enne bolognese, ormai capo-sardina nazionale. La piazza numero 113, quella di Roma, la più impegnativa da quando le Sardine sono nate un mese fa, ieri non ha tradito: «Siamo più di 100mila», annunciano gli organizzatori. Per la prima volta, però, ecco il balletto dei numeri: per la Questura «35 mila persone». Comunque, un successo. E nessuna traccia di CasaPound nella piazza antifascista. «Siamo noi i partigiani del 2020», gridano a Carla Nespolo, presidente dell’Anpi. Susanna Camusso canta tra la folla Bella ciao. Tante le facce note: Isabella Ferrari, Michele Santoro, Erri De Luca. Dalle proteste alle proposte, Mattia Santoni elenca 6 punti pensando a Matteo Salvini, che però non nomina: «Uno: pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare. Due: chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solo nei canali istituzionali. Tre: pretendiamo trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network. Quattro: pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti. Cinque: che la violenza venga esclusa dai toni della politica. E anzi che la violenza verbale venga equiparata a quella fisica. Sei: ripensare, anzi abrogare, il decreto sicurezza». «E da domani inizia la fase due». Alla fine per loro tanti complimenti: «L’Italia s’è desta», twitta il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. «Cambiamola insieme, la nostra bella Italia», l’invito del segretario dem Nicola Zingaretti. Applaude anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi: «Ma non era la piazza dell’amore?», dice la leader di Fdl Giorgia Meloni.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Amabile Flavia 
Titolo: San Giovanni conquistata dalle Sardine – La marea delle Sardine riempie San Giovanni “La sinistra batta un colpo”
Tema: Movimento Sardine

Le sardine avevano lanciato la loro sfida, arrivare a centomila, in modo da restituire una piazza non troppo diversa da quella riempita da Salvini. Secondo i più scettici un obiettivo impossibile. San Giovanni è la piazza più difficile di Roma, il mostro sacro con cui si confrontano solo gli eventi da grandi numeri. Alle 15 sono già decine di migliaia di persone. Alle quattro e mezza sono abbondantemente oltre i centomila. Lo sostengono loro e non si deve essere troppo lontani dalla verità se a quell’ora si sta davvero pressati come sardine in tutta l’area intorno alla Basilica, e anche più in là. Siete 35mila, risponde, come sempre al ribasso, la Questura. Difficile dire quanti siano effettivamente ma di sicuro poco meno di quanti ne aveva portati Salvini in piazza con l’aiuto dei pullman messi a disposizione da Luca Zaia. Quel sabato a San Giovanni, infatti, tre quarti della piazza parlava veneto e le bandiere della Serenissima erano ovunque. Stavolta ci sono soprattutto i romani. Sono pensionati, studenti, insegnanti, impiegati: le principali categorie che negli ultimi anni hanno abbandonato il Pd, a volte facendosi sedurre dai Cinque Stelle, altre volte andando a cercare chi è più a sinistra oppure non andando proprio a votare. È una piazza fieramente schierata ma tristemente priva di un partito.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Venturi Ilaria 
Titolo: E adesso?
Tema: Movimento Sardine

Dopo il successo a San Giovanni, oggi riunione delle sardine: 150 delegati di tutta Italia riuniti in un centro sociale occupato, lì dove l’elemosiniere del Papa riattaccò la corrente elettrica. Il dialogo con la politica è previsto solo in una terza fase. E tra le richieste c’è l’abrogazione dei decreti sicurezza. «Ci incontriamo per fare in modo che a gennaio ci siano altre iniziative, stavolta nelle periferie, sull’Appennino e nei paesi piccoli, nelle comunità più fragili maggiormente esposte alle sirene del populismo di Salvini» spiega Mattia Santori, voce e volto delle sardine. Ma in fondo un programma politico c’è già, sono le cinque proposte lanciate dal palco: pretendere «che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica, invece che stare in campagna elettorale permanente», che i ministri comunichino solo su canali istituzionali, che la violenza venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica, che ci sia trasparenza nell’uso che la politica fa dei social, un’informazione a difesa della verità. Infine, la richiesta di abrogare i decreti Sicurezza, misure simbolo dell’era salviniana. Le sardine partono da qui. Non ci sarà l’incoronazione di un leader, nemmeno indicazioni di voto nelle due regioni, la Calabria e l’Emilia Romagna, dove si andrà alle urne il 26 gennaio.
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Testata:  Stampa 
Autore:  CAR.BER. 
Titolo: Salvini: salviamo l’Italia governando tutti insieme – L’appello di Salvini a tutti i partiti “Ripartiamo da cinque priorità”
Tema: Lega

«Facciamo un passo oltre, faccio un appello a tutti quelli che hanno a cuore il Paese: fermarsi, riflettere, decidere quali sono le cinque priorità del Paese, farle insieme, farle in fretta e poi tornare a votare». Approfitta del No tax day a Milano, Matteo Salvini, per una svolta moderata che segna un cambio di registro. Un appello bipartisan a scrivere le regole insieme, che pur se condito dal refrain delle urne, va registrato, per molteplici motivi. Sulle nuove regole del gioco che la maggioranza sta scrivendo, il leader leghista vuole dire la sua. Ecco perché, se pure senza l’ufficialità di pubbliche dichiarazioni, è sul punto della legge elettorale che il Pd lo sfida a scoprire le carte. «La situazione è grave, molto grave, e merita di superare lo steccato opposizione-maggioranza. Al governo c’è gente inadatta, è evidente anche ai più loro stretti parenti», dice Salvini. «La Lega va oltre l’interesse di parte e si mette in gioco. Noi chiamiamo tutti attorno al tavolo da Leu a Forza Italia e vediamo». Ed eccolo entrare nel merito. «Diamoci cinque priorità: risparmio, infrastrutture, burocrazia, politiche di crescita e tutela della salute. Ci mettiamo attorno a un tavolo, riscriviamo le regole del gioco. In un mese condividiamo le cose su cui siamo d’accordo». Con una chiosa illuminante sulla legge elettorale, alla luce di quanto successo in Gran Bretagna, dove il vincitore si è visto fin dalla sera stessa in modo lampante. «Il sistema elettorale inglese è assolutamente premiante, ma non voglio far morire l’Italia di legge elettorale e siamo disponibili a ragionare su altro», aggiunge il capo leghista
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Fraschilla Antonio 
Titolo: Lega, al congresso fantasma regole sovietiche – Il congresso sotto chiave della nuova Lega
Tema: Lega

Sabato 21 la nuova Lega nazionale di Matteo Salvini accantonerà, in una sorta di bad company, la vecchia Lega Nord di Umberto Bossi con annesso buco da 49 milioni di euro. Alle 8 al centro congressi Leonardo Da Vinci di Milano, nascerà la «Lega per Salvini Premier» nella quale confluiranno le sezioni regionali autonome create davanti ai notai nei mesi scorsi senza clamore. Un congresso fantasma. Salvini lancia la fase due della Lega fondata da Bossi, mettendo in soffitta riferimenti nostalgici (e divisivi) al Nord e all’indipendenza della Padania. La nuova Lega di Salvini sarà una federazione di partiti regionali, autonomi da un punto di vista finanziario, che si chiameranno “Lega Lombardia Salvini premier”, “Lega Sicilia Salvini premier” e così via. Ognuna di queste leghe avrà un proprio statuto e un proprio conto corrente. Un modo, quest’ultimo, per evitare che eventuali “problemi” sul finanziamento al partito arrivino al cuore della Lega, cioè nella stanza del segretario nazionale. Un passaggio molto delicato, quello di sabato, che potrebbe creare non pochi malumori tra i deputati, i senatori e i dirigenti leghisti della prima ora. Non a caso nel riservatissimo regolamento del congresso diffuso ieri solo ai delegati si fa riferimento a regole a dir poco “sovietiche” sul voto del nuovo statuto. Innanzitutto i delegati saranno dotati di «un braccialetto inamovibile da tenere sempre in vista», una sorta di controllo per evitare che non addetti ai lavori possano accedere alle aree riservate.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Cesaretti Laura 
Titolo: Berlusconi serra le file: «Siamo il centrodestra Noi mai con i renziani»
Tema: Fi

«Mai» con Renzi, ma «mai» neppure con Salvini: Silvio Berlusconi celebra l’orgoglio azzurro, e il ruolo autonomo che Forza Italia vuole avere nell’alleanza di centrodestra siglata con il capo della Lega. Perché «siamo gli unici – spiega il Cavaliere – che possono garantire al centrodestra di essere un vero centrodestra. Questa coalizione la abbiamo fondata noi, 26 anni fa, è la nostra casa. E senza di noi l’Italia rischierebbe di staccarsi dall’Europa, resterebbe solo una destra estrema che probabilmente non riuscirebbe a vincere le elezioni, e di sicuro non saprebbe governare». Anche se certo, ironizza rispondendo a chi gli sollecita un selfie, a Fi «servirebbero più voti e meno fotografie». L’ex premier interviene al Palazzo delle Stelline di Milano, per concludere l’evento promosso dal coordinatore regionale di Forza Italia in Lombardia, Alessandro Salini. Una giornata di discussione, con amministratori locali e regionali e parlamentari nazionali, dal titolo evocativo: «Ci siamo: ripartiamo dalla Lombardia per rilanciare l’Italia e l’Europa». Per un’intera mattinata si discute di quelle «buone pratiche di governo» che rendono la Lombardia motore d’Italia, del buon rapporto con la Lega «di governo» che fa funzionare la regione, rivendicando però le differenze di fondo con il partito salviniano: «Non siamo un partito “sovranista”: chi produce, innova e fa impresa sa che senza Unione europea le nostre imprese morirebbero di dazi». Silvio Berlusconi critica duramente il governo, inzeppato di «persone incapaci e impreparate: vedete voi stessi le conseguenze disastrose». E ne critica le politiche, soprattutto su due crinali cruciali: giustizia e tasse, denunciando «l’oppressione fiscale, giudiziaria e burocratica» che paralizza il paese. La riforma della prescrizione firmata dal Guardasigilli grillino Bonafede è «terrificante».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marcoz Enrico 
Titolo: Contatti con i politici e affari «Così i boss hanno preso Aosta»
Tema: Regionali in Valle D’Aosta

Ca cousta l’on ca cousta, viva la cosca» (costi quel che costi, viva la cosca). Scatta la risata all’ora dell’aperitivo nel bar di piazza Chanoux, il salotto buono di Aosta. La battuta, che fa il verso ad un celebre motto degli alpini, fa il giro di una città dove ormai non si parla d’altro. L’inchiesta sul condizionamento delle elezioni regionali del 2018 da parte della ‘ndrangheta è uno tsunami che travolge tutto e tutti in questo spicchio delle Alpi. Secondo le indagini dei carabinieri «il volere elettorale della ‘ndrangheta ha condizionato gli ultimi decenni della storia valdostana». La strategia prevedeva «il controllo della politica locale, considerato un ottimo investimento per aver un maggiore controllo della societá civile e la possibilità di ottenere posti di lavoro e appalti». Quassù la comunità calabrese – circa 30.000 persone su 125.000 residenti – ha un peso importante nella società. Nella regione ai piedi del Monte Bianco i cognomi più diffusi sono Fazari e Mammoliti, mica Blanc o Pession. Per i boss, ragionano gli inquirenti, «un appetibile serbatoio di voti». I boss hanno stretto rapporti con personaggi di primo piano della politica valdostana. Tano che i carabinieri – nelle 800 pagine dell’indagine «Egomnia» – parlano di «un connubio politico-criminale ben radicato nel tessuto sociale». Dal Viminale interviene la ministra Luciana Lamorgese: «Dobbiamo sempre tenere la guardia alta e avere attenzione massima. Si sta lavorando tanto con la magistratura e le forze dell’ordine».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bignami Silvia 
Titolo: Allerta rossa per l’onda verde Saranno 400 mila incerti a decidere il colore dell’Emilia
Tema: Elezioni in Emilia-Romagna

L’Emilia Romagna “regione rossa”, regno dell’appartenenza a un solo colore e a un solo partito, non esiste più. L’incantesimo iniziato nel Dopoguerra s’è lacerato pian piano tra la fine delle ideologie, l’invecchiamento demografico e la crisi economica. E s’è rotto infine cinque anni fa, alle regionali del 2014, quando il tracollo dell’affluenza al 37,3% ha spezzato per sempre il legame un tempo indissolubile tra la sinistra e i suoi elettori. L’era della “regione rossa”, nonostante la vittoria del centrosinistra a quelle elezioni, si chiude lì. E infatti subito dopo, tra le politiche 2018 e le Europee 2019, la regione cambia colore due volte in 12 mesi. Prima diventa gialla 5 Stelle, poi tutta verde Lega. «Il regno della assoluta prevedibilità diventa quello della più completa imprevedibilità», si legge nella ricerca del Cattaneo “Allerta rossa per l’onda verde”, a cura del direttore dell’Istituto Marco Valbruzzi. Dieci capitoli per fare una «radiografia dettagliata» della regione rossa e tracciare l’analisi della fine di un’era, alla vigilia del 26 gennaio in cui l’Emilia Romagna tornerà di nuovo alle urne per elezioni divenute la “linea del Piave” sia per la regione che per il governo. La sfida tra il governatore uscente Stefano Bonaccini, ultimo erede della tradizione Pci-Pds-Ds-Pd, e la leghista Lucia Borgonzoni, avanguardia della destra sovranista che vuole divorarsi anche l’ultimo torsolo di rosso rimasto aggrappato alla via Emilia nella mappa elettorale del 2019, non è però segnata.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Davi Luca – Serafini Laura 
Titolo: Popolare di Bari: piano da 1 miliardo Sette inchieste dei pm – Verso un paracadute da 1 miliardo Invitalia in campo
Tema: Banca Popolare di Bari

II governo prende tempo sul salvataggio della Banca Popolare di Bari, ma serve fare in fretta. Il consiglio dei ministri che si è tenuto venerdì in tarda serata non è riuscito ad approvare il decreto legge che autorizza la ricapitalizzazione del Mediocredito centrale, che dovrebbe entrare assieme al Fondo interbancario per la tutela dei depositi nel capitale della banca pugliese al fine di rafforzarla. Si vedrà se oggi (in serata è atteso un consiglio dei ministri) o al più tardi domani, il decreto legge vedrà la luce: le indiscrezioni parlano di un provvedimento che metta sul tavolo circa i miliardo, da destinare alla popolare barese tramite Invitalia, società che controlla Mediocredito. Venerdì sera il consiglio si è limitato ad esprimere la determinazione ad assumere tutte le iniziative necessarie a garantire la tutela degli interessi dei risparmiatori e a rafforzare il sistema creditizio a beneficio del sistema produttivo del Sud, «in maniera compatibile con le azioni di responsabilità volte ad accertare le ragioni che hanno condotto al commissariamento della banca», disposto da Bankitalia venerdì. Di certo l’amministrazione straordinaria non basta a mettere in sicurezza la banca: la situazione dei conti appare deteriorata, come sta mettendo in evidenza l’ispezione in corso di via Nazionale e come, del resto, il braccio di ferro dei giorni scorsi tra Consob e il vertice uscente dell’istituto sta a dimostrare
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Il retroscena – Il patto del premier con il capo del M5S (e Gualtieri) per il via libera della maggioranza
Tema: Banca Popolare di Bari

Di Maio chiama Conte, gli legge in anticipo le condizioni politiche che dovranno essere contenute nel decreto che oggi sarà approvato dal Consiglio dei ministri per salvare la Banca Popolare di Bari. Sono condizioni che non interferiscono con la struttura tecnica del decreto che il Mef ha già abbozzato, ma che impegnano il governo nel dare una spinta ad almeno due obiettivi: sollecitare l’avvio di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulle crisi bancarie, bloccata da un anno, e chiedere tutte le informazioni possibili sulla vigilanza di Bankitalia esercitata sull’istituto pugliese, per capire a fondo i confini delle responsabilità ed eventuale falle nella prevenzione della crisi. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chiama il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, la triangolazione coinvolge i vertici del Pd, viene comunicata con dovizia di dettagli anche ad Italia viva, e si chiude con la forma di un decreto che nel preambolo dovrebbe contenere le condizioni politiche del Movimento, il faro sull’efficacia della vigilanza bancaria, l’indagine parlamentare, la tutela dei risparmiatori e non dei banchieri. Un preambolo che verrebbe approvato e sigillato a verbale come accordo di maggioranza, sia per sollecitare il Parlamento sia per chiedere il maggior numero di informazioni alla Banca d’Italia, che è intervenuta commissariando l’istituto di credito. In serata fonti del Mef fanno sapere che un’intesa di massima è stata raggiunta e dunque il Consiglio dei ministri di stasera dovrebbe approvare un decreto di salvataggio condiviso da tutte le forze di maggioranza, un’intesa che vale più o meno un miliardo di euro, non si sa ancora come suddiviso fra Fondo interbancario e Medio Credito centrale, ma che dovrebbe avere come punto di caduta una partecipazione diretta pubblica nella governance della Popolare di Bari e dunque come ha detto lo stesso presidente del Consiglio la creazione di un istituto bancario in qualche modo diverso, che possa anche svolgere funzioni di credito a più ampio respiro per il Mezzogiorno
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bonini Carlo – Foschini Giuliano 
Titolo: La Popolare di Bari: dieci mosse per un crac – Popolare di Bari Il crac in 10 mosse
Tema: Banca Popolare di Bari

Un crac in dieci mosse. Quanti i suoi protagonisti indagati per falso in bilancio, false comunicazioni, falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza ed estorsione dai magistrati che hanno sfidato la vischiosità del Sistema di cui la Popolare di Bari è il perno. Sono Marco Jacobini, 73 anni, il padre padrone della banca, presidente del suo consiglio di amministrazione e amministratore di fatto. I suoi figli Gianluca, 42 anni, vicedirettore generale dal 2011 al 2015, quindi condirettore e direttore generale di fatto, e Luigi, 46 anni, dal 2011 vicedirettore generale. Vincenzo De Bustis Figarola, 69 anni, già direttore generale ed amministratore delegato, banchiere preceduto dalla fama di essere un highlander uscito sempre illeso da storie complicate, Mps e Deutsche Bank. Che, ancora il 18 luglio scorso, dopo la pubblicazione di un’inchiesta in due puntate di Repubblica sul suo gigante dai piedi di argilla, ci querelava lamentando la «palese falsità di notizie gravemente lesive della sua immagine». La verità sulla Popolare di Bari non si doveva conoscere. E, a Repubblica, con la querela era arrivata anche una diffida a desistere dal suo giornalismo. A «non reiterare le condotte diffamatorie» pena un risarcimento «per una somma non inferiore a 100 milioni di euro». Più o meno un decimo del buco che, ora, saranno chiamati a tamponare i contribuenti italiani per conto dei dieci indagati.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Trocino Alessandro 
Titolo: Intervista a Luigi Di Maio – «Commissione sulle banche» – «Bella piazza, si può lavorare insieme La Popolare di Bari va nazionalizzata»
Tema: Banca Popolare di Bari

Luigi Di Maio, sul caso Popolare di Bari, al Consiglio dei ministri mancavate voi e Italia viva. Nessuno vuole sentirsi chiamare «amico dei banchieri». Ma i risparmiatori? «Se una banca fallisce non è colpa dei risparmiatori. La solidità del sistema è fondamentale, ma se ci sono manager che hanno prestato soldi allo scoperto, devono pagare. Il tempo del silenzio è finito». Lei frena sul decreto legge, ma non sarebbe meglio prima salvare i risparmi di settantamila famiglie? «Possiamo fare tutte e due le cose: avviare in Consiglio dei ministri il procedimento che metta agli atti i nomi di chi ha ricevuto soldi allo scoperto, facendo chiarezza sui legami politici locali, e contestualmente mettere al riparo i risparmi. E bisogna far partire la commissione d’inchiesta sulle banche. Se lo Stato deve mettere soldi per salvare i conti correnti, dobbiamo fare in modo che quella banca sia nazionalizzata. Il nostro progetto è la banca pubblica degli investimenti». Ma lo votate o no il decreto? «Daremo due risposte: una ai mercati, l’altra ai cittadini».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Conti pubblici È di tre miliardi il costo del restyling della legge di bilancio – Manovra, restyling da almeno 3 miliardi
Tema: Manovra

Un restyling della manovra da non meno di 3 miliardi per il 2020. È quello operato dal Senato nel corso della lunga e lenta navigazione del provvedimento in commissione Bilancio, culminata nella maratona notturna di 14 ore nella notte tra mercoledì e giovedì. Solo il conto dei principali ritocchi e sub-emendamenti di governo e relatori (plastic, sugar e Robin tax in primis insieme alle auto aziendali) si aggirerebbe attorno ai 2,6-2,8 miliardi. Vanno poi aggiunti gli altri correttivi dell’esecutivo e degli stessi relatori e gli emendamenti parlamentari approvati. Ed è su questo mare magnum di macro e micro modifiche che la Ragioneria generale ha posato la sua lente e anche ieri ha continuato il suo lavoro per verificare la solidità delle coperture e “ottimizzare” il maxi-emendamento finale. Che sarà votato domani con la “fiducia” dall’Assemblea di Palazzo Madama. A creare i problemi maggiori sarebbero la formulazione di una parte dell’emendamento sui prepensionamenti di giornalisti e poligrafici, le modifiche sul coinvolgimento dei nuovi medici per le verifiche Inps sulle invalidità e alcuni micro-ritocchi, che da soli valgono in tutto circa 50 milioni. Ma al vaglio dei tecnici e degli esperti di Palazzo Chigi e del Senato sono anche i correttivi di natura esclusivamente “ordinamentale”, e quindi non compatibili con la sessione di bilancio, che, in alcuni casi, potrebbero anche essere “esclusi” dalla stessa presidenza di Palazzo Madama dalla versione finale del maxi-emendamento. Tra le modifiche su cui aleggia lo spettro dello stralcio c’è la Tobin tax sul trading. A rischio anche quella sulla cannabis light e sullo stop alle indennità dei dirigenti pubblici nei casi di mancata trasparenza. L’opposizione si prepara a un duro attacco già durante le dichiarazioni di voto a Palazzo Madama Ma è soprattutto nel passaggio alla Camera che la protesta è destinata a salire.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: Manovra, mancano 700 milioni Norme a rischio ammissibilità
Tema: Manovra

All’appello mancano 600-700 milioni. Misure riscritte, potenziate, inserite ex novo nella manovra. Ma non coperte. I tecnici della Ragioneria dello Stato ci lavorano da venerdì sera. E così sarà ancora oggi e domani, quando non prima del pomeriggio sarà definito il testo da mandare in aula al Senato per il voto. Un testo cruciale, immodificabile dalla Camera dove arriverà per fare solo passerella. I tempi sono talmente stretti che, per evitare di sforare oltre il 31 dicembre e così far scattare l’esercizio provvisorio, quest’anno la legge di Bilancio si limiterà a due passaggi (dal Senato alla Camera) e non tre. La Camera ratificherà e basta, senza possibilità di emendare. E successo solo tre volte nella seconda Repubblica e sempre con governi in crisi (2010, 2011, 2016). I conti dunque non tornano. Al punto che la Ragioneria potrebbe non bollinare le poste scoperte di entità rilevante. Anche il Quirinale è in fibrillazione per la confusione e l’inserimento di norme improprie nel testo. L’opposizione – e non solo – scalpita per la Camera trasformata in passacarte. Mentre il governo è appeso all’ennesimo vertice politico che il premier Conte sarà costretto a convocare domani per decidere cosa mettere o togliere dal maxiemendamento finale su cui verrà chiesto, con ogni probabilità, il voto di fiducia. Desta molte perplessità la valanga di micronorme piombate e poi votate nottetempo in commissione Bilancio del Senato. Insieme valgono all’incirca 50 milioni: dal milione all’anno per tre anni ai carnevali storici e altrettanti per le bande musicali ai 100 mila euro all’anno, sempre per tre anni, destinati allo studio preliminare di un non ben precisato “volo turistico”.
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Testata:  Espresso 
Autore:  Riva Gloria 
Titolo: Un’eredità per tutti contro le disuguaglianze
Tema: Manovra

Senza grandi entusiasmi il varo della legge finanziaria è in dirittura d’arrivo. Teoricamente vale 30,2 miliardi, in realtà il rilancio dell’economia si basa su soli sette miliardi, il resto servirà ad evitare l’aumento dell’Iva. La coperta è dunque cortissima e il governo ha deciso di spendere quei pochi soldi rimasti in cassa per aiutare le famiglie a pagare la retta del nido, per iniziare un percorso di stabilizzazione dei precari di scuola e sanità e per avviare il primo (timido) taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori dipendenti: le tasse sullo stipendio dovrebbero quindi ridursi tra i 15 e i 95 euro al mese. Basteranno queste deboli misure per far ripartire la crescita, al palo da vent’anni? La domanda è ovviamente retorica. Specialmente se si considera che la prospettiva più rosea è quella disegnata dall’Istat a inizio dicembre, quando ha certificato un lieve aumento della ricchezza pari allo 0,2 per cento nel 2019 e previsto un ulteriore miglioramento dello 0,6 per il 2020. Decimali, insomma. Però, sono sempre meglio della crescita zero prevista per l’Italia dal Fondo Monetario Internazionale. Sembra quindi che la politica economica espansiva proposta dal precedente governo giallo-verde, fondata su Reddito di cittadinanza e Quota 100 (la prima avrebbe dovuto rilanciare i consumi interni, la seconda favorire il ricambio generazionale nelle aziende), abbia fallito, probabilmente perché l’espansione è stata dirottata sul potenziale elettorato, anziché su investimenti pubblici che potessero realmente rilanciare l’occupazione ad alto valore aggiunto. Per rimediare al flop del precedente governo, quello in carica è stato così costretto a firmare una legge di bilancio di rigore pur di far quadrare i conti. Risultato: anche per il 2020 l’Italia resterà tra gli ultimi Paesi in Europa per crescita.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide – Marroni Carlo 
Titolo: Gli italiani che contano ai vertici del potere in Europa – Quegli italiani (che contano) nei palazzi dell’Eurosistema
Tema: Nomine Ue

Economisti, statistici, esperti di mercato. Consulenti legali, analisti e tecnologi. Sono circa duecento i dirigenti e funzionari italiani che occupano le prime e seconde linee nelle istituzioni monetarie dell’Eurosistema. Uno squadrone che in buona parte ha iniziato la sua carriera in Bankitalia ma al quale, negli anni, si sono aggiunte nuove leve. A conferma che la fucina italiana del central banking continua a produrre i suoi buoni talenti. Quando a gennaio Fabio Panetta assumerà con piena operatività il suo ruolo tra i “magnifici se’ del board esecutivo Bce potrà continuare a contare, come ha fatto in questi anni, anche sulla collaborazione diretta o indiretta dei tanti connazionali basati da tempo a Francoforte. A capo della vigilanza, innanzitutto, troverà Andrea Enria, ormai da un anno al Ssm al posto del primo Chair del Supervisory board, Danièle Nouy. Ma anche fuori dall’Eurotower ritroverà tanti italiani che contano. Come Nicola Giammarioli, segretario generale del Meccanismo europeo di stabilità, o Sebastiano Laviola, che è nel comitato esecutivo del Sib, il Single resolution board. O, ancora, Francesco Mauro, capounità della divisione macroprudenziale dell’European banking authority, la cui sede è stata trasferita a Parigi a seguito della Brexit. O, ancora, Fabrizio Planta, a capo di una delle sette direzioni generali dell’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziarie dei mercati.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Titolo: Corea del Nord: effettuato un altro test «cruciale»
Tema: Corea del Nord

La Corea del Nord ha effettuato «con successo un altro test decisivo» al suo sito di lancio di razzi di lungo raggio di Sohae, utile «a rafforzare la sua affidabilità di deterrenza nucleare strategica». Le operazioni si sono tenute «al Sohae Satellite Launching Ground» ha affermato un portavoce della National Academy of Defence Science. L’annuncio è maturato mentre Pyongyang continua a premere sull’amministrazione Usa per la svolta negoziale in vista della scadenza di fine anno superata la quale, in assenza di novità, il leader Kim Jong-un potrebbe prendere iniziative di diverso tipo sulla moratoria volontaria sui test nucleari e di missili. La Corea del Nord – ha annunciato Pak Jong-chon, capo di Stato maggiore del Korean People’s Army (Kpa) – userà le sue nuove tecnologie per sviluppare armi strategiche per il contrasto della minaccia nucleare degli Stati Uniti.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  R.E. 
Titolo: Corea del Nord, nuovi test per allentare le sanzioni Usa
Tema: Corea del Nord

Due test «cruciali» in sette giorni: uno sabato scorso e uno ieri. La Corea del Nord ha annunciato di aver compiuto con successo un nuovo esperimento nella base di lancio per missili e satelliti a Sohae. E ha affermato che si tratta di un’attività utile «a rafforzare la sua affidabilità di deterrenza nucleare strategica». Secondo alcuni analisti, il test potrebbe riguardare sistemi di potenziamento dei missili balistici intercontinentali, che potrebbero arrivare a colpire gli Stati Uniti. Un portavoce della National Academy of Defence Science, in una nota rilanciata dall’agenzia ufficiale Kcna, si è limitato ad affermare che «le operazioni si sono tenute al Sohae Satellite Launching Ground dalle 22.41 alle 22.48 del 13 dicembre». Un elemento, quello temporale, che secondo gli esperti potrebbe indicare che il test riguarderebbe un nuovo motore a combustibile solido per missili intercontinentali. Pak Jong-chon, capo di Stato maggiore del Korean Peoplès Army (Kpa): «In una situazione di confronto intenso, gli Usa e le altre forze ostili passeranno la fine dell’anno in pace soltanto fino a quando non inizieranno a dire parole e a fare azioni che possano irritarci». Naturalmente, il tempismo non è casuale. Il 31 dicembre scade il termine fissato da Kim Jong-un agli Stati Uniti per tornare al tavolo delle trattative del cosiddetto negoziato nucleare e, di fatto, per allentare le sanzioni a Pyongyang.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Titolo: In Sudan prima condanna per l’ex dittatore Bashir
Tema: Sudan

L’ex presidente del Sudan Omar al Bashir per la prima volta è stato condannato da un tribunale. Una corte di Khartoum gli ha inflitto due anni di reclusione per ricidaggio di denaro e corruzione, senza affrontare accuse più gravi come l’ordine di sparare su manifestanti o il suo ruolo nel golpe che nel 1989 lo portò al potere. Per il momento un veto dei militari impedisce la sua estradizione all’Aja, dove la Corte penale internazionale lo vuole processare per i crimini di guerra il genocidio perpetrati in Darfur, la provincia occidentale sudanese dove un conflitto fra governativi e ribelli negli anni 2000 ha causato circa 300mila morti e 2,5 milioni di sfollati, secondo le stime dell’Onu. L’accusa di riciclaggio gli era stata mossa in maggio, dopo il sequestro di 6,9 milioni di euro, più di 350mila dollari e 5,7 milioni di sterline sudanesi compiuto nella sua residenza Bashir era stato costretto alle dimissioni da un golpe militare scattato dopo quattro mesi di proteste contro il carovita.
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Testata:  Corriere della Sera 
Titolo: Al-Bashir condannato per corruzione
Tema: Sudan

L’ex presidente-dittatore sudanese Omar al-Bashir è stato condannato ieri a due anni per corruzione e riciclaggio. È il primo verdetto in una serie di processi che vedono alla sbarra l’ex uomo forte di Khartoum, che è anche ricercato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra e il genocidio in Darfur. I militari che l’hanno deposto l’anno scorso, dopo tre decenni al potere, hanno assicurato che il loro ex protetto-protettore (recluso da aprile) non verrà estradato. I processi a suo carico sono comunque salutati come un atto di giustizia in Sudan, dove le proteste della società civile hanno indotto l’esercito (dopo massacri e giravolte) a sostenere un governo di unità nazionale in vista di elezioni democratiche. Al-Bashir è detenuto in una struttura di «minima sicurezza» per anziani, in attesa che giunga al termine un altro procedimento che lo vede accusato per l’uccisione di manifestanti negli ultimi mesi del suo regno.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Nigro Vincenzo 
Titolo: Di Maio vola in Libia Così l’Italia prova a tornare protagonista
Tema: Di Maio, missione in Libia

L’Europa si muove: forse è troppo tardi e forse il Vecchio continente è troppo diviso e impotente per poter reagire adeguatamente. Ma ormai i leader europei hanno capito che in Libia non si gioca una guerra civile fra fazioni locali. È una partita che avrà effetti sui loro Paesi e sui loro popoli. E non si parla più di migranti in arrivo o di petrolio perduto, ma di una guerra a tutto campo che potrebbe infiammare i confini dell’Europa. Anche per questo il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio martedì farà la sua prima visita a Tripoli. Incontrerà il presidente Al Serrai e il vice-presidente Ahmed Maitig, sarà il primo inviato europeo di una Ue che presto potrebbe presentarsi in Libia con la trojka Italia-Francia-Germania. L’incarico affidato a Di Maio in qualche modo è arrivato direttamente dall’incontro di venerdì a Bruxelles fra Giuseppe Conte, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. I leader politici di Italia, Germania e Francia non hanno fatto altro che mettere in fila le notizie da giorni sotto gli occhi di tutti: l’avanzata verso Tripoli della milizia di Khalifa Haftar sostenuta dalla Russia coi mercenari della “Wagner”. Poi la reazione del governo di Fayez al Serraj: l’accordo con la Turchia. Tripoli che in cambio di promesse di petrolio riceve nuovi droni, nuove armi e forse anche soldati dalla Turchia.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Semprini Francesco 
Titolo: Retroscena – Maio vola a Tripoli: riparte l’iniziativa diplomatica in Maghreb – Di Maio vola da Sarraj per fermare l’escalation Conte: vertice in Libia
Tema: Di Maio, missione in Libia

Il ministro degli Esteri Luigi di Maio si reca martedì a Tripoli per una serie di consultazioni con il Governo di accordo nazionale nel tentativo di dare una prima attuazione agli intenti emersi nel corso della trilaterale di Bruxelles. Il vertice svoltosi venerdì a margine del Consiglio europeo era stato chiesto e ottenuto da Giuseppe Conte per definire, assieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente francese Emmanuel Macron, una «roadmap» volta a far tornare l’Europa al centro dei rapporti con la Libia. La «prima» di Di Maio a Tripoli interrompe di fatto un immobilismo durato a lungo da parte dell’esecutivo romano e che stava contagiando anche il resto degli attori europei, al netto degli sforzi tedeschi in vista della conferenza di Berlino. Anche dinanzi all’abbattimento del drone dell’Aeronautica militare italiana il governo non ha proferito parola. Ecco allora il guizzo del premier Conte che, invocando il rischio di trovarci «una nuova Somalia» alle porte di casa, ha chiesto ai partner europei (compreso il paladino della Brexit Boris Johnson) di organizzare, dopo la Conferenza di pace di Berlino, un vertice in Libia per fissare platealmente sul terreno la presenza dell’Ue e frenare gli appetiti di Turchia e Russia. In nome di una soluzione che, Conte non si stanca di ripeterlo, può essere solo «politica». L’obiettivo è il cessate il fuoco, il pieno sostegno all’inviato Onu Ghassan Salamè e, in vista di Berlino, il pieno coinvolgimento di Unione Africana e Lega Araba. Di tutto questo Di Maio parlerà con il presidente libico Fayez al Sarraj, con il vice Ahmed Maetig e con il suo omologo Taher Mohammed Syala.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  L. Ip. 
Titolo: Boris, giro della vittoria nel Nord (ex) laburista: «Non vi deluderò»
Tema: Brexit

II giro di campo della vittoria per Boris Johnson non poteva che cominciare dalle macerie della «muraglia rossa», quelle zone del Nord dell’Inghilterra laburiste da sempre, che giovedì sera si sono tinte di un blu conservatore. E il luogo preciso non poteva essere più simbolico di così: il seggio di Sedgefield, quello che fu di Tony Blair, l’ultimo premier a condurre i laburisti alla vittoria. Johnson è andato a ringraziare: perché senza i voti di quegli operai del Nord non sarebbe a Downing Street. «Avete cambiato il paesaggio politico», ha detto Boris, ma ancor di più «avete cambiato i conservatori per il meglio»: perché non sono più il partito delle classi abbienti e privilegiate ma una formazione con un supporto genuinamente popolare. Johnson è consapevole che quelli sono voti in prestito, sospinti fra le sue mani dall’impegno a realizzare la Brexit, ma pronti a tornare da dove erano venuti. E allora, proclama, «tutto quello che farò da primo ministro lo farò per ripagare la vostra fiducia», perché ormai «le vostre e le nostre priorità sono le stesse». Parole che proveranno a tradursi in programma concreto già giovedì prossimo, col discorso della regina in Parlamento, nel quale il premier annuncerà la sua agenda per i primi cento giorni di governo. In cima a tutto c’è ovviamente la Brexit: venerdì verrà presentato ai deputati, per una prima approvazione, l’accordo di divorzio concordato con Bruxelles a ottobre, anche se per il via libera definitivo bisognerà attendere le prime settimane di gennaio. Dopo di che, il 31 del mese prossimo, la Gran Bretagna lascerà come previsto l’Unione europea
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Testata:  Repubblica 
Autore:  A.Gu. 
Titolo: Boris subito in tour nell’ex regno di Blair “Io non vi tradirò”
Tema: Brexit

Come si sussurrava a Whitehall già venerdì sera, alla fine Boris Johnson è andato ieri a prendersi lo scalpo dei laburisti nelle loro terre, nel Nord operaio e brexiter dell’Inghilterra, quel “Muro rosso” che alle elezioni di giovedì scorso il premier ha demolito con tre parole: Get Brexit Done, – Portiamo a casa la Brexit. Ma per coronare la profanazione dell’avversario, Boris ha scelto Sedgefield, ossia lo storico seggio dell’ex premier Tony Blair. «Posso immaginare le vostre penne mentre tremavano», ha detto il premier ai “santi bevitori” accorsi al pub locale, «mentre esitavano davanti alla scheda elettorale, prima di mettere una “x” per me e il partito conservatore. Lo so. So bene che per votarci avete infranto abitudini e convenzioni durate generazioni nelle vostre famiglie. Perciò voglio che sappiate, voi popolo del Nord-Est, che noi, il Partito conservatore, e io in persona, non tradiremo la vostra fiducia». Applausi, fiumi di gioia, il nuovo, insperato, neoeletto deputato tory a Sedgefield, Paul Howell, che con Boris spilla birra per tutti. La guerra è finita. E dunque, per il momento, il suo eroe Winston Churchill è in naftalina. Ora Johnson vuole dipingersi premier comprensivo e come un altro primo ministro conservatore, cioè Benjamin Disraeli, che nel XIX secolo si impegnò a riconciliare ricchi e poveri. Le stesse fratture che vuole colmare il “re biondo” Boris. Al di là della retorica, Johnson sa bene che la classe lavoratrice del Nord inglese l’ha votato in massa per la promessa di completare la loro amata Brexit, grido di orgoglio e dolore di lande abbandonate da Londra e massacrate da un decennio di austerity dello stesso partito di Johnson, anche se «la colpa è dell’Europa». ll destino del premier è ora legato alla classe operaia che, in alcuni suoi vecchi ed eccentrici articoli, definiva branco di «ubriaconi, lamentosi, inetti».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bonini Carlo – Foschini Giuliano 
Titolo: La procura di Roma su Regeni “Il Kenya ha già le informazioni”
Tema: Caso Regeni

La Procura di Roma non fornirà al Director of public prosecution del Kenya, Noordin Haji, che li aveva chiesti con un’intervista a Repubblica pubblicata venerdì, nuovi elementi in grado di restringere l’ambito delle ricerche a Nairobi in grado di avvalorare la testimonianza chiave del caso Regeni. Parliamo del racconto di un testimone kenyota che ha riferito di aver ascoltato il maggiore dei Servizi egiziani, Magdi Abdelal Sharif, confessare la propria partecipazione al sequestro di Giulio Regeni. La procura – come si legge in una nota congiunta del Procuratore facente funzioni Michele Prestipino e del sostituto Sergio Colaiocco – «ha fornito tutti gli elementi investigativi in proprio possesso per consentire la migliore riuscita delle attività investigative richieste dalla autorità giudiziaria kenyota». Nelle carte inviate da Roma a Nairobi è stata posta infatti una domanda precisa cui – a giudizio dei magistrati – non è difficile rispondere. Se, nell’agosto del 2017 (quando cioè sarebbe stata ascoltata dal testimone la confessione dell’ufficiale egiziano) il maggiore della National security agency fosse stato presente nella capitale del Kenya. La risposta della Procura — in cui si coglie un evidente segno di sorpresa per le parole del procuratore di Nairobi – non è né vuole essere, tuttavia, una chiusura o un irrigidimento nei rapporti con il Kenya. Nella stessa nota, Prestipino e Colaiocco, nel ricordare il «proficuo incontro con Noordin Haji del luglio scorso», annunciano che a breve invieranno a Nairobi i risultati della rogatoria che il magistrato kenyota aveva fatto a Roma nell’inchiesta per le tangenti contestate ai dirigenti della Cmc di Ravenna.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Armellini Antonio 
Titolo: Un nuovo ruolo dell’Unione nella Nato in crisi d’identità
Tema: Nato

La Nato a Londra ha celebrato un settantesimo anniversario le cui crepe nemmeno la rompa di Buckingham Palace è riuscita a cancellare. Donald Trump ha alternato lodi inattese ad accuse pesanti; le giravolte di Erdogan hanno messo in discussione il concetto stesso di crisi; sulla «morte cerebrale» dichiarata da Emmanuel Macron sono arrivate le critiche di alleati europei che, sotto sotto, la condividono. Polemiche d’occasione a parte, le parole del presidente francese sulla sua crisi di identità e sull’importanza di una riflessione europea sul futuro meritano di essere esaminate con attenzione. II crollo dell’impero sovietico ha rappresentato la cifra del successo e ha segnato la fine del mandato originario della Nato, che aveva consentito alla parte occidentale dell’Europa di crescere in pace sotto l’ala protettiva di Washington. Essa ha dapprima cercato di trasformarsi nel punto di riferimento di sicurezza della «fine della storia», ma l’illusione è durata poco: chi pensava che la Russia potesse accettare di andare a Canossa e far propri non solo l’economia, ma anche i valori politici dell’Occidente vittorioso è stato smentito. Putin ha recuperato spazio e influenza, muovendo non più da nemico ma sicuramente da concorrente antagonista; l’estensione a Est del perimetro dell’alleanza era la realizzazione di una promessa di libertà molte volte ripetuta, ma era da mettere in conto che potesse impattare con una faglia di confine diversa, ma faglia pur sempre, come l’Ucraina.
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