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SINTESI IN PRIMO PIANO – 4 gennaio 2020

In evidenza sui maggiori quotidiani:

– La diaspora del Movimento 5 Stelle: altri due lasciano. Un vertice per decidere otto espulsioni
– Caso Gregoretti, le 7 mail di Salvini: gli scambi tra Viminale, governo e Ue
– Moody’s taglia il rating Autostrade. Tensione sulla revoca
– Attacco Usa, ucciso Soleimani. L’Iran minaccia vendetta. Trump: «Voleva colpirci»
– Attacco col coltello vicino a Parigi. «Voleva una strage per Allah»

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Buzzi Emanuele 
Titolo: Di Battista: mi farò sentire Altri due lasciano i 5 Stelle – La diaspora del Movimento 5 Stelle Un vertice per decidere otto espulsioni
Tema: M5S
Alessandro Di Battista, l’ex «gemello» di Luigi Di Maio presto in viaggio verso l’Iran, non ha intenzione di obbedire agli ordini del vertice del Movimento e rilancia: «Mi farò sentire ancora». E intanto non si ferma la diaspora dal M5S: ieri/altri due deputati (Angiola e Rospi) sono passati al gruppo misto. Epifania con espulsioni in vista. La mannaia «intimata» dai vertici 5 Stelle sta per abbattersi sul gruppo parlamentare. Trentatré persone nel mirino dei probiviri, otto candidati quasi sicuri all’espulsione. La svolta? il 7 gennaio a Roma: quel giorno e stato convocato un super vertice che vedrà impegnati gli organi del Movimento e i capigruppo. Al tavolo nella capitale si siederanno con Davide Crippa e Gianluca Perilli sia i tre componenti del collegio dei probiviri (Raffaella Andreola, Jacopo Berti e Fabiana Dadone) sia i tre membri del comitato di garanzia (Giancarlo Cancelleri, Vito Crimi e Roberta Lombardi). Nel mirino i parlamentari in ritardo con le restituzioni. Diverse le sanzioni da irrogare a seconda anche delle «lacune» e della tempistica. Sarebbero in tutto otto i parlamentari (sei deputati e due senatori) che rischiano di essere cacciati, su altri quindici pende la spada di Damocle di una sospensione e a dieci invece spetterebbe «solo» un richiamo. A scorrere l’elenco dei pentastellati presenti su Tirendiconto.it è facile tracciare l’identikit dei papabili «candidati» all’espulsione. Alla Camera solo sei non hanno restituito nulla nel 2019. Sono Nicola Acunzo, Nadia Aprile, Santi Cappellani, Flora Frate, Paolo Romano, Andrea Vallascas. A Palazzo Madama alcuni «ritardatari» hanno provveduto a versare ma non hanno ancora rendicontato: sono Cristiano Anastasi (28.000 euro), Deledda Bogo (24.000 euro), Luigi Di Marzio (30.000 euro).
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Testata:  Stampa 
Autore:  FED.CAP. 
Titolo: La diaspora dei grillini via altri due deputati Ora rischiano in undici
Tema: M5S

Settimana nera. Il Movimento 5 stelle perde altri due parlamentari. Dopo l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti e il senatore Gianluigi Paragone, anche i deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi danno l’addio. E con la stretta data dai vertici sulle restituzioni di parte dello stipendio, altri 11 parlamentari (6 deputati e 5 senatori) che non rendicontano da più di un anno rischiano di essere cacciati per direttissima. Altri 10 deputaci e 2 senatori potrebbero invece incorrere in una sospensione, perché rimasti indietro con le loro restituzioni ai primi mesi dei 2019. Luigi Di Maio vuole riaprire la stagione del pugno duro che aveva caratterizzato lo sbarco in Parlamento dei ragazzi di Beppe Grillo nel 2013. Il suo è un ultimo tentativo di mettere ordine, far rispettare le regole, rendere più compatto il gruppo anche a costo di perdere qualcuno. In questo primo anno e mezzo di governo, infatti, il Movimento ha perso 19 eletti. Molti di questi però non sono stati cacciati, ma se ne sono andati con le loro gambe, criticando il leader e il suo cerchio magico. Adesso, invece, potrebbero arrivare le prime ondate di sanzioni comminate dai probiviri. Gli eletti avevano tempo fino al 31 dicembre per mettersi in regola, eppure in molti non lo hanno fatto. Ci sono nomi di peso come quelli di Carla Ruocco e Simone Valente, accompagnati da quelli di semplici peones; c’è chi preparerebbe il suo approdo nel nuovo progetto politico di Fioramonti, come Luigi Di Marzio, e dissidenti in aperta polemica con Di Maio e Davide Casaleggio, ma anche parlamentari al secondo mandato che forse, con l’avvicinarsi della fine della loro esperienza politica, sperano semplicemente di fare cassa.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Capurso Federico – Lombardo Ilario 
Titolo: Paragone non esclude un partito con Dibba “Se Ale lo chiedesse…” – Paragone tenta Di Battista “Facciamo un partito sovranista”
Tema: M5S
Il 17 dicembre scorso Beppe Grillo è a Roma, a parlare con i gruppi parlamentari del M5S. Ad ascoltarlo non c’è Gianluigi Paragone. Proprio quel giorno, contro l’ex conduttore tve senatore grillino, da parte del collegio dei probiviri, viene aperta la procedura di espulsione per il voto contrario sulla manovra economica. Quella sera Paragone è a Tivoli, a un evento organizzato da alcuni attivisti. Con lui c’è Alessandro Di Battista. Si fanno una foto assieme. Una foto che non è casuale ma, come racconta chi era presente, viene scattata come monito a Di Maio. Durante la cena tra i due si chiacchiera di quello che sta avvenendo nel partito, della riforma sul fondo salva-Stati che Giuseppe Conte tre giorni prima, a Bruxelles, ha congelato proprio su spinta del Movimento, e del governo con il Pd. Paragone si lamenta dei vertici del M5S, dell’avvio della procedura che nemmeno due settimane dopo, il primo giorno del nuovo anno avrebbe portato alla sua cacciata. Di Battista condivide la sua rabbia, lo stesso fanno altri presenti: la convinzione di tutti è che una buona parte della base dei militanti condivida la campagna del senatore. Di sicuro lo fa l’ex deputato.
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Testata:  Foglio 
Autore:  Merlo Salvatore 
Titolo: Rocco è uscito dal gruppo – Rocco fuori dal gruppo
Tema: M5S

“Ho sviluppato la sensibilità di prevedere dove va l’opinione pubblica”, diceva. “Ho la sensibilità di prevedere cosa succederà”, aggiungeva. E infatti è l’unico grillino che aveva capito tutto prima. Altro che Fioramonti, altro che Paragone, altro che fuggi fuggi di senatori, deputati e schegge impazzite, altro che scissioni. La più clamorosa (e silenziosa) fuoriuscita dal M5s è quella di Rocco Casalino, il grillino che visse due volte. L’aveva previsto che finiva così, Rocco. E a novembre l’aveva pure detto a Sette, il magazine del Corriere. “Mi dicono che la mia mancanza si sente”, alludeva, “vedo sondaggi sempre peggiori e la vivo proprio male. All’inizio ho provato a seguire sia Conte che Di Maio, poi ho capito che era impossibile”. E certo, sull’orlo del baratro la fedeltà diventa una difficile ginnastica da praticare, è durissimo lo scontro tra ambizione e affetto.
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Testata:  Corriere della Sera 
Titolo: Le 7 mail di Salvini: «Il governo sapeva» – Caso Gregoretti, le 7 mail di Salvini: gli scambi tra Viminale, governo e Ue
Tema: Caso Gregoretti

Ore 20,28 del 26 luglio 2019: l’ambasciatore a Bruxelles Maurizio Massari informa il direttore generale della Farnesina Elisabetta Belloni e il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Pietro Benassi riguardo le trattative con l’Unione Europea sulla distribuzione dei migranti che si trovano a bordo della nave della guardia costiera italiana Gregoretti. E scrive: «Per ora hanno risposto in quattro Paesi con disponibilità generica a prendere i migranti: Germania, Francia, Irlanda e Lussemburgo…». E una delle mail allegata alla memoria che l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha consegnato ieri alla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Entro due settimane arriverà il voto in commissione sulla richiesta del tribunale dei ministri di Catania che vuole processarlo per sequestro di persona. Sette in tutto, per dimostrare che «tutto il governo ha condiviso la mia linea di difesa dell’Italia, io l’ho fatto per questo». Nell’atto di accusa i giudici sostengono che non c’è alcuna prova della minaccia rappresentata dai migranti. Salvini sostiene che «la gestione, il monitoraggio e il controllo dei flussi migratori appaiono strettamente connessi all’interesse nazionale, sussistendo anche chiari profili attinenti all’ordine ed alla sicurezza pubblica, nonché alla sicurezza della Repubblica».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Milella Liana 
Titolo: Gregoretti, anche i renziani verso i si al processo a Salvini
Tema: Caso Gregoretti

Sono stati «eventi sovrapponibili». Lo stop a far sbarcare dalla nave Gregoretti (luglio 2019) i 131 migranti seguì lo stesso «interesse pubblico di tutta la compagine governativa» adottato per i 137 della nave Diciotti (agosto 2018). Quindi se l’autorizzazione a procedere per il reato di sequestro di persona è stato negato per la Diciotti (20 marco 2019) altrettanto dovrà avvenire per la Gregoretti. Matteo Salvini si autoassolve così nelle nove pagine – quattro per ricostruire i fatti, cinque per negare qualsiasi sua responsabilità, frutto della penna da avvocato penalista di Giulia Bongiorno – depositate ieri presso la Giunta per le immunità del Senato. Ma, politicamente, l’effetto è quello di un gelo. Con un risultato: i 17 renziani di palazzo Madama, sul cui voto favorevole faceva conto l’ex ministro dell’interno, sarebbero intenzionati a esprimersi contro di lui, come hanno fatto per la Diciotti. Non solo in giunta il 20 gennaio, dove finirebbe con un 13 (un Pd, 3 Iv, 6 M5S, Grasso per Leu, De Falco, l’altoatesino Durnwaldcr) a 10 (5 Lega, 4 Forza Italia, un Pdl), ma anche in aula un mese dopo dove, come ha già scritto Repubblica il 30 dicembre, Salvini arriverebbe a fatica a 140 voti. Ancora ieri i renziani non lasciavano dubbi: «La memoria di Salvini non introduce alcun elemento nuovo. Il caso della Gregoretti, dopo il decreto sicurezza bis, è più grave di quello della Diciotti, il sequestro scatta perché i migranti si trovavano già su una nave militare, quindi in territorio italiano». Ma ai fatti Salvini contrappone la linea collegiale del governo, a partire dal premier Giuseppe Conte, citando anche tre pagine del contratto tra Lega e MSS. Si augura che finisca come per la Diciotti, quando Conte e Di Maio si dichiararono corresponsabili per lo sbarco negato.
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Testata:  Giornale 
Autore:  SC 
Titolo: Altolà di Forza Italia alla «Voce libera» di Carfagna: é un’iniziativa che può confondere l’elettorato
Tema:  Forza Italia

Mancano 22 giorni alle regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Uno snodo politico decisivo per il centrodestra, che vede Forza Italia in prima linea in Calabria, dove candidata alla presidenza della Regione è l’azzurra Jole Santelli. «Bisogna vincere a tutti i costi» la frase che circola nel partito, dove nonostante il periodo incerto rimangono frange di ottimismo. Ad alimentare le speranze azzurre è anche la crisi interna dei 5stelle, che potrebbe portare a un riposizionamento dell’elettorato grillino proveniente dall’area moderata di centrodestra. Prima di annunciare l’addio al gruppo dei Cinque stelle, formalizzato ieri, il parlamentare lucano Andrea Rospi, ingegnere esperto di urbanistica e codice degli appalti, aveva programmato per metà gennaio di intervenire a una riunione del dipartimento di Forza Italia sui lavori pubblici per illustrare la propria proposta di legge sulla rigenerazione urbana. L’appuntamento è ben lontano dal segnare un passaggio dai 5stelle a Forza Italia, ma in ogni caso segnala una sensibilità comune su alcuni temi economici di attualità, in particolare in materia ambientale e di lavori pubblici, che pub coinvolgere altri 5stelle. A dare una certa compattezza al partito, oltre alla campagna elettorale, sarà l’attività parlamentare che porta a divisioni frontali: dal 7 gennaio si torna a parlare di giustizia e prescrizione, poi di milleproroghe.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Cantone Raffaele 
Titolo: L’intervento – I pericoli in agguato con la prescrizione lunga
Tema: Normativa sulla prescrizione

Dal primo gennaio nel nostro Paese è in vigore la nuova normativa sulla prescrizione che, in estrema sintesi, comporta che per tutti i reati commessi da quella data in poi, dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione, i termini di prescrizione restino sospesi per sempre, cioè non decorrano più. È difficile ricordare riforme recenti che abbiano dato luogo ad un dibattito caratterizzato da toni di un così forte scontro ideologico, come tra guelfi e ghibellini, con semplificazioni secondo cui da un lato vi sarebbero i giustizialisti, favorevoli alla novità, dall’altro i garantisti. assolutamente contrari. Sono stati utilizzate parole inusitatamente forti, come quando si è fatto riferimento all’ergastolo processuale o alla sicura incostituzionalità della norma o da parte opposta si è fatto intendere che con la novità le vittime saranno più tutelate ed i delinquenti non la faranno più “franca”. Sono proprio quei toni cosi accesi ad aver probabilmente fatto perdere l’opportunità forse di un’occasione irripetibile per discutere pacatamente di un problema serio che affligge oggettivamente la nostra macchina giudiziaria, rappresentando anche una macchia indelebile sul piano internazionale. Premetto la mia posizione da subito; l’intervento del ministro Bonafede coglie un problema reale che da sempre si era finto, per ragioni di “comodità” e di interessi di molti, di non vedere ma finisce per fornire una soluzione che rischia di avere effetti opposti.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fotina Carmine 
Titolo: Fondo di garanzia, pronto il decreto per le medie imprese – Fondo di garanzia più vicino per le medie imprese
Tema: Fondo di garanzia Pmi
Tra i decreti attuativi attesi ormai da mesi c’è il provvedimento che apre il Fondo di garanzia Pmi alle small mid cap fino a 499 dipendenti Dopo una lunga genesi la bozza, che parte da quanto disposto dal decreto legge “crescita” dello scorso 30 aprile, è stata inviata dal ministero allo Sviluppo economico al ministero dell’Economia per il concerto. Vanno superati i nodi relativi alle commissioni per le banche e alla durata ultradecennale dei prestiti. Nascerà una sezione per le medie imprese con dote di 150 milioni. Previsto anche lo stop alla sanzione da 300 euro per banche e confidi che non perfezionano i finanziamenti coperti dal Fondo (fino a un limite di 120mila euro).
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Lops Vito 
Titolo: Scontro Usa-Iran, vola il petrolio – Borse in rosso, vola il petrolio Scatta la corsa ai beni rifugio
Tema: Mercati

I mercati fanno retromarcia e virano sui beni rifugio. In appena 24 ore l’umore degli investitori è passato dall’euforia della prima seduta finanziaria del 2020 (coronata con nuovi record a Wall Street) al pessimismo della giornata di ieri innescato da un attacco aereo degli Stati Uniti all’aeroporto di Baghdad durante il quale le forze militari americane hanno ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani. Il Vix, l’«indice della paura» che misura la volatilità a Wall Street, è balzato sui massimi del u dicembre. Le Borse europee hanno chiuso con un calo dello 0,52%, limando nel finale di seduta perdite che nel corso della giornata erano state superiori al punto percentuale. Maglia nera per il listino di Francoforte (-1,25%) composto da società a forte propensione verso l’export e quindi più colpito da notizie in grado di compromettere gli equilibri internazionali. Piazza Affari ha limitato i danni con un calo dello 0,56%. Seduta in rosso – ma con un ribasso inferiore al punto percentuale – anche per gli indici a Wall Street, i cui prezzi continuano ad essere decisamente più cari (21 volte gli utili attesi) rispetto a quelli delle altre Borse. I flussi di capitale si sono spostati in modo perfettamente armonico dalle azioni verso le obbligazioni considerate sicure e, per quanto riguarda le valute, in particolare su yen, dollaro e franco svizzero. Del resto, che ci sia stato un chiaro movimento di “fligh to quality” lo dimostra in ultima istanza il movimento sull’oro balzato di oltre un punto percentuale vicino a 1550 dollari l’oncia, come non accadeva da quattro mesi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Autostrade, tensione sulla revoca
Tema: Autostrade

Autostrade, si allarga il fronte. Dopo il decreto legge Milleproroghe sono tutte le società titolari di concessioni autostradali a chiedere l’apertura di una trattativa col governo. L’Aiscat, l’associazione presieduta da Fabrizio Palenzona, che rappresenta 20 concessionarie con quasi 13 mila dipendenti che gestiscono 6 mila chilometri di rete autostradale, la metà facenti capo ad Aspi (Autostrade per l’Italia, gruppo Atlantia), ritiene che sia urgente riportare certezza e stabilità nel settore, scosso dal braccio di ferro tra la stessa Aspi e il governo sulla possibile revoca della concessione in seguito al crollo del ponte Morandi. «Sediamoci a un tavolo e facciamo un negoziato», dice il direttore generale di Aiscat, Massimo Schintu. Serve «buon senso», aggiunge, perché il decreto Milleproroghe contiene una «evidente modifica dello status quo» per tutti i concessionari.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  l.i. 
Titolo: Moody’s taglia il rating Autostrade “La pressione politica sta salendo”
Tema: Autostrade

Sempre più concreta la minaccia di un tornado sui conti di Atlantia per effetto della revoca della concessione alla sua controllata Autostrade per l’Italia. Ne è convinta l’agenzia di rating Moody’s che ieri ha tagliato il giudizio sull’intera galassia che fa capo alla holding della famiglia Benetton: Atlantia scende a Ba2 da Ba1, un “gradino” in giù anche Autostrade per l’Italia (da Baa3 a Ba1) e uno per Aeroporti di Roma (da Baa2 a Baa3). Tutti rating inoltre sono sotto osservazione per ulteriori downgrade. Moody’s ha agito calcolando sia «l’aumento della pressione politica sul gruppo Atlantia e i crescenti rischi al ribasso», sia gli effetti pratici del decreto Milleproroghe «in cui il governo italiano ha modificato retroattivamente e unilateralmente i termini e le condizioni delle concessioni autostradali, inclusa quella di Autostrade per l’Italia». Anche se gli analisti notano che gli effetti di questo decreto «potrebbero essere solo temporanei». Anche Aeroporti di Roma diventa una vittima della situazione. Come sottolinea Moody’s il taglio «riflette la proprietà di quasi il 100% da parte di Atlantia e la capacità di Atlantia di spostare liquidità e debito all’interno del gruppo, nonostante Adr mostri un profilo di credito autonomo più forte e benefici di alcune tutele». Quanto alla possibile revoca delle concessioni di Aspi Moody’s segnala come «il Milleproroghe stabilisce che l’efficacia di una risoluzione non è soggetta al pagamento di un indennizzo da parte del concedente, aumentando il rischio che il governo decida di subentrare nella concessione senza formalizzare il corrispondente indennizzo in caso di risoluzione».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Savelli Fabio 
Titolo: Intervista a Roberto Tomasi – «Pronti a trattare su compensazioni e investimenti»
Tema: Autostrade

«Noi siamo sempre stati disponibili al confronto con il governo. Abbiamo già avanzato le nostre proposte. Con importanti investimenti a carico della società e una serie di compensazioni, oltre alle risorse per Genova e alle esenzioni per ridurre i disagi di chi viaggia. Vogliamo realizzare investimenti per 13 miliardi di euro nei 18 anni rimasti della concessione. A patto che…» Non vi revochino la concessione. Ma comprenderà che abbiamo ancora negli occhi il collasso del ponte Morandi. E i report falsificati sulla manutenzione di alcuni viadotti. E quei lastroni dI cemento appena crollati dal soffitto di un tunnel sulla A26. «Comprendo la diffidenza. È innegabile che dobbiamo fare uno sforzo straordinario per riconquistare la fiducia degli italiani. Stiamo mettendo in campo tutto quello che abbiamo per realizzare una profonda discontinuità su molti piani. Abbiamo attuato una forte rotazione del management. Abbiamo rivoluzionato il sistema dei controlli, affidando a società terze le verifiche sullo stato dei viadotti e delle gallerie. E abbiamo lanciato un piano di investimenti in manutenzione da 500 milioni di euro, con una forte accelerazione degli interventi triplicando le risorse investite. A gennaio presenteremo il piano industriale 2020-2023, che comprenderà anche un focus particolare su ricerca e sviluppo, digitalizzazione e nuovi modelli manageriali». Nessuno in questo momento vorrebbe essere al posto di Roberto Tomasi. Guida dal febbraio dello scorso anno Autostrade per l’Italia avendo ereditato il ruolo di Giovanni Castellucci.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ri.Que. 
Titolo: Autonomi: con le nuove regole saranno 10 mila in meno
Tema: Lavoratori autonomi

Quest’anno, per effetto delle modifiche alla flet tax degli autonomi contenute nella legge di Bilancio, 10 mila lavoratori autonomi dovranno rinunciare al regime forfetario con tassazione al 15%. La stima è dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, realizzata in collaborazione con il dipartimento Economia e Fiscalità del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti stessi. E prende in considerazione in particolare coloro che – dipendenti o pensionati – hanno anche un reddito da lavoro autonomo. Fino all’anno scorso, infatti, poteva utilizzare il regime forfetario chi aveva redditi da lavoro autonomo fino a 65 mila euro a cui potevano sommarsi redditi da pensione o lavoro dipendente senza alcun limite. Da quest’anno, invece, per pensionati e dipendenti è stato introdotto un tetto di reddito: 30 mila euro l’anno. L’obiettivo del governo è evitare che l’aliquota agevolata del 15% si applichi anche a chi può già contare su redditi medi o medio-alti, creando una disparità di trattamento rispetto a coloro che hanno lo stesso reddito ma percepito solo da lavoro dipendente.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Bisozzi Francesco 
Titolo: Statali, cambiano le pagelle: premi anche sui click web – Statali, così cambiano le “pagelle voti legati a click web e risparmi
Tema: P.a.

Al debutto 15 nuovi indicatori per valutare le performance degli statali che, almeno nelle intenzini, dovrebbero porre un freno alle “promozioni” a pioggia. Il governo giallorosso e la ministra della Funzione pubblica Fabiana Dadone puntano a cambiare l’odierno sistema di valutazione a cui è soggetta la Pa. Come? Più carta risparmierà una singola amministrazione statale e più alto sarà il voto che le verrà assegnato. Anche la quantità di visitatori che accederanno ai siti web degli enti pubblici influirà sulle pagelle. I voti, insomma, saranno legati ai click. La votazione cambierà pure in base al numero dei dipendenti in lavoro agile o telelavoro, al grado di utilizzo del sistema d’identità pubblica digitale, al tasso di servizi di pagamenti erogati attraverso la piattaforma PagoPa, alla spesa sostenuta per gli acquisti di beni e servizi, al tasso di mobilità interna del personale non dirigenziale, alle attività formative dedicate ai dipendenti e al livello di trasparenza.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Patucchi Marco 
Titolo: Patente a punti per il lavoro sicuro Ma la strage non si ferma
Tema: sicurezza sul lavoro
L’ultimo caduto del 2019 lunedì 30 dicembre. Un operaio di una ditta di spedizioni, 41 anni, ucciso dall’esplosione dello pneumatico di un camion nel piazzale dell’azienda, a Funo di Argelato, vicino Bologna. Il primo del 2020 ieri, ad Atessa (Chieti): Cristian Terilli, 29 anni, dipendente della ditta Sinergia, morto nello stabilimento della Sevel durante un intervento di manutenzione per conto della Comau, società del gruppo Fca. Schiacciato da un supporto di ferro dell’impianto robotico, staccatosi improvvisamente. La classe operaia continua ad andare in paradiso ogni giorno; una strage che nei primi undici mesi dello scorso anno ha segnato 997 casi, almeno in base alle denunce di infortunio arrivate all’Inail, che ovviamente non conteggiano le vittime del lavoro nero. La politica intanto si indigna, solidarizza e annuncia, ma poi rimane ferma.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Barlaam Riccardo 
Titolo: Scontro Usa-Iran, vola il petrolio – Attacco Usa, ucciso Soleimani Trump: «Voleva colpirci»
Tema: Scontro Usa-Iran

Altissima tensione in Medio Oriente dopo un raid Usa a Baghdad in cui è stato ucciso il generale Soleimani, figura chiave del regime iraniano. Reazioni preoccupate dalle cancellerie mondiali. Teheran promette vendetta «nel momento e nel luogo più opportuni». I Pasdaran rincarano: «Comprino bare per i soldati». Trump: volevano colpirci, non vogliamo la guerra, ma pronti a rispondere. Fonti del Pentagono: Usa pronti a dispiegare altre migliaia di soldati nell’area. L’attacco ha contagiato i mercati: Borse in rosso, balzo del petrolio, su i beni rifugio. L’operazione del Pentagono che ha portato all’uccisione del generale Qassim Soleimani è stata coperta dal silenzio assoluto del governo fino all’ultimo. Un manager che aveva una cena con Donald Trump a Mar-a-Lago, nel resort di Palm Beachin Florida, ha raccontato che l’appuntamento è stato cancellato all’improvviso. Il commander-in-chief stava autorizzando il blitz che ha ucciso con un drone il comandante iraniano, colpito nel convoglio dei due veicoli appena usciti dall’aeroporto internazionale di Baghdad. Trump lo ha fatto sapere a suo modo, pochi minuti dopo, mostrando una bandiera americana a stelle e strisce su Twitter. Per quanto chirurgica l’operazione americana equivale a una dichiarazione di guerra.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Bongiorni Roberto 
Titolo: Missili, droni e milizie: la vendetta dell’Iran
Tema: Scontro Usa-Iran

Qassem Soleimani non era solo il comandante delle forze Quds, l’agguerrita divisione dei Pasdaran deputata a pianificare ed eseguire tutte le operazioni oltre confine. L’esperto generale era visto dai suoi nemici come il direttore del caos mediorientale. Stati Uniti ed Israele non esitavano a definirlo terrorista. In Iran, però, Qassem era una figura leggendaria, probabilmente la più popolare. Più potente di qualsiasi ministro, poteva vantare un filo diretto con la guida spirituale della Repubblica islamica dell’Iran, Ali Khamenei. Il blitz militare americano che ha ucciso a Baghdad Soleimani ha colto di sorpresa il mondo in un periodo di grandi tensioni in tutto il Medio Oriente. Ora sono in molti a temere una pericolosa escalation. E a porsi la stessa domanda: quale sarà la reazione iraniana? Difficile prevederlo. In attesa di conoscere la risposta, sul fronte interno la morte di Soleimani sta provocando un rigurgito di nazionalismo tra molti iraniani, ricompattando l’opinione pubblica intorno alla leadership. Al contempo offre un formidabile pretesto agli ultraconservatori per mettere ancor di più nell’angolo i moderati guidati dal presidente Hassan Rouhani.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Olimpio Guido 
Titolo: Raid Usa. L’Iran: ora vendetta – Le spie, un drone, gli Apache Morte dal cielo per Soleimani
Tema: Scontro Usa-Iran

Lo hanno sorpreso nel cortile di casa iraniano, lungo la strada che dall’aeroporto porta verso Bagdad. Ed hanno usato un drone, il mietitore di Obama e Trump, l’arma preferita dai presidenti. Silenziosa, micidiale e spendibile. E’ morto così, dilaniato da un missile, Qassem Soleimani, il comandante della Divisione Quds, apparato clandestino dei pasdaran iraniani e grande regista politico della regione. Un atto di guerra che spinge l’intera regione verso l’abisso. È notte fonda, attorno alle 00.30 un velivolo proveniente dalla Siria atterra nella capitale irachena. I passeggeri salgono su due Suv. Oltre alla scorta, piuttosto ridotta, ci sono l’alto esponente khomenista e Abu Mahdi al Muhandis, leader della milizia irachena sciita Hashed, possente strumento di Teheran. I veicoli raggiungono una strada che costeggia lo scalo, imboccano un rettilineo. Chi è a bordo intravvede nell’oscurità il muraglione, qualche palma, dei cartelloni. Poi non hanno tempo di capire. Il mini-corteo è centrato dai missili sparati da un velivolo senza pilota. Le vetture sono ridotte in rottami, le fiamme consumano ciò che resta. E il caos. Nella zona sono segnalati degli elicotteri d’attacco Apache, testimoni parlano di esplosioni di razzi, qualcuno ipotizza un loro coinvolgimento nell’operazione.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Nicastro Andrea 
Titolo: Teheran promette «dura vendetta» e chiama a raccolta le piazze sciite
Tema: Scontro Usa-Iran

Nessuno Stato sarà disposto a combattere per la vendetta annunciata da Teheran, ma le critiche all’assassinio del generale Soleimani disegnano una mappa del consenso alternativa a quella dell’Occidente a guida americana. Mosca parla di «errore, capace di innescare tanto una guerra quanto una corsa all’atomica iraniana». Pechino invoca «il rispetto della sovranità territoriale irachena» e invita (specialmente Washington) alla moderazione in vista di una reazione data per inevitabile. Se la settimana scorsa Teheran ha fatto circondare l’ambasciata americana di Bagdad per la morte di 25 anonimi miliziani, che cosa farà ora per il suo mito militare? La risposta iraniana ci sarà, la Repubblica islamica lo garantisce a ogni livello. La Guida Suprema Ali Khamenei ha minacciato «una dura vendetta al momento opportuno e nel posto giusto». Senza fretta, però, prima ci saranno tre giorni di lutto nazionale e il sostituto di Soleimani, Ismail Saani, preparerà il piano d’azione. Per il presidente Hassan Rouhani, di solito portato a mediare, «le nazioni libere del Medio Oriente prenderanno la loro rivincita sull’America criminale» che, nel vocabolario iraniano, sono quelle fuori dall’influenza americana e dentro quella di Teheran. «Gli americani preparino le bare per i loro soldati» ha sibilato Reza Naghd, importante generale dei Pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione). In tutta la Repubblica islamica decine di migliaia di persone vestite a lutto hanno agitato le foto di Soleimani e scandito il tradizionale «Morte all’America».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Flores D’Arcais Alberto 
Titolo: Trump a un passo dalla guerra con l’Iran – Trump elimina il super-generale dell’Iran “Il regno del terrore di Soleimani è finito”
Tema: Scontro Usa-Iran

«Sotto la direzione del Presidente, le nostre forze armate hanno compiuto un’azione difensiva decisiva per proteggere il personale degli Stati Uniti all’estero uccidendo Qassem Soleimani, capo della forza rivoluzionaria islamica Quds, un’organizzazione terroristica». Erano da poco passate le otto di giovedì sera a Washington quando il Pentagono ha confermato quello che tutti sospettavano: l’attacco notturno all’aeroporto di Baghdad era opera americana, il nemico numero uno – l’uomo forte del regime degli ayatollah – era stato ucciso. Con una precisione chirurgica un drone MQ-9 “Reaper” ha centrato con quattro missili le due automobili su cui viaggiavano Soleimani, un suo stretto collaboratore, il capo delle milizie irachene filo-iraniane Abu Mahdi al-Muhandis e altri quattro miliziani. Un’esplosione devastante, che ha ridotto quasi in cenere le due auto e reso irriconoscibili i corpi tanto che l’identificazione di Soleimani è stata possibile solo grazie al grande anello che portava sempre al dito. «L’Iran non ha mai vinto una guerra, ma non ha mai perso un negoziato!». Trump ha affidato a Twitter i commenti sul raid, rivendicando l’operazione militare «non solo per vendicarsi» degli ultimi attacchi contro gli Usa in Iraq ma soprattutto per «prevenire» un attacco imminente: «Soleimani ha ucciso o ferito gravemente migliaia di americani e stava pianificando di ucciderne molti altri. Era direttamente e indirettamente responsabile della morte di milioni di persone, comprese le migliaia che protestavano uccise in Iran». E parlando da Mar-a-Lago ha detto: «Il suo regno di terrore è finito». E poche ore dopo ha consegnato alla diplomazia svizzera  un messaggio per il regime degli ayatollah: «Siamo stati noi».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cadalanu Giampaolo 
Titolo: I mille soldati italiani sul fronte della crisi – Massima allerta per gli italiani, rischio escalation
Tema: Scontro Usa-Iran

L’attacco Usa contro Qassem Soleimani in Iraq scatena un’escalation di tensione che coinvolge in parte anche i contingenti militari italiani. La Difesa ha innalzato al massimo il livello delle misure di sicurezza nelle basi. I rapporti fra il nostro Paese e la Repubblica islamica sono sempre stati abbastanza cordiali, e la tradizionale disponibilità italiana a fare da “ponte” fra culture diverse e i mai scomparsi collegamenti commerciali appaiono un elemento di rassicurazione. Ma la possibilità che i militari delle nostre Forze armate siano considerati “occidentali” tout court o scambiati per americani, diventando oggetto di rappresaglia, resta concreta. In Iraq un contingente di carabinieri ha il compito di addestrare la polizia irachena: i militari godono dell’apprezzamento locale e operano in ambienti protetti, a Bagdad, con una politica di basso profilo. Un peggioramento grave della situazione potrebbe suggerire un loro rientro anticipato. Diversa è la situazione per il contingente di truppe speciali, schierato fra la capitale e il nord, con una base a Kirkuk. Le condizioni operative della cosiddetta Task Force 44 potrebbero diventare più rischiose dopo l’attacco Usa, per la presenza diffusa in tutto l’Iraq delle milizie sciite, a partire dalle Hashd el Shaabi che Bagdad ha integrato almeno in parte nelle sue Forze Armate. Meno In Iraq la situazione più delicata in particolare per leforze speciali a Kirkuk In Libano si temono provocazioni preoccupazioni suscita la presenza degli addestratori a Erbil, nel Kurdistan, e del contingente aeronautico in Kuwait. In tutto sono presenti in Iraq 926 militari italiani, più altri 14 inclusi in missioni europee e Nato.
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Testata:  Stampa 
Autore:  La Mattina Amedeo 
Titolo: Il silenzio di Conte Grillini imbarazzati Salvini: grazie Usa
Tema: Usa-Iran: le reazioni

Il raid americano che ha ucciso il generale iraniano Quassem Soleimani spiazza il governo italiano, già alle prese con la perdita di ruolo in Libia, e divide il centrodestra. Solo Matteo Salvini e Alessandro di Battista si schierano pro e contro l’iniziativa militare di Donald Trump. L’ambasciata iraniana vorrebbe una presa di posizione di Palazzo Chigi contro Washington ma finora il premier Giuseppe Conte non ha proferito parola. Nemmeno il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è andato oltre un atteggiamento prudente di fronte alla «pericolosa escalation» degli ultimi giorni culminata con l’uccisione di Soleimani, dopo l’assedio dell’ambasciata americana in Iraq. Prima c’è stata una nota della Famesina con l’appello perché si agisca con «moderazione e responsabilità e si mantengano aperti i canali di dialogo. Bisogna in tutti i modi evitare atti che possano avere gravi conseguenze sull’intera regione».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Salvini e Meloni divisi su Trump Di Maio: “Serve moderazione”
Tema: Usa-Iran: le reazioni

Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno scelto per la prima volta di schierarsi su fronti opposti rispetto al raid Usa in cui è rimasto ucciso il generale iraniano Soleimani. Assumendo, il primo, una posizione isolata di sostegno incondizionato alla Casa Bianca; l’altra una condanna che finisce per avvicinarla al sentimento prevalente espresso dai grandi del G7. Ieri il segretario della Lega è stato uno dei primi a complimentarsi con l’ex magnate: «Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e della Ue, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà», ha esultato Salvini. Subito rimbrottato dalla presidente di FdI, che ha fatto prevalere l’angoscia per un’escalation che mette a repentaglio «i nostri soldati», oltre ad «acuire il problema dell’immigrazione ed alimentare il terrorismo», sulle ragioni della bottega sovranista. «La complessa questione mediorientale non merita tifoserie da stadio ma necessita di grande attenzione», ha bacchettato Meloni su Fb, esprimendo «la più ferma condanna al gravissimo assalto all’ambasciata statunitense in Iraq e una forte preoccupazione per le conseguenze della reazione americana».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Montefiori Stefano 
Titolo: Attacco col coltello vicino a Parigi «Voleva una strage per Allah»
Tema: Attentato a Parigi

Ieri intorno alle 14 un uomo di 56 anni stava facendo una passeggiata con la moglie di 47 nel parco di Villejuif, alla periferia sud di Parigi. «L’aggressore li ha attaccati e lui ha voluto proteggere la moglie – dice il sindaco Franck Le Bohellec -, così si è preso la coltellata». L’uomo è stato soccorso in arresto cardiaco e poi è morto, la moglie è stata ricoverata d’urgenza. Un’altra donna, di 30 anni, è stata ferita con una coltellata alla schiena, all’esterno del parco, in modo meno grave. Sono queste le tre vittime dell’attacco sferrato ieri da Nathan C., 22enne residente a Parigi, convertito all’Islam, seguito da un centro psichiatrico per schizofrenia e interrogato dalla polizia nel 2018. Il giovane indossava una djellaba (abito tradizionale arabo) e secondo testimoni avrebbe gridato più volte «Allah Akbar», Allah è grande. Dopo essere entrato in azione nel parco Nathan C. si è diretto a piedi con decisione verso il supermercato Carrefour e il centro commerciale di L’Hay-les-Roses, il comune accanto. «Quello era il suo obiettivo – dice il sindaco Vincent Jeanbrun -. I passanti nel parco hanno avuto la sfortuna di trovarsi sul suo cammino, ma lui andava dritto verso il centro commerciale, è lì che voleva fare un massacro». Lungo la strada Nathan C. ha cercato di colpire altri passanti, «che per fortuna sono riusciti a evitarlo», dice la procuratrice di Créteil, Laure Beccuau. L’assalitore è stato inseguito dalla polizia e raggiunto nel parcheggio del supermercato. Gli agenti lo hanno circondato e gli hanno sparato, uccidendolo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Griseri Paolo 
Titolo: Terrore alle porte di Parigi Accoltella i passanti nel parco
Tema: Attentato a Parigi

La prima telefonata al centralino della polizia è arrivata alle 13.57. Quando i gendarmi hanno raggiunto il parco di Hautes Bruyères, nel comune di Villejuif nella banlieue a sud di Parigi, l’uomo con il coltello aveva già colpito tre delle sue vittime, uccidendo un uomo. Stava fuggendo a piedi scalzi lungo la strada che dal parco raggiunge un centro commerciale vicino all’autostrada che unisce Parigi a Marsiglia. Nel parcheggio dell’ipermercato l’uomo era ancora riuscito a colpire alla schiena un passante. Poi i poliziotti lo hanno circondato e ucciso. La zona è stata immediatamente bloccata. Un piccolo robot è stato mandato vicino al corpo della vittima per accertarsi che non indossasse esplosivi. Ma sotto la gellaba della vittima non è stato trovato nulla. Nel suo zaino i documenti, una copia del Corano e una lettera che la polizia definisce genericamente “di argomento religioso”. Per tutto il pomeriggio di ieri Parigi è ripiombata nel clima plumbeo dei giorni degli attacchi terroristici. Il dispiegamento delle forze di sicurezza nel parco di Villejuif ben illustrava il punto di vista degli inquirenti. L’indagine è stata affidata alla magistratura ordinaria e alle forze di polizia della Marne, la zona dell’accoltellamento. Ma a poca distanza vigilavano i reparti speciali dell’antiterrorismo. Solo in serata si è capito che, con tutta probabilità, non c’era l’estremismo religioso dietro l’azione di Nathan C., l’uomo «tra i venti e i trent’anni» responsabile degli accoltellamenti. Nathan era stato in ospedale negli anni scorsi per problemi psichiatrici anche se ultimamente non era ricoverato.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  R.Es. 
Titolo: Spagna, il via libera dei catalani apre la strada al Sanchez bis
Tema: Spagna

La svolta. Dopo una estenuante crisi politica, la Spagna potrebbe immaginare una ripartenza. Tredici deputati dell’Erc, sinistra repubblicana catalana, hanno deciso di astenersi nel voto di fiducia, dando il via libera al premier socialista incaricato PedroSanchez di formare un governo con la sinistra di Podemos, guidata da Pablo Iglesias. All’accordo si unirebbero i nazionalisti baschi del Pnv. La decisione conclude una crisi politica che in Spagna va avanti da mesi, nonostante due elezioni anticipate nel 2019, che hanno portato a 4 (in 4 anni) gli appuntamenti elettorali. Se tutto filerà liscio Sanchez avrà la maggioranza al voto di fiducia (che in Spagna si chiama «investitura»), in programma tra oggi e il 7 gennaio, quando basterà la maggioranza relativa. Il prezzo politico è questo: il riconoscimento del conflitto catalano come “politico”, e non più come crimine istituzionale. Dopo questa “fumata bianca”, di giovedì sera, ieri è arrivata la prima precisazione, molto attesa: «Non ci sarà alcun referendum per l’autodeterminazione in Catalogna». Lo ha voluto chiarire il Partito socialista spagnolo (Psoe), nel ratificare l’accordo raggiunto con l’Erc che, in cambio dell’astensione dei suoi 13  deputati nel voto di fiducia al governo Psoe-Podemos-Pnv guidato da Pedro Sanchez, si è impegnato a un tavolo negoziale. Si tratterebbe di un accordo tra il governo spagnolo e la Generalitat della Catalogna per una «soluzione politica» del «conflitto catalano», senza preclusioni.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mangani Cristiana 
Titolo: Libia, in salita (causa Francia) il vertice Ue Misurata sfiducia Roma: via i vostri soldati
Tema: Libia

Tanti sforzi, ma pochi risultati. L’Europa va avanti con la preparazione della sua missione in Libia nel tentativo di evitare l’escalation militare. La soluzione, però, è molto lontana e anche all’interno della Ue c’è chi tende a fare un passo avanti e due indietro. L’obiettivo delle principali cancellerie europee resta quello di incoraggiare le parti in conflitto ad abbassare le armi. E scongiurare, se possibile, che Ankara invii le sue truppe sul terreno: scenario che rischia di compromettere una soluzione politica della crisi. Il sì del parlamento turco all’invio di militari per difendere Tripoli dall’offensiva di Haftar ha creato un ulteriore elemento di tensione in Libia, dalle conseguenze imprevedibili. L’Italia che tanto ha fatto per il paese africano, si trova ora “sfiduciata” dagli stessi componenti del governo riconosciuto dall’Onu. E questo nonostante le dichiarazioni di amicizia rese dal presidente Fayez al Serraj durante la missione del ministro Luigi Di Maio. Ma la Turchia porta armi e uomini, quello che Tripoli chiede da tempo all’Europa, senza risultati, visto che c’è un embargo dell’Onu. La situazione è anche più complessa di quanto trapeli ufficialmente. Tanto che ieri “gli anziani” di Misurata, la grande forza militare di Tripoli, si sono riuniti, e una ventina di loro ha deciso che chiederà ufficialmente all’Italia di ritirare i 300 militari che si trovano sul territorio per “proteggere” l’ospedale gestito da medici italiani. Una struttura che ormai – considerano – non serve, vista l’inattività di questi mesi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Stefanini Stefano 
Titolo: L’Australia non riesce a spegnere i roghi “Qui non si respira più, dobbiamo fuggire”
Tema: Australia

Australia sta reagendo agli incendi con rabbia e coraggio. Ma cresce anche il risentimento verso il governo, percepito come tardivo nel reagire e incapace di empatia. L’ottimismo del primo ministro, Scott Morrison, nel messaggio di fine anno gli si è ritorto contro nei fischi con cui è stato accolto quando ha visitato le località colpite. Morrison è un politico popolare, appena rieletto. Si ostina a considerare gli incendi come una crisi grave ma di ordinaria amministrazione. Non lo è e la gente lo sente. Il filo diretto si è incrinato. Si stima che quasi dieci milioni di australiani, più di un terzo della popolazione, dovranno fare i conti con l’aria irrespirabile. Qualsiasi evacuazione è una sfida logistica. A maggior ragione quando viene a mancare il carburante nei distributori o smettono di funzionare le infrastrutture di telefonia mobile – chi di noi saprebbe cosa fare in un’emergenza senza i fidi telefonini o dove andare senza Google maps? In queste condizioni si sono trovate molte località australiane assalite dalle fiamme. Sono entrati in azione i militari, unici ad avere le risorse, organizzazione e mentalità per gestire queste operazioni. Quella che è in corso in questi giorni è la più ampia mai avvenuta in Australia, dove c’è comunque una lunga storia di cicloni e una solida preparazione ad affrontare anche i disastri naturali.
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