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SINTESI IN PRIMO PIANO – 7 giugno 2020

In evidenza sui principali quotidiani:
– Il Pd incalza Conte. Il premier: non temo di cadere
– Cig Covid, l’Inps deve ancora pagarne l’11%
– Effetto virus: 19 nuovi sconti fiscali
– Usa, la marcia per Floyd
– Libia, Haftar propone il cessate il fuoco

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Repubblica 
Autore:  Vitale Giovanna 
Titolo: Zingaretti avvisa Conte “Serve una linea Guai a sbagliare ora”
Tema: tensioni nella maggioranza
 È preoccupato, Nicola Zingaretti, e non lo nasconde nemmeno più. Le fibrillazioni in seno al M5S unite all’ansia di protagonismo di Giuseppe Conte, che ormai vive ogni mossa del Pd — dal dialogo con Forza Italia sulla legge elettorale all’interlocuzione del ministro Gualtieri con sindacati e industriali — come un tentativo per metterlo in ombra, se non addirittura detronizzarlo, rischiano di destabilizzare il governo nel momento meno opportuno per un Paese che sta disperatamente cercando di ripartire dopo la pandemia. Ecco perché all’indomani dello scontro consumato a palazzo Chigi sugli Stati generali dell’economia, annunciati senza che nessuno ne sapesse nulla, il segretario dem sente l’urgenza di riunire in videoconferenza ministri e capigruppo per ribadire la linea della prudenza. Accompagnata però da un avvertimento: la pazienza è finita, fughe in avanti e iniziative estemporanee, d’ora in avanti, non saranno più tollerate. Per dirla con uno dei parlamentari fra i più influenti: «Basta casalinate», riferimento esplicito al portavoce del premier, Rocco Casalino, artefice dell’ultimo spot lanciato in diretta tv sul grande evento a base di parti sociali e «menti brillanti» che Conte avrebbe voluto inaugurare già domani a Villa Pamphili. Perché se «il punto di unità esiste», rassicura Zingaretti per cercare di ricucire la trama di una maggioranza sempre più sfilacciata, è vero pure che «ora gli italiani hanno il diritto di sapere quale via intende indicare il governo per riaccendere i motori dell’economia, grazie anche all’aiuto dell’Europa». Perciò «guai a commettere leggerezze ed errori», ammonisce il leader. «Adesso occorre un progetto: indirizzi chiari e scelte collegiali».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fiammeri Barbara 
Titolo: Il Pd smorza i toni ma incalza Conte: «Serve concretezza»
Tema: tensioni nella maggioranza

Il premier punta a organizzare l’incontro con i principali esponenti dell’economia e le parti sociali a metà della prossima settimana, presumibilmente mercoledì e giovedì, a Villa Pamphili. Il Pd non si mette di traverso ma non arretra. I dem chiedono adesso posizioni chiare, a partire dal Mes. «Quando sindacati e imprese si presenteranno da noi dobbiamo essere in grado di dire cosa vogliamo fare, con quali tempi e con quali risorse», è il ragionamento che ripetono i dem e che il vicesegretario Andrea Orlando rende ancora più esplicito:«Che ci sia urgenza siamo tutti d’accordo, ma evitiamo improvvisazioni. Chiamare gli Stati generali significa chiamare tutto il Paese a raccolta e bisogna che si producano fatti e non chiacchiere». In ballo ci sono i miliardi in arrivo dall’Europa e anche le stesse misure contenute nel decreto rilancio dove lo scontro interno alla maggioranza è fortissimo, prova ne sono le centinaia di emedamenti presentati dai partiti che sostengono il Governo. Lo stesso vale per l’annunciato decreto semplificazioni su cui restano le distanze tra dem e M5s. Conte però non intende rimanere ostaggio dello scontro tra i partiti che lo sostengono. Il premier è convinto che la sua partita si gioca prima di tutto in Europa, dove deve presentarsi però con una dote importante, ovvero un Piano di riforme che renda palese il nuovo corso italiano. Nel frattempo deve evitare che le tensioni interne alla maggioranza deflagrino. L’altolà del Pd non può essere sottovalutato. Lo ha capito anche Matteo Renzi: «È bastato fare l’accordo con Italia Viva e subito altri hanno iniziato a prendere le distanze dal Primo Ministro, chissà perché…», ironizza l’ex premier. Che avverte: «In autunno ci presenteremo in tutte e sei le regioni al voto».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Cesaretti Laura 
Titolo: Il Pd guarda a Forza Italia E il centrodestra traballa – Il Pd frena le mire di Conte E ora guarda a Forza Italia
Tema: tensioni nella maggioranza
La versione ufficiale dell’indomani è ovviamente diplomatica: «Nessuna contrapposizione» tra Pd e premier, nessuno «scontro» («Anche perché litigare col premier è impossibile, quello è un incassatore professionista, annusa l’aria e si adegua subito», chiosa un ministro). Solo un «utile chiarimento» sulla gestione della delicatissima fase che si apre ora. Ma l’avvertimento al premier è arrivato forte e chiaro, sia pur avvolto ieri in eufemismi: togliti dalla testa di fare l’uomo solo al comando, e di gestire personalisticamente il fiume di risorse Ue per la ricostruzione. Conte, capita l’antifona, ha fatto retromarcia: i pomposi «stati generali dell’economia» che aveva annunciato (all’insaputa dei dem) slittano a giovedì e non saranno il Red carpet condito di improbabili vip su cui contava di esibirsi, ma vengono derubricati a «primo momento di riflessione» cui seguirà un lungo «processo che coinvolga in modo non superficiale le migliori energie, per definire obiettivi chiari allargando il confronto a tutte le forze politiche disponibili», si legge comunicato vergato da Zingaretti al termine di un summit Pd. La fuga in avanti di Conte e la sua «ansia comunicativa di mostrarsi come il timoniere del futuro» (dice un alto dirigente Pd) sono state per ora stoppate. Una «ansia comunicativa» che si è concretizzata anche nella diffusione, spinta da Palazzo Chigi, di quel trionfale sondaggio sui mirabolanti consensi (a spese di un Pd ridotto al 16%) di una futuribile Lista Conte. Va bene celebrare il premier come «punto di riferimento dei progressisti», come dicono gli zingarettiani, a patto che Conte sappia che la sua è una leadership «octroyée», e che non può allargarsi fino a dare per scontato il ruolo ancillare che i dem hanno finora assolto. Ora che ci sono enormi risorse da gestire, il Pd non vuole farsi scippare il rapporto con i sindacati, e vuole riconquistarsi un ruolo di regista, ricostruendo le relazioni con la Confindustria di Bonomi e coltivando quelle con Forza Italia, che può pesare molto nella partita per il proporzionale e per l’adozione del Mes, neutralizzando – nelle speranze del Nazareno – le spinte centrifughe di Renzi sul primo fronte e di M5s sul secondo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: “Stop licenziamenti per tutto il 2020” Il Pd vuole imporre l’agenda a Conte
Tema: tensioni nella maggioranza
Anche se il Pd non le indica chiaramente, ci sono tre questioni che in queste ore hanno posto fine alla convivenza finora armoniosa tra il Pd e il premier. La prima questione, non esplicitata, riguarda centinaia di migliaia di posti di lavoro, a rischio senza un decreto del governo che prolunghi il blocco dei licenziamenti. Seconda, delicata questione: da molti ospedali sta trapelando il timore che migliaia di malati forzatamente trascurati in questi mesi, si siano aggravati e dunque in autunno potrebbero rappresentare una nuova emergenza. Anche per questo motivo i ministri del Pd stanno spingendo con Conte per l’accoglimento «immediato e senza indugi» del Mes, i 36 miliardi europei per la sanità. Poi c’è una querelle più immediata, tutta politica ed appartiene alla sfera del bon ton: Zingaretti e i suoi ministri hanno ritenuto sconveniente la decisione di Conte di annunciare la convocazione a breve degli Stati generali dell’economia senza preavvertire gli alleati di governo su modalità e finalità. In attesa che si trovi una soluzione, Pierluigi Castagnetti (padre nobile del Pd e buon amico di Sergio Mattarella), suggerisce una soluzione che, si sa, è piaciuta a Zingaretti: «Tutti i ministri si riuniscano subito per due giorni in un convento e ne escano con una bozza di piano, senza bandierine dell’uno e dell’altro». E Castagnetti, uno dei politici più garbati degli ultimi decenni, spiazza tutti: «Risparmiateci la menata degli Stati generali!». Dietro le quinte Pd sta spingendo sulla questione del divieto dei licenziamenti, che scade il 17 agosto. Se non sarà rinnovato il blocco («sino alla fine dell’anno», avrebbe promesso in via riservata Conte al leader della Cgil Maurizio Landini) il rischio molto concreto è che a partire da settembre centinaia di migliaia di lavoratori si ritrovino senza lavoro. Sette-ottocentomila? Un milione? A quel punto la Cgil ha già deciso: passerebbe al contrattacco con un’arma (quasi certamente lo sciopero generale) che troverebbe il Pd “spiazzato”.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: Intervista a Giuseppe Conte – Conte: non temo di cadere – «Io non mi sento accerchiato Ma ora c’è l’urgenza di agire»
Tema: tensioni nella maggioranza
«Non mi pare di essere accerchiato più di quanto lo fossi nella prima fase. In tutti questi mesi ho sentito dire in continuazione: Conte cade, Conte cade. Fa parte del gioco, ho imparato a non meravigliarmi. Ma come si vede e si vedrà, non è così». Giuseppe Conte tradisce la soddisfazione tipica dei sopravvissuti. Le ultime ore hanno consegnato l’immagine di un presidente del Consiglio contestato dalla propria maggioranza, quasi alle corde. Criticato soprattutto per il modo estemporaneo col quale avrebbe impostato e imposto l’idea degli Stati generali dell’economia: un titolo pomposo per dare corpo alla fase due o tre, circondato da una coltre di scetticismo e di malcelata irritazione per il protagonismo attribuito al premier. Ma la fase che dovrà definire le capacità del governo e della sua maggioranza di far ripartire l’Italia dopo l’emergenza da Coronavirus è comunque iniziata. E Conte sostiene di lavorarci da tempo. A fine giornata, parlando al telefono dalla sua auto, sembra più tranquillo. Un filo di inquietudine, tuttavia, deve averlo attraversato quando l’altroieri ha registrato le reazioni di alcuni suoi ministri. Quello scambio a muso duro a Palazzo Chigi rimane sullo sfondo come testimonianza di un rapporto soggetto ad alto e bassi che riflette quelli tra le forze della coalizione: in particolare tra M55 e Pd, divisi sull’Europa soprattutto. «La verità è che quando si arriva alla sostanza delle cose, asciugandole dalle polemiche, ci si rende conto che questa maggioranza è composta da partiti responsabili, che capiscono bene quali siano le priorità del Paese. Il clima è migliore di quello che sembra. E anche alcune perplessità del Pd sono rientrate».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Intervista a Andrea Orlando – «Il gioco si fa insieme» – «Stavolta non si può sbagliare Questo gioco si decide insieme»
Tema: tensioni nella maggioranza
Onorevole Andrea Orlando, lei è il vicesegretario del Partito democratico e l’altroieri ha dato l’altolà del Pd agli Stati generali proposti dal premier Giuseppe Conte… «Non c’era niente di concordato nel Pd. Abbiamo tutti letto questo annuncio. E tutti per una reazione di cautela e preoccupazione abbiamo detto che un passaggio come questo, che tra l’altro noi avevamo auspicato, va preparato adeguatamente. Quindi non c’è nessun attacco politico contro Conte. C’è la consapevolezza che non si può sbagliare e quindi questo passaggio deve essere finalizzato a far arrivare il Paese pronto all’appuntamento con l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea. E “pronto” non significa solo che dobbiamo avviare alcune riforme che sono necessarie ma anche consentire a tutti i soggetti di questa sfida — le imprese il settore finanziario e la pubblica amministrazione — di prepararsi». Onorevole Orlando, voi chiedete più tempo perché non volete che questo appuntamento degli Stati generali sia solo una passerella? «Sì. Anche se si tratta solo dell’apertura di un percorso, come poi Conte ha chiarito, è bene mettere a fuoco le regole del gioco. Per esempio un modulo che potrebbe essere utilizzato è quello che si utilizza a livello europeo per l’istruttoria di procedimenti importanti, la cosiddetta procedura del libro bianco. Noi siamo soprattutto preoccupati di una dinamica che vediamo ogni giorno: da un lato si dicono delle cose ai tavoli e poi magari si fanno delle interviste che vanno in tutt’altra direzione. Questo non rafforza la coesione del Paese». Un altro punto dolente è il Mes… I Cinque stelle fanno resistenza, i governatori delle Regioni, anche quelli di opposizione, lo vogliono. «Qui non si tratta di dire “voglio questo, voglio quello”. Dobbiamo chiederci che cosa serve al Paese. Insomma, se c’è un piano finalizzato al ripensamento complessivo del sistema sanitario del nostro Paese allora è giusto come ha sostenuto Zingaretti, porsi il problema del Mes, perché dopo il Covid dobbiamo ripensare il sistema sanitario».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Scalfari Eugenio 
Titolo: Editoriali – Il rilancio del premier nel Paese fermo
Tema: tenuta del governo

Conte soffre di un difetto di origine: non ha mai avuto l’appoggio pieno da una proprietà che avrebbe dovuto rappresentare. Per certi aspetti un governo dovrebbe avere alle spalle una struttura proprietaria privata, ma c’è modo e modo, proprietà e proprietà. Attenzione però: i gruppi di potere sociali ed economici rappresentano un fatto culturale prima ancora che politico. Giuseppe Conte è al potere da appena due anni e, con questa maggioranza, da meno di un anno, eppure le sue iniziative hanno un peso positivo. Quando merita qualche critica è bene farla sapendo tuttavia che nell’attuale situazione la presenza di Conte alla testa del governo è un elemento positivo e come tale va giudicato e appoggiato.
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Testata:  La Verita’ 
Autore:  Belpietro Maurizio 
Titolo: Conte tiene in ostaggio il voto per le elezioni regionali – Conte tiene in ostaggio le regionali per paura di perdere la poltrona
Tema: tenuta governo

E’ vero che l’avvocato di Volturara Appula accarezza l’idea di affrancarsi dai 5 stelle, dove ormai è in corso una guerra di tutti contro tutti. E corrisponde certamente alla realtà l’idea di un partito personale, soprattutto dopo che sono iniziati a circolare alcuni sondaggi secondo cui, se si presentasse alle elezioni, la formazione politica capitanata dal presidente del Consiglio potrebbe arrivare al 14 per cento, scavalcando i grillini. Ma Conte sa che una cosa sono i sondaggi e un’altra la realtà. Se le rilevazioni fossero così affidabili, Pier Luigi Bersani nel 2013 sarebbe riuscito a fare un governo, Matteo Renzi avrebbe vinto il referendum costituzionale e oggi l’Italia non sarebbe governata da una maggioranza giallorossa, ma da una rossa e azzurra, ovvero da un’alleanza fra Pd, Forza Italia e qualche fuoriuscito raccattato qua e là, magari anche recuperato grazie a una scissione della Lega. No, Conte, che ha a lungo frequentato l’entourage della diplomazia vaticana, sa benissimo che in conclave si entra Papa ma si esce cardinale e dunque, nonostante lo accreditino di mirabolanti consensi, non ha voglia di toccare con mano quanti voti potrebbe racimolare. Anche Mario Monti sembrava godere di un’ampia popolarità, al punto da illudere due vecchie lenze come Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, che si allearono con lui pur di far fuori Berlusconi. Ma quando cominciò a contare i voti, si scoprì che l’ex rettore era alla guida dell’ennesimo partitino, che peraltro si sciolse come neve al sole, giusto il tempo di capire che non avrebbe contato niente. Si, il presidente del Consiglio non intende fare la fine di Monti, imbalsamato a Palazzo Madama grazie a un seggio da senatore a vita. Ma neppure vuole finire in pellicceria come quella vecchia volpe di D’Alema. Il capo del governo cerca di puntellare il suo traballante trono e per farlo è disposto a tutto, anche a spostare le elezioni. Non quelle politiche, che intende procrastinare al 2023, in tempo per sognare il Quirinale, ma quelle regionali. Il 2020 era l’anno fissato per il rinnovo di alcuni importanti incarichi di governatore ma, con la scusa del Covid, Conte ha già ottenuto di far slittare di qualche mese il voto. Però ora alcune regioni fremono per fissare la data, puntando su elezioni ravvicinate già a luglio. Ma Conte teme che le consultazioni popolari possano essere un boomerang.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verderami Francesco 
Titolo: Berlusconi, segnale a Salvini: così aiuta Meloni a superarlo E la sinistra mi tratta meglio
Tema: centrodestra
Doveva succedere che il fondatore del centrodestra arrivasse a dire «mi trattano meglio quelli di sinistra». E con «quelli di sinistra» Berlusconi parla ormai frequentemente e direttamente, a volte senza nemmeno il filtro di Gianni Letta. Con Zingaretti e Franceschini discute questioni di governo e di legge elettorale. Con Speranza ha stabilito un rapporto nei giorni più drammatici della pandemia, e ha avuto verso di lui parole di conforto quando ha saputo che il ministro della Salute stava accusando il contraccolpo dello stress: «Non attaccatelo — ha detto ai dirigenti di Forza Italia — perché è una persona seria e ha una buona scuola politica». Siano «comunisti» o «grillini» per il Cavaliere poco cambia, visto che ha legato anche con il ministro dello Sport, Spadafora, durante la vertenza sul calcio. Lui chiama «quelli» e «quelli» chiamano lui. Così dall’esilio sanitario vive lusingato questa ritrovata centralità. E sebbene pensi davvero di poter aspirare al Colle, non ha smarrito la ragione dinnanzi alle effusioni dei rivali. Come ha sempre fatto, continua a tenere il piede in tante staffe, applicando la doppiezza togliattiana in una versione più aggiornata. Anche perché, se l’impero politico è perduto resta sempre quello economico: le nomine all’Agcom, per esempio, lo interessano più delle trattative per le Regionali. Ma siccome tutto si tiene, dedica tempo al dossier e suggerisce calma a chi è delegato a gestirlo: «Bisogna restare calmi e fermi sulle nostre posizioni». Per Forza Italia il Piave si è spostato in Campania: se Salvini facesse saltare l’intesa per la candidatura azzurra a governatore, Berlusconi denuncerebbe pubblicamente il sabotaggio. Per ora trattiene il fastidio verso il leader del Carroccio e il suo «atteggiamento assurdo»: «Non si rende conto che sta aiutando la Meloni a superarlo». Conosce l’arte del divide et impera per averla sfruttata a più riprese, e infatti perfidamente spende parole di sincero elogio verso il leghista veneto Zaia: «E bravissimo. Lui e De Luca in Campania sono i presidenti di Regione che hanno gestito meglio la crisi sanitaria».
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Testata:  Stampa 
Autore:  La Mattina Amedeo 
Titolo: Intervista a Giorgia Meloni – Altolà della Meloni: con questo premier dialogo impossibile – “Noi, ignorati e derisi dal partito del premier”
Tema: centrodestra
«Finora non ho motivo di della lealtà di Berlusconi. Lui è ottimista sulla possibilità di dialogare con il governo, ma io ci sono passata e si renderà conto che troverà il portone di Palazzo Chigi sbarrato». Onorevole Giorgia Meloni, ma è sempre colpa del governo? Lei non è preoccupata del fatto che la politica nel suo insieme, maggioranza e opposizione, non sia in grado di trovare una sintesi, per affrontare una situazione economica e sociale gravissima? «Sono preoccupatissima, e proprio perché sono così preoccupata che ho accettato di collaborare durante la crisi sanitaria, di votare due discostamenti per 80 miliardi. Ho chiesto e partecipato personalmente agli incontri con il premier Conte, ho chiesto che ci fosse una cabina di regia al Mef e mandato i rappresentanti di Fratelli d’Italia. Risultato? Zero. Anzi, sembra che sia sempre colpa dell’opposizione, non ho mai sentito qualcuno della maggioranza o un ministro che dicesse “certo Superata l’emergenza è necessario un governo scelto dagli italiani potevamo accogliere questo o quest’altro”. Abbiamo scritto e mandato le nostre proposte, sempre. Ma è mai possibile che non c’è ne sia una che vada bene? Siamo stati ignorati o derisi o rappresentati come mostri pericolosi». Chi boicotta il dialogo? «I 5 stelle, soprattutto: il partito del premier passa la giornata a boicottare ogni dialogo perché verrebbe meno quel poco di collante che ha questa maggioranza. Litigano tra grillini, litigano con il Pd, si scannano con Renzi: se aprissero veramente a noi lì dentro salterebbe tutto».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Capurso Federico 
Titolo: In aula a settembre Lezioni più brevi e aule a rotazione
Tema: scuola

Approvato il decreto Scuola, con 245 voti a favore e 122 contrari – ma per domani i sindacati confermano lo sciopero del comparto – la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina già guarda alle riaperture di settembre, preparando «le linee guida per riportare gli studenti a scuola, in presenza e in sicurezza». Un piano che, a ora, è diviso in 5 macro aree: edilizia leggera; didattica negli istituti; didattica all’esterno; formazione di famiglie e docenti; dispositivi di protezione e prevenzione. Linee guida che lasceranno discrezionalità nelle scelte ai tavoli operativi aperti in ogni regione perché, spiegano dal ministero, «non avrebbe senso imporre le stesse regole per una scuola di una comunità montana e una del centro di Roma». Distinzioni che cadono, però, di fronte alla necessità di superare le “classi pollaio”, che restano diffuse su tutto il territorio. «Rispettare il criterio del metro di distanza vuol dire garantire due metri quadrati ad alunno nelle classi — scrive su Facebook la viceministra Anna Ascani —. Un parametro molto vicino a quanto già indicato dalla legge. Difficile ma non impossibile». L’intenzione è quella di concentrarsi sull’ammodernamento e l’ottimizzazione degli spazi all’interno delle scuole e non di costruire nuovi sedi. Da qui, la definizione di edilizia «leggera», per la quale sono stati già stanziati 330 milioni e altrettanti arriveranno a fine giugno. Verrà dunque raddoppiata, dopo le proteste dei presidi, la cifra che era stata stimata in circa 38 mila euro per ogni istituto scolastico. Gestire questa nuova fase votata all’edilizia leggera non sarà comunque cosa facile e per questo sono già partiti i tavoli regionali, ai quali siederanno i rappresentati del ministero e che verranno coordinati dai sindaci, che per effetto del decreto sono diventati una sorta di super commissari. Per gestire al meglio il “traffico” all’interno degli istituti, poi, nei documenti preparatori del ministero si chiede «flessibilità» nell’organizzazione della didattica e per questo si offriranno ai presidi maggiori poteri nella gestione e organizzazione delle classi.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mozzetti Camilla – Pasqua Marco 
Titolo: Ultrà ed estremisti, guerriglia Capitale – Roma, ultrà ed estremisti guerriglia al Circo Massimo
Tema: estrema destra

Tredici fermi, due arresti – un ultrà laziale oggi appartenente alla nuova Curva nord dopo lo scioglimento degli Irriducibili e un tifoso romanista – per violenza, lesioni a pubblico ufficiale e lancio di oggetti contundenti. Tre i momenti di forte tensione tra manifestanti e forze dell’ordine con lancio di bottiglie, fumogeni e aggressioni riservate anche a] giornalisti, fino al fuoco che divampa su un lembo di erba del Circo Massimo, dal lato del roseto comunale di Roma appiccato quando un gruppo di facinorosi prova di nuovo a sfondare il muro di polizia e carabinieri. E poi ancora l’incubo dei contagi da coronavirus in questa manifestazione-flop (adesioni di gran lunga inferiori alle 5 mila persone annunciate) che ha piegato una parte del centro storico della Capitale. Nessuna misura di sicurezza è stata rispettata, a partire dal distanziamenti sociali fino all’uso delle mascherine, Indossate soltanto quando bisognava “attaccare” le forze dell’ordine e coprire i volti di fronte agli obiettivi della Scientifica. Finisce così, con due ore di anticipo, la manifestazione indetta da Forza Nuova e dal movimento neofascista “I ragazzi d’Italia” con base a Brescia che ha raccolto non più di 400 persone nell’antico circo romano dove un tempo correvano i cavalli. E non è stata soltanto la tensione degli scontri che pure erano stati ampiamente previsti astravolgere una parte della Capitale: adesso bisogna spegnere un’altra miccia, quella della possibile ripresa del contagi del Covid-19.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Dell’Oste Cristiano – Mobili Marco
Titolo: Bar, alberghi e studi professionali: scatta subito il bonus affitti del 60% – Affitti commerciali, il bonus al 60% si può utilizzare subito
Tema: tax expenditures
Credito d’imposta sugli affitti commerciali subito spendibile. È uno dei chiarimenti più importanti della circolare 14/E pubblicata ieri dalle Entrate. Un documento atteso da almeno 1,2 milioni di inquilini – e proprietari – di negozi, uffici, studi e altri locali d’impresa. Di fatto, l’Agenzia sblocca l’utilizzo del tax credit con effetto immediato: potranno essere saldate, ad esempio, le prossime scadenze della tassa rifiuti (che grava sull’inquilino), ma anche gli altri tributi arretrati, oltre all’Imu in scadenza il 16 giugno (nei casi in cui il bonus verrà ceduto al locatore o per altri immobili posseduti dal conduttore). Proprio sulla possibilità di trasferire il tax credit al proprietario dei locali arriva una precisazione importante: le Entrate confermano che l’inquilino può cedere il bonus “in conto canone”, scalandolo cioè dal dovuto, senza dover versare la somma per intero.
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Mobili Marco – Parente Giovanni
Titolo: Effetto Covid: 19 nuovi crediti d’imposta – Effetto virus: 19 nuovi sconti fiscali
Tema: tax expenditures
L’emergenza sanitaria e la crisi economica dettata dal lungo lockdown fanno crescere le tax expenditures di altri 11,7 miliardi di euro. Un passo obbligato per il Governo chiamato a sostenere lavoratori, famiglie e imprese con misure straordinarie e ricorrendo – nella maggior parte dei casi – alla leva fiscale. In particolar modo, a tagli di imposte o a crediti d’imposta. Due modalità per consentire nel più breve tempo posssibile ai destinatari delle misure d’aiuto. In questo secondo caso facilmente spendibili in compensazione. La testimonianza più lampante è rappresentata dal bonus affitti commerciali che da ieri, con la pubblicazione del codice tributo «692o» e le istruzioni delle Entrate, è già operativo e spendibile sia in compensazione con altri tributi sia per “pagare” o abbattere il costo della locazione. Più in generale, l’elenco delle 19 nuove agevolazioni fiscali dell’era coronavirus (nel calcolo sono considerati separati i due crediti d’imposta per il rafforzamento del capitale e le cinque vie del 110%, mentre non rientrano le cessioni e lo sconto in fatture riportate in tabella) portano ad oltre 550 le voci che assorbono gettito. Un’erosione da 11,7 miliardi calcolata solo sul 2020 e 2021, di cui quasi 6 nel primo anno e i restanti 5,6-5,7 nel secondo. Ma il conto è destinato ulteriormente a lievitare, come certificato dalla relazione tecnica al decreto rilancio (Dl 34/2020).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Conte Valentina 
Titolo: Gli 800 mila dimenticati – Cassa integrazione Covid Un miraggio per 800 mila
Tema: Cig

Il governo progetta la fase tre. Ma ancora non riesce a mettere a terra gli aiuti della fase uno. Ci sono 830 mila lavoratori dipendenti del settore privato che aspettano l’assegno della cassa integrazione di marzo e aprile, finanziata dai 5 miliardi del Cura Italia: lo dicono i numeri Inps aggiornati al 4 giugno, frutto della differenza tra 7,6 milioni di lavoratori pagati su 8,4 milioni beneficiari potenziali. La stessa Inps parla però di “soli” 420 mila lavoratori in attesa – senza spiegare come li calcola – la metà circa: gli unici di cui conosce le coordinate bancarie. Per gli altri – si giustifica – citofonare alle imprese che non hanno inviato l’ormai mitico SR41: il documento con l’Iban dei lavoratori. Ma anche considerando chi è in regola con l’SR41 i conti non tornano: solo 3,3 milioni di lavoratori sono stati pagati da Inps su 4,8 milioni. La differenza fa 1,4 milioni, escludendo le domande annullate (circa 110 mila). «Attenzione però, perché dentro questa cifra ci sono molti doppioni», avverte Marialuisa Gnecchi, vicepresidente dell’Inps. «Ogni azienda può avere inviato anche più di un SR41. Ad esempio, la regione Piemonte per la cassa in deroga ha obbligato le imprese a fare due domande per gli stessi lavoratori: una per le prime 5 settimane e una per le altre 4». Fosse anche così e considerando che gli esperti Inps calcolano in un 15% questi doppioni, si arriva a circa 1 milione di lavoratori senza Cig: ben più dei 420 mila segnalati dalla stessa Inps. Un problema che si traduce in disagio per altrettante famiglie.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Tucci Claudio 
Titolo: Cig Covid, l’Inps deve ancora pagarne l’11%
Tema: Cig

Oscilla tra l’11 e il 13%, a seconda della tipologia del sussidio, la quota di pagamenti delle prestazioni di cassa integrazione d’emergenza che l’Inps deve ancora effettuare sulla base dei modelli SR41 ricevuti. Il dato, in miglioramento rispetto alle precedenti rilevazioni, si evince dall’ultimo aggiornamento al 4 giugno scorso su cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario, richieste di pagamento diretto e cassa integrazione in deroga, pubblicato ieri sul sito internet dell’Istituto guidato dall’economista, Pasquale Tridico. Complessivamente, i beneficiari potenziali degli interventi di Cig (nelle diverse tipologie) sono poco più di 8,4 milioni (al 4 giugno). Il dato, tuttavia, chiarisce Inps, si riferisce alle “prenotazioni di risorse” (con il dl Marzo sono stati stanziati circa 5 miliardi di euro, altri 15 sono invece previsti dal decreto Rilancio per allungare il sussidio di altre 9 settimane, per un totale quindi di 18), e non alle domande effettive di fruizione dell’ammortizzatore. Le prenotazioni, cioè, si tradurranno in effettive domande solo con l’invio del modello SR41(se a pagamento diretto) o con la consueta denuncia in Uniemens (se a conguaglio) nel mese successivo a quello di sospensione, con il quale le aziende comunicano gli effettivi stop e gli Iban dei lavoratori (in caso di pagamento diretto). Al 4 giugno, quindi, l’Inps ha comunicato di aver ricevuto 1.316.176 modelli SR41, e 1.165.625 sono stati già pagati per 3.249.249 lavoratori. Restano, pertanto, da pagare 150.551 modelli SR41, pari a 419.670 beneficiari. Sono invece oltre 4,3 milioni (4.331.098, per l’esattezza) i beneficiari potenziali che hanno ricevuto il pagamento anticipato da parte delle aziende.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  v.co. 
Titolo: Intervista a Antonio Misiani – Misiani “I soldi ci sono Riusciremo ad aiutare chi ne avrà bisogno”
Tema: Cig

«I lavoratori vanno pagati prima possibile», dice Antonio Misiani, viceministro pd dell’Economia. «Stiamo monitorando la spesa per la cassa integrazione e potrebbe essere inferiore a quanto stanziato. Ma se così non fosse, siamo pronti a intervenire con altre risorse, prima ancora di attivare il programma europeo Sure». Viceministro, ci sono ancora 830 mila lavoratori senza la Cig di marzo e aprile. Altre stime fanno salire il totale a un milione. Com’è possibile? Come si rimedia? «Stiamo ai dati Inps del 4 giugno: restano da pagare 420 mila beneficiari, il 5% del totale. Pochi o tanti che siano, vanno pagati il più rapidamente possibile». La Cig veloce, con l’anticipo Inps del 40% arriverà solo a luglio. E chi usufruisce di quella in deroga dovrà ancora passare per le Regioni, se non ha esaurito le prime 9 settimane. Non si poteva proprio fare di più? «Con il decreto Rilancio abbiamo fatto un importante lavoro di semplificazione. Sarebbe utile estendere la nuova procedura anche alle domande che potrebbero ancora arrivare in base al Cura Italia». Parlerete anche di riforma degli ammortizzatori agli Stati Generali dell’economia? «Prima dell’emergenza gli ammortizzatori sociali tutelavano 10 milioni di lavoratori dipendenti. Per gli autonomi non c’era nulla. In due mesi il governo ha esteso la Cig ad altri 5 milioni e mezzo di lavoratori e ha introdotto un sostegno per 5 milioni di autonomi, professionisti e stagionali e 900 mila lavoratori domestici. Una scelta di enorme portata. Ora serve un salto di qualità. Una riforma strutturale che introduca un ammortizzatore universale, disponibile per tutti i lavoratori di tutte le imprese, autonomi inclusi, finanziato da una contribuzione obbligatoria e in parte dalla fiscalità generale. A mio giudizio è uno dei punti chiave da discutere agli Stati generali e da inserire nel Recovery Plan italiano».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Savelli Fabio 
Titolo: Autostrade, l’intesa resta lontana Il rischio della battaglia legale
Tema: Autostrade
Pochi vincitori, quasi tutti vinti. Qualcuno osserva la vicenda della concessione di Autostrade per l’Italia stridere con l’allegato Infrastrutture al Def, in via di approvazione dal Consiglio dei ministri, che mette in campo quasi 200 miliardi. Un corposo documento di 300 pagine, redatto dai tecnici del dicastero guidato da Paola De Michell, mette nero su bianco una serie di progetti da avviare da qui ai prossimi dieci anni. Per la maggiore rete autostradale il destino è però appeso ad un negoziato che sta finendo su un binario morto. I vincitori, osservano diverse fonti, stanno per diventare gli avvocati amministrativisti ingolositi da parcelle milionarie per quello che si preannuncia come il contenzioso del decennio dall’esito imprevedibile e con pochissimi precedenti a fare giurisprudenza. I vinti rischiamo di essere tutti. Perché dal primo luglio potremmo trovarci con un gestore bloccato che guarda alla porta d’uscita. I vertici di Atlantia ritengono che per la loro controllata a questo punto, senza la sterilizzazione dell’articolo 35 del Milleproroghe che disciplina la revoca della concessione, la strada sia solo la risoluzione della Convenzione del 2007. Hanno tempo per esercitarla fino al 30 giugno. Se non lo facessero rischierebbero cause legali dagli investitori esteri azionisti di Autostrade, il fondo cinese Silk Road e i tedeschi di Allianz. Perché non contrasterebbero il cambio normativo introdotto dal Milleproroghe. Rischia di verificarsi uno strano paradosso dagli imprevedibili impatti sui conti pubblici. Mentre Palazzo Chigi ha l’urgenza di far ripartire le opere avendo anche costruito con Cassa depositi l’operazione nel settore delle costruzioni con Salini Impregilo dall’altro frantuma ogni residua speranza di compromesso con la famiglia Benetton vincolando il futuro di Autostrade all’interpretazione che uscirà dalle sentenze dei giudici di Tar e Consiglio di Stato.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmiotti Domenico 
Titolo: Ex Ilva, Patuanelli: no al nuovo piano Arcelor – Ex Ilva, il Governo boccia il piano: «Arcelor ha violato gli accordi»
Tema: ex Ilva

«Il piano che Mittal ha presentato non riflette le volontà del Governo per Taranto e non rispecchia neppure l’accordo del 4 marzo». Al Tg1 delle 20 di ieri, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, boccia il nuovo piano 2020-2025 della società dell’acciaio. Patuanelli incalza su ArcelorMittal: «Da settembre ha detto da prima che c’é un problema per l’acciaio in generale, poi ha usato la scusa dello scudo penale, e oggi invece dice che il Covid avrà un effetto per ben 3 anni sul mercato. Bisogna invece ripartire dall’accordo del 4 marzo. In Italia c’é una filiera dell’acciaio importante – aggiunge Patuanelli -. Il Governo sta pensando a come accompagnarla: stiamo lavorando a un piano nazionale dell’acciaio». Patuanelli ha intanto convocato per il 9 giugno alle 10, in videoconferenza, sindacati metalmeccanici, confederazioni e Ilva. Non ci sarà ArcelorMittal. Prima che Patuanelli parlasse, era già emerso un giudizio di piano deludente nella call di ieri mattina con Mise, Mef, il consulente del Governo, Francesco Caio, e i commissari di Ilva in as che rappresentano la proprietà. Tecnici e dirigenti dei ministeri hanno effettuato una prima lettura del piano. Approfondiranno, tomando a riunirsi, ma la valutazione immediata non è positiva. Piano deludente, si apprende, perché distante dal solco tracciato con l’accordo dello scorso marzo, come ha poi ribadito Patuanelli.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ferrera Maurizio 
Titolo: Le richieste dell’Europa – Efficienza, rapidità, progetti: le richieste dell’Europa
Tema: Italia e Ue

Con una velocità e un impegno sorprendenti, la Ue sta mettendo a punto una strategia di «recovery» (ripresa) molto ambiziosa. La crisi Covid-19 ha convinto i leader nazionali che il semplice coordinamento non basta più, occorre passare alla gestione in comune dell’economia europea. Se si sgretolano le sue fondamenta, nessun Paese si salva da solo. La proposta di von der Leyen prevede l’emissione di titoli garantiti dalla Ue e l’uso di parte dei fondi così raccolti in aiuti a fondo perduto. Non sono state ancora scritte le ultime parole. Ai cosiddetti Paesi «frugali» (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) gli aiuti non piacciono affatto, preferirebbero prestiti condizionati. Anche segmenti importanti dell’opinione pubblica e dell’establishment tedeschi nutrono seri dubbi. Angela Merkel è però riuscita a far digerire l’idea al Bundestag. Meritandosi così, al crepuscolo della sua carriera, la palma di autentica statista. I pregiudizi nordeuropei contro il «club med» e l’Italia in particolare si sono attenuati, ma non sono spariti. Si teme che la valanga di soldi diretti verso Sud vada sprecata. Venerdì scorso, in un’intervista, Merkel ha di nuovo cercato di rassicurare i tedeschi su questo punto: la Ue vigilerà sull’impiego dei soldi. E ha aggiunto che il premier italiano Conte sta per lanciare un piano «per cambiare il suo Paese» e abbattere la burocrazia. Le parole della Cancelliera sono un apprezzamento, ma anche un avvertimento: non deludetemi, mantenete gli impegni. La vittoria che il governo Conte ha oggettivamente ottenuto a Bruxelles, anche grazie a Spagna e Francia, sul fronte degli aiuti esterni carica dunque sulle sue spalle una enorme responsabilità interna. Che cosa dobbiamo fare? Non ci vuole grande inventiva. L’agenda sta scritta nelle raccomandazioni che abbiamo ricevuto dal Consiglio il 20 maggio. Niente diktat e niente austerità. Piuttosto: investimenti pubblici, istruzione, formazione, misure per la produttività e l’occupazione (femminile e giovanile), lotta alla povertà minorile, burocrazia, giustizia, gestione oculata della finanza pubblica, evasione fiscale, un prelievo che non disincentivi il lavoro e penalizzi le imprese. Obiettivi che, in varie combinazioni, sono stati inclusi nei programmi di tutti i governi passati. Ma che non sono mai stati concretamente realizzati.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Saldutti Nicola 
Titolo: Le risposte dell’Italia – Le risposte e gli obiettivi dell’Italia
Tema: Italia e Ue

In queste settimane il dibattito si è molto concentrato sulla questione del Recovery fund, il fondo europeo che consentirà all’Italia di accedere a risorse comunitarie per circa 173 miliardi di euro. Una quota verrà assegnata sotto forma di prestiti a lunghissimo termine, una quota attraverso aiuti cosiddetti a fondo perduto. Risorse che naturalmente si aggiungono a quelle previste dagli ordinari fondi di bilancio. Ci sono poi i 50 miliardi che la Cassa depositi potrà investire, gli incentivi che il governo ha messo in campo per reagire alla crisi, gli investimenti delle società partecipate dallo Stato, come Enel o Eni, Snam, Fincantieri, Leonardo o Ferrovie dello Stato. Un ingente patrimonio sul quale poter pensare di accelerare, anzi di rianimare un’economia stremata dalla crisi pandemica e dal crollo delle aspettative. Risorse ingenti, appunto. Per le quali però l’Italia rischia di giocare una partita di rimessa, non di visione. Gli Stati Generali potrebbero servire a questo, a patto che siano riunioni operative, e che non si trasformino in una sfilata di manager, ministri e sottosegretari. Prendiamo il caso dei Fondi europei di sviluppo regionale, sempre previsti dall’Ue. Per molti anni il nostro Paese ha perso occasioni per la sua congenita mancanza di progettazione, disciplina delle idee, coordinamento tra pubblico e privato, fastidio verso il monitoraggio. E qui veniamo a un punto delicato; lo schema degli amministratori pubblici, per come sono costruite le norme, è più o meno questo: prima prendiamo i soldi e poi pensiamo ai progetti da realizzare. È per questo che spesso sono sfumate possibilità di investimento e di crescita, di fondi mai spesi o spesi per progetti diversi da quelli inizialmente decisi. Qui è diverso, lo schema del Recovery fund è invertito: prima vediamo i progetti, poi arriveranno i soldi. Ed è qui che serve uno sforzo straordinario, in tempi brevi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca – Valentino Paolo 
Titolo: Intervista a Frans Timmermans – «Usate gli aiuti anche per l’Ilva» – Timmermans all’Italia: «Potete usare i fondi Ue per salvare l’Ilva a Taranto e creare l’acciaio pulito»
Tema: Italia e Ue

L’Italia potrà usare i fondi europei per l’ex Ilva di Taranto. «Vogliamo investire lì perché c’è un problema con l’acciaio e il carbone. Se saremo capaci di costruire l’acciaio europeo con l’idrogeno anche a Taranto avremo l’acciaio verde e saremo competitivi». Lo dice Frans Timmermans. Il vicepresidente della Commissione europea, con la delega al Green Deal, spiega che il Just transition fund «è passato da 7,5 a 40 miliardi» e questo offre «la possibilità di rinunciare al carbone, trasformando le industrie che ne dipendono troppo». E aggiunge: «Pensate a una Taranto in cui non ci sia più la sfida per la salute e l’aria sia pulita: ci vogliono investimenti enormi, ma l’acciaio fatto con l’idrogeno è possibile». Quanto Bruxelles può condizionare il resto del mondo? «II mercato europeo gioca un ruolo cruciale, tutti vogliono farne parte. Se noi facciamo le regole giuste, il resto del mondo si adeguerà. Proteggere questo nostro mercato diventa un elemento essenziale per la resilienza economica dell’Europa. Non possiamo lasciare neanche un Paese in ginocchio, dobbiamo aiutarci tutti. Se un Paese cade cadiamo tutti e non potremo più avere il molo che ci spetta nel mondo. Abbiamo bisogno di proteggere un sistema multilaterale e se l’amministrazione americana ora non lo fa, tocca a noi». Next Generation Eu sopravviverà al negoziato con il Consiglio europeo? II leader ungherese Orbán lo ha definito una soluzione assurda. «Per i tedeschi accettare che per salvare l’Ue si debba spendere è una svolta storica, che cambia il progetto europeo per il futuro. Sono abbastanza ottimista sulla possibilità che si possa raggiungere un accordo al Consiglio europeo, abbiamo bisogno di questi soldi adesso, non l’anno prossimo. Orbán, come spesso fanno tutti i populisti, fa dichiarazioni per l’opinione pubblica nazionale. La nostra proposta è un bene anche per l’Europa orientale, non solo per il Sud. E anche tra i frugali vedo cambiamenti».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fabbrini Sergio 
Titolo: Per l’Europa è arrivato il momento delle scelte – Per l’Europa è arrivato il tempo di nuove scelte
Tema: Ue e Covid-19
Le proposte avanzate dalla Commissione europea (“Next Generation EU”), grazie all’azione dei commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton, hanno messo l’Ue nella condizione di rispondere alla sfida pandemica, aprendo nello stesso tempo orizzonti sconosciuti nel suo futuro. Di fronte alla pandemia, in Italia come altrove, i sovranisti hanno riaffermato la centralità dello stato nazionale in quanto unica organizzazione che può proteggere i cittadini. Tuttavia, il richiamo allo stato nazionale ha incontrato limiti strutturali, oltre ad aver aperto problemi politici. Strutturalmente, lo stato nazionale ha dimostrato di avere una grandezza insufficiente per gestire sfide sanitarie come la pandemia. In Europa, quel richiamo sarebbe destinato a incrinare la stessa coesione del mercato unico. Se siamo ancora a galla nonostante il Covid-19, lo dobbiamo alle capacità di risposta di istituzioni sovranazionali (come la Banca centrale europea o la Commissione europea) senza le quali non ci sarebbe stata la resilienza del mercato unico. Politicamente, lo stato nazionale, se lasciato a sé stesso continua a essere una minaccia per la democrazia liberale. Là dove i sovranisti sono al govemo (come in Polonia e in Ungheria), essi hanno utilizzato la pandemia per accelerare la degenerazione illiberale del Paese. «O con me o con il virus», ha affermato il premier ungherese all’opposizione parlamentare che criticava la legge sullo stato d’emergenza permanente (ora rivista). Stessa cosa ha detto il governo polacco, per giustificare il suo ulteriore controllo del potere giudiziario e del sistema dei media. Per ovviare ai limiti dello stato nazionale, i sovranisti hanno bisogno di una minaccia o di un nemico per giustificare le loro azioni. Ma soprattutto hanno bisogno della crisi permanente per accrescere i loro consensi.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarcina Giuseppe 
Titolo: Slogan, canti e balli per Floyd La protesta di Washington – «No al razzismo»: mille cortei in marcia verso la Casa Bianca
Tema: le proteste negli Usa

Migliaia di giovani hanno marciato, gridato, ma anche cantato e ballato nelle strade di Washington. Ci si attendeva una testimonianza corale a quasi due settimane dall’uccisione di George Floyd a Minneapolis, schiacciato dal ginocchio e dal peso del poliziotto Derek Chauvin. E ci si aspettava anche una risposta poderosa alla versione trumpiana della linea dura, «law and order». Quella testimonianza e quella risposta sono arrivate. Anche se nella notte italiana, con le manifestazioni ancora in corso, il numero dei partecipanti sembra lontano dal milione atteso alla vigilia. Secondo la polizia, circa 250 mila. Le strade, comunque, si sono affollate gradualmente, così come nelle altre metropoli, da New York a Chicago, da Atlanta a Philadelphia. Nella capitale la giornata non ha avuto un’unica regia. Si è anzi spezzettata in iniziative non coordinate. Le autorità federali hanno sigillato il cuore della città, chiudendo alle auto un lungo rettangolo che ha come baricentro la Casa Bianca. Ad ogni incrocio, e quindi circa ogni cento metri, c’è un blindato della Guardia Nazionale, affiancato da auto della polizia, dai Servizi Segreti. Sono stati chiamati in servizio persino gli agenti della Dea, l’agenzia anti droga federale. In totale almeno 5 mila tra agenti e militari presidiano le strade.  Nella notte tra giovedì e venerdì scorso i reparti della Park Police hanno montato reti di protezione lungo il perimetro della Casa Bianca rimasto scoperto. Sono barriere alte circa 2,5 metri, incastrate su una base di cemento. E un «effetto fortezza» che scende fino al parco che separa il South Portico dalla Constitution Avenue, l’arteria che costeggia la Mall.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: La grande marcia per Floyd – La marcia di Washington nel nome di Martin Luther King
Tema: le proteste negli Usa

Al nono giorno di proteste per l’uccisione dell’afroamericano George Floyd, un’invasione pacifica della capitale prevale sui propositi bellicosi di Donald Trump. «I can’t breathe» (non posso respirare, le ultime parole di Floyd soffocato da un poliziotto), «Black Lives Matter», «Alzo le mani, non sparare», «Non c’è pace senza giustizia», sono gli slogan più cantati, si fondono con tante bandiere a stelle e strisce, nel dieci cortei che attraversano Washington «per riprendersi l’America». Il clima si è disteso, le pattuglie di polizia distribuiscono bottigliette d’acqua per ristorare i manifestanti in una giornata di afa opprimente. Molti hanno scelto di radunarsi nel pomeriggio in un punto di partenza simbolico: il Memoriale di Abraham Lincoln, il presidente che guidò la guerra al Sud schiavista. Cinque giorni dopo la Casa Bianca rimane un fortino assediato, cinta da alte griglie, tiratori scelti del Secret Service sui tetti e ai cancelli: viene paragonata alla Green Zone, l’area fortificata che proteggeva il quartier generale americano a Bagdad durante la guerra in Iraq. Ma nel resto della capitale la sfida con Trump l’ha vinta la sindaca, l’afroamericana Muriel Bowser. «La Casa Bianca dovrebbe essere la casa del popolo americano, è un triste spettacolo vedere i suoi abitanti murati vivi», ha detto. Lei ha permesso a una squadra di volontari di dipingere in giallo un gigantesco “Black Lives Matter”, visibile anche dagli elicotteri, sulla 16esima Strada che porta al palazzo presidenziale. Ha tolto il coprifuoco, per consentire libertà di manifestazione anche la sera. «Incapace, incompetente» le ha tuonato addosso Trump. Che vuole «sindaci e governatori in grado di dominare la piazza»; aveva minacciato di schierare l’esercito. Ma in aiuto alla sindaca è arrivato un alleato insperato: il Pentagono. I vertici militari hanno fatto il contrario di quel che minacciava Trump: hanno ritirata i reparti dell’esercito dalle vie; anche tolto armi da fuoco e munizioni ai cinquemila riservisti della Guardia Nazionale. Rimangono tante forze federali a presidiare la capitale, dal Secret Service che protegge il presidente ai reparti anti-terrorismo della Homeland Security. Ma i generali hanno fatto una scelta.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Monda Antonio 
Titolo: Intervista a Michael Moore – Michael Moore “La gente non si fida più del governo Troppi abusi non puniti”
Tema: le proteste negli Usa

Michael Moore è orgoglioso che nella sua città, Flint, la polizia abbia espresso platealmente solidarietà a George Floyd, schierandosi di fatto contro il proprio corpo: qualcosa di clamoroso e inedito per gli Stati Uniti. «Non si può generalizzare sulla polizia, ci sono moltissimi poliziotti onesti. E sono di ogni razza: se cadiamo nell’errore di generalizzare entriamo nel pregiudizio e nel razzismo. È necessario riflettere su chi detiene il potere, che è sempre la domanda più importante in questo Paese. In questo caso il gesto determinante è stato compiuto da Chris Swanson, uno sceriffo bianco, che ha sfilato con i manifestanti. Alle spalle c’era il sindaco nero Sheldon Neeley. Per troppo tempo abbiamo visto politici di colore che hanno fatto poco o nulla per migliorare le condizioni della propria gente». Si riferisce anche al presidente Obama? «Certo: ha sedotto il mondo con “yes we can”, e poi ha fatto troppo poco. Nei primi due anni di presidenza aveva la maggioranza sia al Senato che nella Camera dei Rappresentanti, ma non se ne è avvantaggiato. Anzi è caduto nella trappola della politica: ha cercato di discutere con i repubblicani con l’ambizione di persuaderli. Errore mortale: quando quegli stessi repubblicani hanno controllato le camere hanno cominciato a bloccare tutte le sue iniziative. Per tonnare alla questione degli abusi della polizia, leggevo oggi che durante la sua presidenza non c’è stato un singolo arresto di un poliziotto bianco per violenze nei confronti di un nero». Oggi ll problema non è Obama «Dell’attuale presidente non voglio neanche parlare per quanto è disgustoso: è gravissimo quello che ha fatto. La violenza, la volgarità e l’inettitudine lo rendono al di sotto delle peggiori aspettative. E ho trovato ripugnante il modo in cui si è fatto fotografare con la Bibbia».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gaggi Massimo 
Titolo: Intervista a David Frum – «Donald perderà le prossime elezioni ma il trumpismo resterà nel Paese»
Tema: le proteste negli Usa

«Donald Trump che viene rieletto sull’onda di una campagna law and order come Richard Nixon nel 1968? Non credo proprio: il Nixon di allora era un moderato centrista. Era Biden, non Trump». In America è già cominciata la lunga volata verso le presidenziali di novembre: un voto condizionato prima dal coronavirus con le sue conseguenze anche economiche, e ora dalle proteste e i disordini per la questione razziale. David Frum, un conservatore che ha passato diversi anni alla Casa Bianca (era consigliere e speechwriter di George Bush), è stato sempre un critico severo di Trump alla cui presidenza ha dedicato due libri: Trumpocracy nel 2018 e il recentissimo Trumpocalypse. È convinto che l’America ne abbia abbastanza di lui, ma anche che le conseguenze del deterioramento delle istituzioni e del tessuto sociale verificatosi in questi anni continueranno a pesare: «Ha scardinato molti meccanismi creando precedenti assai pericolosi: l’impatto del trumpismo lo sconteremo anche dopo la sconfitta elettorale di Trump».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Sorrentino Riccardo 
Titolo: Libia, Haftar propone il cessate il fuoco – Libia, Haftar arretra su Sirte La Turchia cambia gli equilibri
Tema: Libia

Khalifa Haftar cede e accetta la proposta di coprifuoco. Il generale, che dalla Cirenaica aveva tentato l’anno scorso una rapida, ma fallimentare, conquista del Paese, prova ora a contenere le perdite. In visita al Cairo, dove ha incontrato il presidente Abdel Fattah al-Sisi e il presidente del parlamento libico Aguileh Saleh, Haftar ha accettato la mediazione egiziana, proprio mentre le truppe del Governo di accordo nazionale, ormai pienamente sostenute dalla Turchia, avanzano. Tentano ora di liberare Sirte, città sulla costa, a più di 700 chilometri a sudest di quella Tripoli fino a qualche giorno fa stretta d’assedio; e la base aerea di al-Jufra, nell’omonimo distretto. Non è una vera svolta. È difficile che il Governo di Fayez al-Sarraj – assente al Cairo – accetti il compromesso egiziano: il Governo continua a considerare rilevanti solo le proposte di cessate il fuoco sostenute dall’Onu. La proposta egiziana prevede infatti la creazione di un piccolo consiglio presidenziale a Tripoli che riformi il governo guidato da Fallaj, con componenti provenienti da tutte le aree del Paese. L’obiettivo ufficiale sarebbe quello di tener unita la Libia: diversi diplomatici europei e nordafricani temono che l’esito del confronto militare sia la creazione di due diversi paesi, uno a Ovest sostenuto dalla Turchia, l’altro a Est appoggiato dalla Russia. La proposta di al-Sisi, oltre a essere un tentativo del vicino Egitto di reinserirsi nelle vicende libiche, mai abbandonate, è in realtà soprattutto il segno delle difficoltà di Haftar di fronte all’offensiva militare di Tripoli. Il generale sembra inoltre subire anche fratture e defezioni all’interno delle sue milizie e tra le tribù cirenaiche che lo sostengono. Allo stesso tempo, però, le difficoltà di Haftar non permettono ancora di parlare di una sua inevitabile sconfitta: il generale continua a controllare l’Est e parte del Sud del Paese. I colloqui sempre più stretti che Erdogan e Putin hanno tenuto sul dossier libico segnalano che difficilmente il conflitto militare deciderà il confronto politico. È difficile infatti immaginare che Mosca rinunci ai suoi piani di stabilire in Libia una sua roccaforte.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Romano Sergio 
Titolo: L’ago della bilancia – Hong Kong tra Oriente e Occidente Difficile servire «due padroni»
Tema: Hong Kong
Quando il sipario calò definitivamente sull’impero britannico, nel 1997, il motto idealmente iscritto sulla bandiera della città era «Un Paese due sistemi». Il bilancio, 23 anni dopo, è straordinariamente positivo. La Cina è enormemente più ricca mentre Hong Kong ha accumulato un prezioso patrimonio di esperienze e competenze di cui l’Occidente e la Repubblica Popolare hanno egualmente bisogno. Non credo che la dirigenza cinese abbia interamente rinunciato a quel motto. Ma il clima è diverso. A torto o a ragione Xi Jinping è convinto che un Paese abitato da un miliardo e 393 milioni di abitanti e ancora fondato, almeno formalmente, su una ideologia defunta, abbia bisogno, per sopravvivere di una forte dose di nazionalismo. Hong Kong si presta perfettamente a questa esigenza. Divenne colonia inglese grazie a due guerre (1839-1842 e 1856-186o) che l’impero britannico scatenò contro l’Impero cinese. Le motivazioni del conflitto erano commerciali. Londra voleva che il mercato cinese restasse aperto alla importazione di oppio proveniente dalle Indie britanniche e Pechino faceva del suo meglio per impedirlo con leggi che ne proibivano il consumo. Quando vinse la guerra il Regno Unito ottenne che nel bottino della vittoria vi fosse anche l’isola di Hong Kong: un titolo di proprietà che oggi sarebbe considerato piratesco.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: Il ricatto del broker davanti al Papa Così voleva estorcere 30 milioni
Tema: Vaticano

Nonostante i legali di Gianluigi Torzi riferiscano che si tratta di un «grosso malinteso», in Vaticano sono convinti che i 15 milioni di euro che hanno dovuto corrispondere al cinquantenne broker di origini molisane siano il frutto di pressioni esercitate per incutere «timore di gravi danni al patrimonio della segreteria di Stato». Torzi ne avrebbe chiesti trenta di milioni, ottenendone la metà. Per questo, secondo quanto emerge dall’indagine interna condotta dal promotore di giustizia Gian Piero Milano, la Santa Sede ritiene lecito il mandato di arresto. Torzi, dopo un interrogatorio sulla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue, è rinchiuso in una delle tre celle della Caserma della gendarmeria vaticana con l’accusa di peculato, truffa e auto riciclaggio. Oltretevere è palpabile l’amarezza per il sospetto che una delle più grandi truffe mai subite possa aver avuto appoggi interni. Attualmente indagati per estorsione in concorso con Torzi, ci sono Enrico Crasso, gestore delle finanze della segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della segreteria e monsignor Mauro Carlino. Il tutto mentre la magistratura svizzera, su richiesta del pm vaticano, ha deciso che a Crasso, Raffaele Mincione, Tiraboschi, Toni e Alberto Perlasca, a suo tempo amministratore della cassa della segreteria, siano sequestrati i conti correnti. L’ipotesi che Torzi, e prima di lui Mincione, abbiano agito anche grazie ad appoggi nei dicasteri ha convinto la Santa Sede a cambiare passo: la segreteria di Stato non potrà più disporre investimenti, l’unico organismo preposto dovrebbe essere invece l’Apsa.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gerevini Mario – Massaro Fabrizio 
Titolo: Il palazzo a Londra I conti svizzeri di monsignor Perlasca
Tema: Vaticano

Parte la caccia ai soldi. E ovviamente si finisce in Svizzera. Qui si apre il portafoglio dello scandalo vaticano del palazzo londinese in Sloane Avenue. Milioni di euro sono stati bloccati su conti svizzeri riferibili a cinque soggetti chiave tra quelli al centro dell’indagine penale. Il primo è un prelato che ha ricoperto un ruolo di primo livello: monsignor Alberto Perlasca, dal 2009 al 2019 numero uno dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Poi Enrico Crasso, ex banchiere di Credit Suisse, storico fiduciario di cardinali e papi. Fabrizio Tirabassi, ex funzionario con molti poteri della Segreteria di Stato. Infine Gianluigi Torzi e Raffaele Mincione, i finanzieri con base a Londra che sono stati rispettivamente broker e controparte nella operazione da goo milioni del palazzo. A tutti la magistratura vaticana ha sequestrato, con la collaborazione delle autorità svizzere, decine di conti personali o società in cui erano delegati a operare per decine di milioni di euro, anche se sulle cifre non vi sono conferme attendibili. Posizioni diverse che dovranno essere chiarite. Enrico Crasso, contattato dal Corriere della Sera, ha precisato che nei suoi confronti i sequestri riguardano conti «solo gestiti», offrendo «massima collaborazione agli inquirenti fiducioso dell’assoluta correttezza del suo operato». Anche il legale di Mincione, Gigi Giuliano, del foro di Milano, chiarisce che non sono ancora arrivate notifiche formali. E un altro chiaro segnale che è vicino il traguardo delle indagini, avviate dopo le denunce delle stesse autorità interne del Vaticano.
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