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SINTESI IN PRIMO PIANO – 9 dicembre 2019

In evidenza sui maggiori quotidiani:
– Asse Renzi-Salvini per la nuova legge elettorale
– Ultimo saldo Imu e Tasi prima della fusione
– Piano dell’esecutivo per l’ex Ilva
– La scomparsa di Piero Terracina
– Vaticano, il cardinale Tagle a capo di Propaganda Fide

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Maria_Teresa 
Titolo: Il retroscena – Asse tra Renzi e Salvini per la nuova legge elettorale: sì al proporzionale «Basta con le liti o si vota davvero» – Renzi «Io preferivo il maggioritario Ma se si va alle urne ogni partito si pesi»
Tema: legge elettorale

«La situazione della legge elettorale è semplice, è quella del governo che è complicata»: Matteo Renzi è convinto che un accordo sulla revisione del Rosatellum sia a portata di mano, mentre nutre molti dubbi sullo stato di salute della maggioranza. Lo spiega anche al suoi, preoccupati della possibilità che alla fine possa prevalere il sistema spagnolo, che danneggerebbe Italia viva. «Quello — li ha rassicurati — lo vuole solo Orlando per spaventare me, ma in realtà sono contrari Forza Italia, Fratelli d’Italia, 5 Stelle, Leu». Dunque la situazione è questa: «Franceschini vuole il proporzionale, cioè un sistema in cui si tolgono i collegi del Rosatellum, mentre si manterrebbe la stessa soglia di sbarramento del 3%. O al massimo la si porterebbe al 4%. E io lo capisco. Ritiene che così ogni partito possa andare per conto proprio». Su un’ipotesi del genere Renzi non ha contrarietà: «Noi preferivamo il vero maggioritario, ma senza il monocameralismo non ha senso ora. La vicenda giudiziaria ha bloccato la nostra espansione, ma lo ritengo di avere uno zoccolo duro del 5 per cento. Perciò a noi va bene». Il Rosatellum, che pure l’ex premier ha voluto, non sembra più convincerlo molto: «Lo vuole un pezzo del Pd — spiega ai suoi — perché così spera di fare alleanze. Ma si sbagliano. Io non mi voglio alleare con il Partito democratico e alle Sardine, che ora sottraggono voti al Pd, converrebbe andare da soli». Ma come prenderebbe l’ipotesi di un sistema proporzionale Matteo Salvini, che vuole assolutamente il maggioritario? «Certo — spiega il leader di Iv — una soluzione del genere appare come uno schiaffo a Salvini, ma io credo che alla fine la potrebbe accettare se lo mandano al voto. Lui, Berlusconi e Meloni si presentano al voto ognuno per conto proprio e uniscono le loro forze dopo». Già, il voto. Resta sullo sfondo. E non è detto che ci sia tempo per cambiare la legge: «Se si va con l’Italicum —e la riflessione di Renzi — si regala a Salvini il 70 per cento del Parlamento. E chi se la sente di dare il Paese in mano a lui?».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco 
Titolo: Intervista a Matteo Salvini – Asse tra Renzi e Salvini per la nuova legge elettorale: sì al proporzionale «Deve essere chiaro: chi vince governa» – Salvini «Non si blocca il Paese per la legge elettorale Può andare bene pure il proporzionale»
Tema: legge elettorale
Un sistema proporzionale? «Io sono laico. Non ho pregiudizi. L’importante è che chi vince poi possa governare». Matteo Salvini è in auto per proseguire il suo tour elettorale in Emilia. E continua ad essere allergico al tema: «Uff… Ma perché sempre di queste cose volete parlare? La legge elettorale non interessa a nessuno». Avete detto di essere disponibili a parlarne. Ma quello in discussione sembra un sistema che è l’esatto opposto di ciò che vuole la Lega. O no? «Noi abbiamo raccolto le firme per un referendum che ci porterebbe a un sistema maggioritario, aspettiamo che la Consulta dica se è possibile far esprimere gli italiani. Detto questo, non abbiamo problemi. Io vorrei solo un sistema in cui la sera del voto si capisce chi governerà». Perdoni, ma questa è una frase un po’ renziana… «Vabbè, allora via il dente e via il dolore: non ho visto Renzi in una villa in Toscana e non abbiamo bevuto vino insieme. Già che ci siamo, la Lega non vuole uscire dall’euro. Non sto smentendo Claudio Borghi, è proprio che lui non l’ha detto. La anticipo, così ci togliamo il pensiero». Allora: accettereste un sistema proporzionale? «Può anche essere. Se arrivasse un sistema con adeguati sbarramenti, con i collegi adeguatamente disegnati, di certo la Lega non fermerà tutto per otto mesi a dire no al proporzionale».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Capelli Eleonora 
Titolo: Le Sardine preparano la piazza di Roma Poi primo “congressino” di tutti i coordinatori
Tema: Sardine
Si apre una settimana importante per le Sardine. L’appuntamento di Roma, sabato 14 dicembre in piazza San Giovanni, è stato ribattezzato il “Global Sardina Day”. In rete con una serie di altre capitali europee e anche con San Francisco. Ma sarà la Capitale il termometro della “febbre” da Sardine. A un mese esatto dalla nascita in piazza Maggiore, a Bologna, del movimento che adesso la rilevazione di Ilvo Diamanti su Repubblica certifica come un vero soggetto politico. Tanto che un quarto degli intervistati prenderebbe in seria considerazione la possibilità di votare per loro se scendessero in campo. Una popolarità che richiede un “congressino”. Il giorno dopo la prova della piazza più difficile, con la sindaca Virginia Raggi che non ha escluso di partecipare in prima persona («Vedremo, vedremo») ci sarà una riunione con i vari referenti del movimento . Anche se loro lo descrivono come una bevuta («Prenderemo una birra tutti insieme e oguno dirà la sua») gli occhi della politica sono tutti puntati su quel brindisi. Perché dopo le piazze piene, adesso il problema è che le urne non devono restare vuote. Almeno questa è la sfida del centro sinistra in Emilia che si avvia alle regionali del 26 gennaio. Le Sardine non faranno un partito, ma la politica chiede il loro impegno. I tempi sono stretti, le liste elettorali vanno presentate entro il 27 dicembre, ma la domanda bisogna farsela. Non si sottrae Elly Schlein, ex europarlamentare che uscì dal Pd insieme a Pippo Civati e adesso guida la lista “Coraggiosa”, l’ala sinistra della coalizione di Bonaccini. «Serve il contributo di tutti, i partiti da soli non ce la fanno – dice Schlein, che chiede di non dare per scontato il voto delle Sardine – altrimenti non sarebbero stati 4 geniali ragazzi a portare in piazza tutte quelle persone. Se l’offerta politica continua a non essere sufficiente, la spinta delle piazze si esaurisce. Bisogna fare uno sforzo, da tutte e due le parti, perché le piazze si ricongiungano con la rappresentanza politica».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Al.T. 
Titolo: Sardine alla sfida di San Giovanni
Tema: Sardine

Per l’evento romano del 14 sono al lavoro una trentina di persone. La speranza è di diventare il più grande flash mob delle Sardine. Si spera di riempire piazza San Giovanni e c’è chi sogna un milione di persone. La raccolta fondi è arrivata a 7 mila euro, con l’obiettivo di arrivare a 15 mila. Le Sardine romane accettano donazioni solo da singoli cittadini. Chi siano le Sardine è difficile dirlo. Neanche loro lo sanno bene. Non ci sono persone note in prima fila, solo singoli cittadini. Un movimento trasversale, anche se più colorato a sinistra. Le Sardine milanesi stanno organizzando autobus per arrivare a Roma. L’Anpi, l’associazione dei partigiani, aderisce ma accoglie l’invito di partecipare senza bandiere. C’è un’anima ambientalista, con il gruppo di «Sardine biciclettare», un’anima antirazzista e un’anima favorevole ai diritti civili (basti vedere i post simpatizzanti con i gay sui social). Sulla maggioranza il leader del movimento romano delle Sardine Stephen Ogongo, giornalista kenyota di 44 anni, non si esprime: «È abbastanza nuova, come noi, ma li vedo già in stallo. Dovrebbero avere il coraggio di fare delle scelte. Mettere al centro il lavoro e approvare una legge sulla cittadinanza. La chiamino come vogliono, ius soli o ius culturae».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  De Marchis Goffredo 
Titolo: Intervista a Mattia Santori – “Un partito? No grazie Ma se Salvini cala è merito delle Sardine” – Mattia Santori “Noi un partito? Ecco perché non accadrà mai”
Tema: Sardine

Mattia Santori, 32 anni, bolognese, economista e istruttore sportivo («basket, frisbee, atletica»), è il volto delle Sardine, il movimento nato in Emilia Romagna che ha contagiato decine di piazze italiane. Tutto è partito dal tam tam di quattro ragazzi: Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa. Sabato a Roma la prova del fuoco in piazza San Giovanni dopo il pienone dell’altro ieri in Piazza Maggiore con Stefano Bonaccini. Ieri su Repubblica la vertigine del sondaggio di Ilvo Diamanti: un italiano su 4 mostra attenzione per i “pesci” bolognesi. Un potenziale del 25 per cento. Che farci? «Niente», risponde Santori. Come niente? «Questi sondaggi fotografano l’interesse nei nostri confronti, ma non la partecipazione effettiva. A noi importa solo quella. Quante persone fisicamente si avvicinano a noi. Quanti ci mettono la faccia e il corpo. Sabato ci aspettiamo una risposta vera da Roma e dal Lazio. Nel resto d’Italia è successo. Ma a Piazza San Giovanni deve accadere qualcosa di grande, altrimenti chi ha manifestato nelle altre città si sentirà solo. Per chi sta impigrito sul divano è arrivato il momento di alzarsi, di smetterla di pensare che il problema riguarda altri, che sia ancora il momento di delegare. I numeri che avete pubblicato ci dicono che Salvini cala ma Fratelli d’italia cresce. Non mi pare sia un partito simile alla Dc, né che la Meloni assomigli a De Gasperi. Il problema rimane. Però un aspetto positivo nel sondaggio c’è».  «Significa che non veniamo visti solo come un movimento anti-Salvini. Siamo invece un movimento a difesa di qualcosa che dovrebbe preoccupare tutti: un linguaggio più rispettoso che non ha bisogno di trucchetti, la ricostruzione di un tessuto democratico. In un’Italia che si sta sgretolando dovremmo essere tutti più coesi. Mi rendo conto che a Bologna è più facile far passare questo messaggio. Ma cresciamo anche altrove».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il retroscena – Distanti su giustizia e fondo salva-Stati La battaglia tra alleati non è finita
Tema: tensioni nel governo
Si apre una settimana cruciale per il destino della maggioranza giallorossa, sopravvissuta faticosamente agii scontri su giustizia, Fisco e fondo salva-Stati. La fiducia nel governo e nel premier è in discesa, un italiano su due pensa che il Conte due abbia i mesi contati, iI Quirinale è preoccupato e il presidente del Consiglio, indebolito dalla litigiosita dei partiti, deve sbrogliare una matassa sempre più intricata. Evitando che il filo dell’alleanza, già fragilissimo, si spezzi. «Si rischia di arrivare alle elezioni, quasi inavvertitamente», ha avvisato sul Corriere il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, spronando Luigi Di Maio a dire se ha ancora fiducia in Giuseppe Conte. E poiché lo stesso monito deve far fischiare le orecchie a Matteo Renzi, è chiaro che il governo ha bisogno di un tagliando. II ministro Roberto Speranza di Leu, tra i più determinati a portare avanti l’esperienza con il M5S, indica una sola bussola: «Pensare più al problemi del Paese, dalla crescita economica alla questione sociale, che ai problemi delle personaiità della maggioranza». E mettere in cantiere per gennaio «un grande appuntamento sulla nuova agenda». A Palazzo Chigi il dossier è sul tavolo, ma la cautela prevale. Conte, che i collaboratori descrivono «sereno e determinato», vuole vedere in quali condizioni sarà la maggioranza quando arriverà al traguardo della legge di Bilancio e solo allora deciderà con quali modalità rilanciare l’azione del governo. II tema sono i tempi: prima o dopo le elezioni del 26 gennaio in Emilia-Romagna? «I nodi da sciogliere sono ancora troppi», va ripetendo Giuseppe Conte tra una mediazione e l’altra. La prossima sarà sulla giustizia, con un vertice che metta pace tra Orlando e Alfonso Bonafede. Sulla prescrizione le posizioni restano distanti.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Di Matteo Alessandro 
Titolo: Carfagna e la cena con i venti ribelli forzisti “Pronti ad andarcene se cediamo a Salvini”
Tema: Forza Italia
 I timori sono diventati certezze. I “ribelli” di Forza Italia, quelli che guardano a Mara Carfagna come argine a quella che considerano una resa di Silvio Berlusconi a Matteo Salvini, hanno perso ormai anche le ultime speranze. Mercoledì scorso, convocati da Renata Polverini, oltre venti tra parlamentari e senatori si sono ritrovati a cena da Gina, a piazza di Spagna a Roma, insieme appunto alla Carfagna, per chiedere di passare all’azione e avviare finalmente la costituzione di un soggetto autonomo da una Fi considerata ormai in liquidazione. I partecipanti, stavolta, erano molti meno della sessantina della cena precedente, «ma siamo sempre tanti – assicurano – almeno il doppio di quelli che erano presenti». Tra gli altri, raccontano, c’erano Andrea Cangini, Maurizio Carrara, Luigi Casciello, Franco Dal Mas, Massimo Mallegni, Osvaldo Napoli, Paolo Russo, e persino Paolo Romani, che ha già lasciato Fi per seguire Giovanni Toti. «Qualcosa bisogna fare – dice uno dei partecipanti – la strategia di Fi è fallimentare. Non vogliamo rotture traumatiche, ma è il momento di dire a Berlusconi: a noi galleggiare non basta». Il timore è che il Cavaliere, spinto anche dalla famiglia, scelga di fatto di consegnare lo scalpo Fi a Salvini. Il richiamo di Matteo Renzi sui dissidenti di Fi si è affievolito, per le inchieste su Open e per via dei sondaggi deludenti. La stessa Carfagna avrebbe chiarito di voler restare nel centrodestra e di non avere intenzione di fare la stampella al governo Conte. Su questo, in realtà, le posizioni non collimano. Spiega un parlamentare di Fi: «Se si va a elezioni Salvini candida non più di una trentina di noi». Dunque, «se si aprisse una crisi è certo che parecchi sosterrebbero soluzioni che evitino il voto…».
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Proietti Ilaria 
Titolo: Salvini, congresso clandestino – Nel silenzio generale il Carroccio va in soffitta
Tema: Lega

Lui non ci sarà perché fa parte della nuova guardia. Ma il 21 dicembre a Milano al congresso della Lega nord per l’Indipendenza della Padania a tenere banco sarà proprio il senatore William de Vecchis, eletto nel collegio di Fiumicino, sul litorale laziale. Folgorato sulla strada di Matteo Salvini, ha sfidato la tradizione nordista per regalare al partito un Alberto da Giussano nuovo di pacca: sotto al comandante della battaglia di Legnano del 1176 non c’è l’effigie della Repubblica di San Marco ma l’SPQR di Roma, un tempo ladrona. Sotto il segno – ovviamente ironico – del nuovo Alberto da Giussano in salsa capitolina, si svolgerà dunque tra due sabati il congresso in cui deputati e senatori, delegati regionali e membri del consiglio federale delle 13 “nazioni” del nord saranno chiamati ad aderire al progetto della nuova Lega per Salvini premier. Tutto avviene in sordina: gli interessati sono stati convocati con un messaggio scarno a fine novembre, l’attenzione dell’opinione pubblica (e degli stessi leghisti) in quei giorni sarà concentrata sulla sessione di bilancio. Un atto solenne che si compie nel silenzio: la transizione verso il nuovo soggetto politico che ha già eletto 180 parlamentari da ogni parte d’Italia, centro, sud e isole comprese e nel cui statuto non compaiono solo le nazioni padane, ma 22 associazioni regionali, da Nord a Sud; dalla Valle d’Aosta alla Sardegna. Senza per questo sciogliere il Carroccio che è il soggetto politico debitore verso lo Stato dei contributi percepiti e non dovuti per 49 milioni di euro su cui è stato raggiunto un accordo di rateizzazione con la Procura di Genova. Proprio per questo la Lega dei padri fondatori almeno per ora non dovrà morire. Anche se nulla è più un tabù, nemmeno la possibile cancellazione di ogni riferimento dallo statuto alla figura di Umberto Bossi presidente federale a vita.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Isman Gabriele 
Titolo: Intervista a Riccardo Di Segni – Di Segni “Raccontava con un sorriso l’orrore ai ragazzi”
Tema: la scomparsa di Piero Terracina
«Un insieme di sobrietà, serenità, distacco, con una sostanziale durezza e rigidità morale». Così Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, ricorda Piero Terracina: stamattina sarà lui a celebrarne i funerali, alle 13.30 al Portico d’Ottavia e un’ora dopo al Verano. II rabbino figlio di un medico partigiano e il reduce dal campo di Auschwitz si conoscevano bene, non soltanto peri viaggi della Memoria e le occasioni di testimonianza — «Lui ne viveva davvero tante nelle scuole» — affrontati assieme. Chi era Terracina per lei? «Piero ha rappresentato nel panorama sempre più esile dei reduci una personalità particolare. Ognuno di loro ha raccontato la propria esperienza: sono stati tranciati milioni di mondi in quelle baracche, ogni persona è un mondo, e la diversità dei reduci lo testimonia. Ma lui ci metteva un’enfasi e una passione particolari, con semplicità, cordialità e anche un sorriso aperto con i ragazzi che incontrava». Terracina di difficoltà ne aveva affrontate anche al ritorno a Roma. «I reduci hanno affrontato tempi difficili al ritorno nelle loro città: le famiglie colpite, ognuno si leccava le sue ferite, e loro non venivano creduti. Li prendevano per matti, li accusavano di vittimismo, c’era chi gli diceva: “Voi vi siete salvati, mio figlio no”. Hanno dovuto ricostruire le loro esistenze, ma ci sono voluti decenni perché iniziasse il flusso dei ricordi, e tanti hanno dovuto abbattere i muri che avevano costruito per difendersi. Piero e la sua famiglia, otto persone complessivamente, furono traditi e venduti da un italiano. Italiani non brava gente». Questo Paese non ha mai aperto davvero quel capitolo? «L’Italia non ha mai fatto davvero i conti con quel periodo».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dell’Oste Cristiano – Lovecchio Luigi 
Titolo: Imu-Tasi al capolinea, attenti al saldo – Ultimo saldo per Imu e Tasi prima della fusione nel 2020
Tema: Imu
Ultimo appuntamento alla cassa per Imu e Tasi prima della “fusione” prospettata dalla legge di Bilancio per l’anno prossimo. Il saldo 2019 in scadenza lunedì prossimo -16 dicembre – sarà probabilmente l’ultimo in cui circa 18 milioni di contribuenti, tra famiglie e imprese, dovranno calcolare e pagare i due tributi. Partendo dal gettito dell’anno scorso, si può stimare che i Comuni e l’Erario incasseranno almeno 10,1 miliardi di euro (di cui 9,5 dall’Imu e 0,6 dalla Tasi). Il conto a consuntivo, però, sarà un po’ più alto. In virtù della manovra firmata da Lega e Movimento 5 stelle, infatti, da quest’anno i consigli comunali sono liberi di votare aliquote più elevate ed eliminare sconti o agevolazioni. Intendiamoci: non ci sono rincari a tappeto, dato che in molte città il livello del prelievo è già al massimo. Ma Il Sole 24 Ore la scorsa primavera ha rilevato rialzi dell’Imu per almeno un tipo di aliquota in quasi un capoluogo su dieci (il 9,4%). E l’effetto si farà sentire proprio al saldo, secondo le regole Imu (applicabili anche alla Tasi). Se tutto andrà secondo i piani e il Parlamento approverà la manovra così com’è ora, l’appuntamento di lunedì prossimo sarà il penultimo in cui i contribuenti dovranno decrittare le delibere dei Comuni, spesso scritte a “schema libero”, senza tabelle riepilogative e con allegati non di rado annotati o completati a mano. È solo dal 2021, infatti, che gli amministratori locali dovranno inserire le aliquote in un’applicazione sul Portale del federalismo fiscale, che genererà un «prospetto delle aliquote» più leggibile. Quello che non cambierà sarà il livello massimo del prelievo. La nuova Imu avrà come limite il 10,6 per mille, che oggi rappresenta la somma massima di Imu e Tasi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Galluzzo Marco 
Titolo: Frenata del governo sull’Imu – No di Gualtieri alla stretta sull’Imu
Tema: Imu

Dice che il rinvio di alcune misure «dipende anche dalle risorse, se avessimo avuto più soldi dopo l’Iva» non sarebbe accaduto. È strasicuro sulla tenuta del governo: una crisi a gennaio? «Penso assolutamente di no». Aggiunge che la Manovra è stata praticamente «un miracolo», nonostante «un dibattito vivace per usare un eufemismo, c’è spesso una attenzione eccessiva al giorno per giorno e troppa poca capacità di tenere i nervi saldi e di guardare le cose un po’ più in prospettiva. E invece alla fine abbiamo saldato il conto del Papeete». Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a «Mezz’ora in più» su Rai3, va un po’ a tutto campo, dopo la maratona del governo sulla Manovra, si dispiace del fatto che dati i tempi stretti almeno una lettura in Parlamento sarà praticamente senza discussione, «non sono affatto contento di questo, ma ci sono ragioni abbastanza oggettive». Sull’emendamento che tende a colpire i furbi che non pagano l’Imu sulla prima casa Gualtieri dice invece che il governo non è d’accordo: «Penso che daremo parere negativo ma dovremo esaminarlo (potrebbe essere riformulato). Ci sono anche fenomeni di false doppie prime case, ma bisogna assolutamente evitare di colpire famiglie che ad esempio legittimamente lavorano in posti diversi».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  L.Sal. 
Titolo: Le «finte prime case»? In Italia sarebbero 135 mila
Tema: Imu

Ma quante sono le «false prime case» che potrebbero sparire se passasse l’emendamento alla manovra presentato dai relatori e sul quale il governo ha annunciato il suo no? Trattandosi di una forma di evasione di fatto, ci si deve accontentare delle stime. Ma sono stime autorevoli perché arrivano proprio dal governo. Il gettito previsto dalla stretta sull’Imu è di 200 milioni di euro. Sul numero delle case il ragionamento è più complesso. La stima è di 135 mila «false prime case» ma si tratta di un numero ballerino. Per l’Imu sulla seconda casa si pagano in media 746 euro l’anno. Ma la somma è molto variabile a seconda del Comune, che fissa l’aliquota all’interno di una forchetta decisa dallo Stato. E le stime alla base dell’emendamento mettono in conto che questo fenomeno potrebbe essere più diffuso proprio nei Comuni dove è più alta la rendita catastale della casa e anche l’aliquota fissata dal Comune. Distinguere le «false prime case» da quelle vere non è cosi semplice, anche quando lo stesso nucleo familiare ne ha più di una. Sembra una contraddizione in termini ma non lo è. Se marito e moglie lavorano stabilmente in due città diverse le loro due case sono per il Fisco tutte e due abitazioni principali. E quindi hanno diritto entrambe a non pagare l’Imu. Non è una situazione così rara, specie adesso che il lavoro bisogna inseguirlo. Ma non sempre è così. L’associazione degli avvocati matrimonialisti stima che il 7% delle separazioni sia un falso e serva solo a frodare il Fisco.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Salvia Lorenzo 
Titolo: Il retroscena – Un decreto nel cassetto per evitare l’aumento dell’Iva (se cade il governo)
Tema: manovra

Lo stato di salute di un governo si misura dal provvedimenti che riesce a mettere in campo. Il livello di ansia, invece, da quelli che rimangono nel cassetto. E nei cassetti del Conte due ce n’è uno che fa capire bene quanto sia sottile il filo sul quale sta camminando questo governo. Meglio di un vertice di maggioranza durato in tutto 30 ore, anche se con pausa notturna. Meglio di dieci retroscena, meglio di cento dichiarazioni di alleati che si sfidano su tutto. Il provvedimento in questione è un decreto legge dl poche righe ma, nel suo genere, esplosivo. Il decreto si limita a bloccare gli aumenti dell’Iva e delle accise che scatterebbero dal primo gennaio del prossimo anno, cioè tra 20 giorni. Ed è l’uscita di sicurezza che il governo vuole tenere sgombra in caso di una crisi nei prossimi giorni, che si potrebbe aprire con un inciampo sulla manovra al Senato, dove il margine della maggioranza è più risicato. Oppure nel caso in cui la stessa manovra non venga approvata entro il 31 dicembre, anche per le proteste dell’opposizione contro l’idea della maggioranza di far votare le modifiche solo al Senato per ridurre i tempi. Con questo decreto, della manovra resterebbe solo lo stop all’aumento dell’Iva. Nulla di meno, nulla di più. Sparirebbe il taglio del cuneo fiscale, salterebbero gli incentivi ai pagamenti elettronici. Sparirebbero del tutto la plastic tax, la sugar tax, le nuove regole sulle auto aziendali. Le coperture sono le stesse previste dalla manovra ,vera e propria, asciugate da quelle necessarie per le misure saltate. Tanto deficit e un po’ di maggiori entrate per la fatturazione elettronica.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dell’Oste Cristiano – Parente Giovanni
Titolo: Il fisco digitale alza la posta: 1,2 miliardi con gli scontrini – La rincorsa degli scontrini telematici per recuperare 1,2 miliardi nel 2020
Tema: scontrini telematici
Vista la difficoltà con cui si cercano le coperture per la manovra 2020 – tra vertici notturni e diktat dei leader – il tesoretto degli scontrini diventa un obiettivo irrinunciabile. Circa 1,2 miliardi di gettito sottratto all’evasione fiscale, già messi a bilancio per il 2020 dal decreto collegato alla manovra dello scorso anno (il Dl 119/2018). Per arrivare a questa cifra, però, bisogna perfezionare un percorso tutt’altro che agevole in vista del prossimo 1° gennaio. Data in cui almeno un milione e mezzo di esercenti dovranno essere pronti per l’invio telematico al Fisco di scontrini e ricevute fiscali Gli ultimi dati – aggiornati al 23 ottobre scorso – dicono che i modelli di registratore telematico approvati dal Fisco sono 132 (di cui 75 adattati, 51 nativi e 6 server). Alla stessa data, gli apparecchi censiti erano 670mila e gli esercenti già accreditati 345mila. Anche se è probabile che sia cresciuto nelle ultime settimane, questo dato dimostra che c’è ancora tanta strada da fare. In effetti, secondo la relazione tecnica al decreto fiscale 2018 gli esercenti che emettono scontrini sono quasi 1,2 milioni e hanno 1,6 milioni di misuratori fiscali, per lo più da adeguare (97%) o da cambiare (il restante 3%). Mentre sono 600mila i soggetti che operano solo tramite ricevute fiscali e devono procurarsi un registratore telematico.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Melis Valentina 
Titolo: Per colf e badanti in nero lo Stato perde due miliardi – Colf e badanti: buco fiscale di 2 miliardi
Tema: fisco e lavoro nero

Vale due miliardi il tesoretto fiscale e contributivo legato all’emersione del lavoro nero di colf e badanti. Vuol dire che se oltre agli 859mila lavoratori domestici oggi in regola fossero dichiarati all’Inps anche gli 1,2 milioni che lavorano in nero, lo Stato incasserebbe 1,4 miliardi di contributi in più (da famiglie e lavoratori) e 645 milioni di Irpef (dai lavoratori). È la stima contenuta nel Rapporto annuale sul lavoro domestico che sarà presentato giovedì 12 dicembre al Senato dall’associazione datoriale Domina. Il lavoro nero nel settore domestico coinvolge sei lavoratori su dieci: i quasi 900mila addetti regolari censiti dall’Inps (pur essendo l’8% dei lavoratori dipendenti italiani), rappresentano appena il 42% del totale. La ragione di questa alta incidenza del sommerso è principalmente nei costi della regolarizzazione. Questo vale innanzitutto peri datori di lavoro, che sono famiglie (spesso di anziani soli) e possono contare su magre agevolazioni: a fronte del costo totale di una badante, che può variare da 15mila a 22mila euro, gli unici benefici fiscali disponibili sono la detrazione Irpef per persone non autosufficienti con reddito sotto 40mila euro, che vale al massimo 399 euro, e la deduzione dei contributi versati entro 1.549,37 euro all’anno, che si traduce in un beneficio medio di circa 450 euro. «La necessità di assistenza delle famiglie è aumentata e aumenterà in futuro – spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina – ma negli ultimi anni il numero del lavoratori domestici in regola è diminuito. Significa che una parte del lavoro continua a confluire nel nero. Concedere alle famiglie, con un tetto di reddito a 40mila euro, la deduzione del 30% delle retribuzioni versate agli assistenti familiari alla persona e 1110% di quanto versato alle colf significherebbe dare un vantaggio tangibile».
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Testata:  L’Economia del Corriere della Sera 
Autore:  de Bortoli Ferruccio 
Titolo: Lotta all’evasione un primo passo: iniziamo a premiare gli onesti – Un premio agli onesti Il Fisco ci prova
Tema: lotta all’evasione fiscale

La lotteria degli scontrini sarà la novità fiscale del 2020. Ma non scatterà come previsto dal prossimo primo gennaio, bensì da luglio, almeno stando all’ultimo emendamento approvato in sede di conversione parlamentare del decreto fiscale. Non possiamo valutarne l’impatto sulla riduzione dell’evasione e sull’emersione del «nero». Anche perché vi sarà l’effetto prevedibilmente elevato di altri incentivi ai pagamenti elettronici o con carta di credito. La vera novità, al di là dei benefici per il gettito e i conti dello Stato, è un’altra: l’introduzione di un meccanismo di premialità per chi è in regola, per chi si comporta bene. Le lotterie in un Paese nel quale ogni anno si scommettono al gioco più di cento miliardi, circa un decimo del reddito disponibile, hanno un loro scontato indice di gradimento. Piacciono forse più per il gusto dell’azzardo che per la soddisfazione della compliance, per l’adesione cioè alle regole. Ma tant’è. L’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, diretto da Carlo Cottarelli, ha appena pubblicato uno studio interessante a cura di Alessandro Banfi. Nei Paesi in cui è stata applicata finora una misura simile, i risultati non sono disprezzabili.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ciriaco Tommaso – Cuzzocrea Annalisa 
Titolo: Lo Stato dentro l’Ilva con Mittal, ecco il piano del governo – Lo Stato dentro l’Ilva Ecco il piano di Palazzo Chigi
Tema: ex Ilva

Il piano del governo per salvare le acciaierie di Taranto e le migliaia di posti di lavoro che dipendono dalle sorti dell’ex-Ilva passa per un’operazione molto complessa con dentro un partner pubblico come Cassa depositi e prestiti, un’azienda controllata dallo Stato come Snam, il gruppo Arvedi di Cremona e Trieste e infine, ancora, ArcelorMittal. Nessuna fuga degli indiani, nessuna lettera con l’offerta di un miliardo di euro pur di andar via, giurano al ministero dello Sviluppo. Dove invece si continua a trattare, nonostante l’annuncio della scorsa settimana dei 4700 esuberi non sia piaciuto affatto al governo, che imputa alla società franco-indiana il tentativo di alzare il prezzo per ottenere – ancora – il più possibile dalla trattativa. L’obiettivo di Giuseppe Conte e Stefano Patuanelli è quello dichiarato fin dal primo giorno: ridurre al massimo i licenziamenti, certo. Ma soprattutto, cominciare una riconversione che parta proprio dalla produzione dell’acciaio con una tecnologia più pulita: il preridotto come materiale ferroso di base, sempre più gas al posto del carbone, un forno elettrico che sostituisca il pericoloso, e non ancora a norma, Altoforno 2. Con l’obiettivo di produrre 8 tonnellate di acciaio all’anno, ma a un costo ambientale molto ridotto rispetto a quello attuale, che porta con sé un’altissima incidenza di tumori e malformazioni neonatali, quartieri assediati dalle polveri inquinanti e la disperazione di chi si trova da quarant’anni dentro un continuo ricatto: salute o lavoro. Il progetto cul sta lavorando il ministro Patuanelli non è semplice perché prevede prima di tutto che ArcelorMittal ci stia, che accetti le immissioni di capitale che arriveranno attraverso Cdp e Snam e riduca gli esuberi drasticamente: a regime, il governo vorrebbe limitarli ai 1800 che sono rimasti nella vecchia amministrazione straordinaria e sono ora in cassa integrazione.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Chiarelli Teodoro 
Titolo: Il retroscena – I cinesi pronti a subentrare a Taranto Ma chiedono la presenza dello Stato
Tema: ex Ilva

Il piano”B” del governo italiano per salvare e rilanciare la siderurgia italiana va avanti. E guarda sempre più a Oriente, alla Cina. Di fronte al comportamento altalenante del gruppo Arcelor Mittal e alla controversa gestione, della trattativa e degli impianti ex Ilva, da parte del neo amministratore delegato Lucia Morselli, a Roma non sono rimasti, una volta tanto, con le mani in mano. E si sono attrezzati per essere pronti a fare a meno del colosso franco-indiano, numero uno nella hit mondiale dell’acciaio. Per prima cosa il ministero dello Sviluppo economico si è affidato a un manager esperto come Francesco Caio, presidente di Saipem ed ex amministratore delegato di Poste, come superconsulente per condurre le trattative con Arcelor Mittal. Con un chiaro obiettivo: trasformare il suo incarico in commissario dell’Ilva se e quando il gruppo che fa capo alla famiglia Mittal uscirà di scena. Un modo per dire alla controparte che l’Italia non ha nessuna intenzione di chiudere Taranto, eventualità che invece non dispiacerebbe ad Arcelor Mittal, ingolosita dalla possibilità di eliminare un possibile concorrente da 8 milioni di tonnellate di produzione. Un segnale anche per la coriacea Morselli che non disdegnerebbe di trasformarsi da ad a commissario. Il mandato per Caio, a quel punto, sarebbe di ristrutturare l’azienda, senza fare macelleria sociale, e di portare avanti il piano di risanamento ambientale di Taranto. Inevitabile utilizzare risorse pubbliche che prefigurano di fatto a una nazionalizzazione a tempo. Con l’obiettivo finale di trovare un nuovo soggetto privato a cui affidare gli impianti. E qui entrano in gioco i cinesi, che complessivamente realizzano più del 50% della produzione mondiale, contano 6 aziende fra le prime dieci del mondo. All’indomani dell’annuncio choc della famiglia Mittal il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, compagno di partito del titolare del Mise, Stefano Patuanelli, ha attivato un contatto istituzionale per contattare il governo cinese e sondare la disponibilità dei suoi colossi siderurgicia intervenire nell’Ilva. Il riscontro, secondo quanto risulta sarebbe stato positivo. A una condizione: una significativa presenza dello Stato italiano o di una sua emanazione (Invitalia, ad esempio) nella compagine azionaria.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mania Roberto 
Titolo: Intervista a Maurizio Landini – “Una grande alleanza per il lavoro” – Landini “Un’alleanza con governo e imprese per impedire che il Paese si sbricioli”
Tema: lavoro
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, lancia la sua proposta: un progetto per l’Italia, condiviso da governo, sindacati e imprese per impedire che il Paese «si sbricioli sotto i colpi di un processo di deindustrializzazione». «Il lavoro, la qualità del lavoro e i diritti di chi lavora — dice il leader sindacale — devono essere al centro di questo progetto per governare la transizione verso un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile ma anche la trasformazione tecnologica in atto nel sistema produttivo». Landini, la sua proposta, che ridà protagonismo all’asse governo-parti sociali, sembra una mossa anche per cercare di contenere la richiesta dell’uomo forte” che secondo il Censis viene dal 48 per cento degli italiani, percentuale che sale quasi al 68 per cento tra gli operai. Come spiega questa tendenza? «C’è l’aumento dell’insicurezza e della precarietà delle persone che per vivere devono lavorare. Cinquant’anni fa tutte le forze politiche, con l’astensione del Pci, votavano lo Statuto dei lavoratori. In questi anni, invece, hanno votato tutti per frantumare il diritto del lavoro. È successo questo: siamo passati dal lavoro tutelato e dignitoso a quello precario e allo sfruttamento degli appalti, dei subappalti, delle finte cooperative. La domanda dell’uomo forte in gran parte nasce dalla solitudine di chi lavora o di chi non lo trova di fronte a questi processi. La risposta sta nel lavoro, nella qualità del lavoro; nella ricostruzione delle ragioni collettive e dell’agire comune». E II sindacato cosa può fare per non giocare sempre in difesa? «La proposta della Cgil è nota: cancellare il Jobs act e varare la Carta universale dei diritti che riconosce stesse tutele e stessi diritti a tutti coloro che lavorano a prescindere dal rapporto»..
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele 
Titolo: L’intervista ad Assad manda la Rai nel caos
Tema: caso Rai-Siria
Un caso internazionale dal contorni assolutamente inediti, un pasticcio che coinvolge e mette in forte imbarazzo i vertici Rai. Stasera, quando in Italia saranno le 20, i media siriani manderanno in onda l’intervista al presidente Bashar al Assad effettuata dall’ad di Raicom Monica Maggioni. Lo faranno dopo aver fatto scattare un ultimatum senza precedenti alla tv di Stato italiana, accusata pubblicamente di aver congelato sinora il video del colloquio con Assad. L’ufficio stampa del governo di Damasco racconta infatti di aver «convenuto» una messa in onda dell’intervista il 2 dicembre, in contemporanea su Rainews e sui mezzi d’informazione siriani, ma di aver ricevuto proprio da parte di Rainews «una richiesta di rinviare la trasmissione senza una chiara spiegazione». In Siria fanno sapere che ora non vogliono più aspettare. E commentano così il comportamento della Rai: «Un ulteriore esempio dei tentativi occidentali; di nascondere la verità sulla situazione in Siria». Che la Rai mandi in onda l’intervista, a questo punto, viene considerato improbabile. Ma la vicenda aggiunge caos ai piani alti di viale Mazzini. Unica certezza è che l’intervista c’è ed è stata realizzata il 26 novembre: ieri l’entourage di Assad ne ha mandato in onda addirittura un trailer. Fabrizio Salini ha fatto sapere però che il servizio giornalistico «non è stato effettuato su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda». Ma Salini sapeva della missione di Monica Maggiori? Se l’ad questo non lo dice, la Maggioni è costretta a precisare: «Ha ragione Salini nel dire che l’intervista non era stata concordata coni direttori di testata. Ma lo l’avevo messo al corrente e si era detto che si sarebbe deciso successivamente come utilizzarla».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Baccaro Antonella 
Titolo: Rai, scontro sull’intervista (bloccata) a Bashar al Assad
Tema: caso Rai-Siria
La mancata messa in onda da parte della Rai dell’intervista, che sarà trasmessa comunque oggi, alle 20 italiane, sui media siriani, provoca un terremoto anche dentro la Rai. L’ad Fabrizio Salini è chiamato a fornire spiegazioni dal Pd, ma anche dal presidente Marcello Foa, irritato perché, pur avendo la delega ai rapporti internazionali, non era al corrente della vicenda. Salini ieri ha diramato una nota chiarendo che «l’intervista non è stata effettuata su commissione di alcuna testata Rai. Pertanto non poteva venire concordata a priori una data di messa in onda». Nel caos alcuni punti sembrano chiari: Salini era informato che Maggioni stava andando in Siria a fare l’intervista ma non aveva interessato alcuna testata. Sarebbe stata Maggioni, il 30 novembre, a offrire l’intervista al direttore di RaiNews24 (testata da lei diretta anni fa) Antonio Di Bella, che avrebbe accettato ipotizzando di farne uno speciale alle 22.30 del 2 dicembre. A questo punto le fonti divergono. Da una parte RaiNews24 sostiene che avrebbe chiesto di visionare l’intervista preventivamente ma che questa sarebbe arrivata in redazione solo il giorno dopo, il 3 dicembre, ricevendo un giudizio negativo. Dall’altra, la Maggioni fa sapere: «Nessuno mi ha chiesto di visionare l’intervista». Alla trasmissione Salini avrebbe dato l’ok a mezzogiorno del 2 dicembre, contattando anche il Tg1. Lo stop da RaiNews24 sarebbe arrivato nel tardo pomeriggio con spiegazioni vaghe. A quel punto, pur dopo l’invio dell’intervista a Di Bella, lo stop sarebbe stato confermato. Forte la reazione del sindacato Usigrai che ha chiesto chiarezza sulla vicenda.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gabanelli Milena – Gerevini Mario – Massaro Fabrizio 
Titolo: Dataroom – Così il Vaticano investe le offerte (700 milioni) – Così il Vaticano investe 700 milioni di offerte
Tema: Vaticano
Da circa sei anni il Vaticano . ha un cospicuo capitale congelato in un prestigioso palazzo nel cuore di Londra. Si tratta di un investimento da 200 milioni di dollari, ed è una delle più grandi, ma anche controverse, operazioni finanziarie mai realizzate dalla Santa Sede. I soldi provengono dalla cassa della Segreteria di Stato che gestisce l’Obolo di San Pietro, le offerte che ogni 29 giugno dalla comunità cattolica arrivano al Papa. Il patrimonio della Segreteria arriva a 700 milioni di euro. Denaro da investire con un certo criterio morale e non in attività azzardate o speculative. Si tratta di una parte rilevante del tesoro complessivo attribuibile alla Santa Sede e alla Città del Vaticano: undici miliardi, secondo le stime più recenti, di cui circa cinque in titoli e sei in immobili «non funzionali» all’attività istituzionale. Il patrimonio della Chiesa nel mondo è invece valutato oltre duemila miliardi, scuole, ospedali e università compresi. A gestire cassa e Obolo, dentro la Segreteria di Stato guidata dal 2013 da Pietro Parolin, è la Sezione Affari Generali, affidata dal 2011 al 2018 a monsignor Giovanni Angelo Becciu (oggi cardinale) e da ottobre del 2018 al venezuelano Edgar Peña Parra. I ruoli di Mincio, del broker Torzi e del banchiere Crasso. Soldi a Malta e i Svizzero, in gran parte affidati ad Azimut.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rodari Paolo 
Titolo: La scalata di Tagle ai vertici vaticani Sarà il “papa rosso”
Tema: Vaticano
Chi conosce bene il 62enne cardinale filippino Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila più volte indicato come papabile e presidente della federazione biblica internazionale, dice che tiene parecchio al suo secondo cognome, quello cinese di sua madre: Gokim. Un dato che dice molto dell’importanza in chiave geopolitica della nomina a sorpresa annunciata ieri da Francesco: Tagle, che da ragazzo sognava di diventare medico ma che poi scelse il sacerdozio, è il nuovo prefetto di uno dei “ministeri” più centrali dello scacchiere della curia romana, quell’Evangelizzazione dei Popoli che segue tutte le missioni della Chiesa nel mondo. Con lui alla guida dell’ex Propaganda Fide il sogno di un viaggio papale in Cina si fa più vicino. Certo, il prefetto di Propaganda ha un peso anzitutto interno. Chiamato “Papa rosso”, deve gestire l’ingente patrimonio delle missioni fatto anche di prestigiose proprietà immobiliari a Roma. Insieme, tuttavia, è chiamato a trasmettere al mondo l’idea missionaria del papato: la spinta, con Bergoglio, per una Chiesa che non abbia paura di entrare nelle periferie, anche esistenziali. Ed è forse sul filo di questa non facile ermeneutica che va letta la nomina di Tagle al posto di Fernando Filoni. Lo spostamento di quest’ultimo all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, anche se ancora non è arrivato ai 75 anni, sembra suggerire la volontà papale di dare un’impronta diversa all’azione missionaria di Propaganda.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Giansoldati Franca 
Titolo: Vaticano, il Papa lancia il cardinale Tagle un filippino a capo di Propaganda Fide
Tema: Vaticano
Per fare posto a Tagle, 62 anni, cardinale in forte ascesa e considerato da molti un buon candidato alla successione in un futuro conclave, Papa Francesco ha mandato in pensione con due anni di anticipo Fernando Filoni, ex nunzio in Iraq ed ex Sostituto alla Segreteria di Stato. A lui ha, invece, dato il compito (quasi impossibile) di togliere dalla naftalina e dalla polvere l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme fondato da Goffredo di Buglione ai tempi delle crociate. Un ordine cavalleresco ricchissimo ma finora marginale e con poco spirito di iniziativa. Con Filoni che il Medio Oriente lo conosce come le sue tasche e parla anche un po’ l’arabo per essere stato nunzio in Iraq sotto i bombardamenti, l’istituzione potrebbe però avere qualche chance per sostenere maggiormente i cristiani che agonizzano in Terra Santa. Ma è la nomina di Tagle la vera grande novità. Un autentico ribaltone maturato in questi ultimi tempi. Francesco nei confronti del cardinale filippino non ha mai nascosto una grandissima ammirazione. Durante il conclave del 2013 Tagle aveva raccolto diversi voti nelle prime votazioni anche se poi a frenarlo era stata la sua “giovane” età. Era ritenuto un outsider fra i papabili. Il suo arrivo a Roma offre a Tagle la possibilità di farsi conoscere ancora di più nelle chiese del mondo. Francesco lo ha visto personalmente all’opera nelle Filippine a difendere i cattolici dal governo del presidente Duterte. Lo ritiene credibile per il suo stile di vita sobrio. È uno che girava in bicicletta, che riusciva a trascinare le folle dei giovani parlando il loro linguaggio, ma soprattutto un alleato che ha condiviso da subito con entusiasmo la visione di una Chiesa di periferia, aperta a tutti, rivolta all’Asia, che è il vero e grande bacino di anime del pianeta. Da presidente di Caritas Internationalis Tagle ha avviato, un paio di anni fa, una campagna globale di contrasto contro l’odio e la paura nei confronti degli immigrati.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Marconi Cristina 
Titolo: Regno Unito, il voto utile spaventa Johnson: in forse la maggioranza
Tema: Gran Bretagna al voto
Nessuno ha mai la vittoria in tasca prima di un’elezione, ma per Boris Johnson, premier britannico alla ricerca di una maggioranza parlamentare che gli permetta di governare senza gli ostacoli del passato, questi ultimi giorni in vista del voto del 12 dicembre sono pieni di insidie: se da una parte i sondaggi gli danno dieci punti di vantaggio rispetto al Labour, con una quarantina di seggi di distacco, dall’altra il suo nemico principale si chiama voto tattico. E sono tanti, almeno il 10% dell’elettorato, quelli che invece di votare seguendo l’affiliazione politica potrebbero scegliere di puntare sul candidato con più possibilità di battere i Tories, in modo da ostacolare il governo e, soprattutto, il suo progetto di Brexit. Un sondaggio pubblicato nel fine settimana indica che basterebbero 41mila voti per cambiare il destino di almeno 36 seggi in bilico, facendo rischiare un parlamento senza maggioranza e aumentando le possibilità di un secondo referendum. I dati sono di Best for Britain, una lobby che sostiene il secondo voto e che sottolinea come per realizzare questo scenario molti si dovrebbero «turare il naso». Ma se da una parte la Brexit ha rimescolato le carte e ha fatto saltare le tradizionali simpatie laburiste o conservatrici, è vero che per molti britannici l’elezione del leader laburista Jeremy Corbyn rappresenta una minaccia più grande dell’uscita dalla Ue, con le sue promesse di rinazionalizzazioni e di aumenti fiscali e le sue misure considerate troppo a sinistra da un elettorato che di solito bada molto al portafoglio.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lombardi Anna 
Titolo: Dal Cile al mondo, le donne in piazza con il ballo che denuncia gli stupri
Tema: violenza di genere
Batti il piede a sinistra: «La colpa non era mia». Batti il piede a destra: «Non per dove mi trovavo, né per quello che indossavo». Punta il dito davanti a te: «Lo stupratore sei tu». Chinati e porta le braccia alla testa, come a difenderti da un colpo: «L’assassino sei tu. La colpa non è mia, né in casa, né per la via». La protesta delle donne attraversa l’Oceano a passo di danza. Partito da quel Cile dove lo stupro è ormai diventato mezzo di repressione di Stato, Un Violador en 711 Camino, il coreografico flashmob contro la violenza sessuale e il femminicidio, sta già facendo il giro del mondo. Creato da quattro ragazze del collettivo cileno Lastesis – Sibila Sotomayor, Dafne Valdés, Paula Cometa Stange e Lea Cáceres – ha messo in moto perfino l’India: traumatizzata dall’ennesimo stupro-omicidio. Ha fatto ballare l’Australia, il Libano, la Francia, gli Stati Uniti, la Turchia. Ha battuto il tempo ad Ecatepec, in Messico, dove chi nasce in un corpo femminile sa fin da subito di rischiare la pelle. Fino ad approdare da noi: dove per l’Intero week end la rete “Non Una di Meno” ha organizzato decine di manifestazioni in altrettante città italiane. «Ci chiamiamo Lastesis perché trasformiamo in spettacoli le teorie femministe» hanno raccontato ai giornali latinoamericani le quattro trentenni, senza parlare mai a titolo personale ma sempre come collettivo. «Abbiamo lanciato per la prima volta la nostra coreografica danza in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne da Valparaiso, dove viviamo e lavoriamo. Non avremmo mai sperato si sarebbe diffusa così». Mosse semplici, ritmate da un testo incisivo, «basato sul pensiero di Rita Segato» spiegano al quotidiano spagnolo El Pais. Si, l’antropologa ed etnomusicologa femminista argentina, la stessa che di recente ha avviato l’aspro dibattito contro il maschilismo di Evo Morales in Bolivia, respingendo come «ricatto» l’ipotesi che non bisognasse criticarlo per certe sue frasi pedofile nel momento della sua caduta.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  … 
Titolo: Kim sfida Washington e rilancia il nucleare Trump: vuole interferire sulla mia elezione
Tema: Nord Corea
Un test «molto importante» nella base di lancio satellitare di Sohae, fatto sabato pomeriggio, ha aumentato la pressione nordcoreana su Donald Trump. Poche righe di dispaccio della Kcna (l’agenzia di stampa del regime di Pyongyang) hanno annunciato in modo sibillino che il risultato di questo test «avrà un importante effetto sulla posizione strategica della Repubblica democratica popolare di Corea nel futuro prossimo». Da Washington Trump ha reagito a modo suo, con un duro monito affidato a Twitter, scrivendo di Kim Jong-un che «è troppo intelligente e ha troppo da perdere, davvero tutto, se agisce in modo ostile». Trump ha anche ricordato che Kim ha firmato «un forte accordo sulla denuclearizzazione con me a Singapore» e che «non vuole annullare la sua relazione speciale con il presidente Usa o interferire con le elezioni presidenziali di novembre». Ciò che più risalta è la parola «interferenza», utilizzata da Trump per il secondo giorno consecutivo. Anche sabato, quando un comunicato dalla Corea ha annunciato l’uscita dal negoziato con Washington sul nucleare, il presidente americano aveva fatto capire che la ritrovata aggressività del dittatore coreano andava letta come un tentativo di approfittare della campagna elettorale statunitense per alzare la posta. Trump vuole dimostrare al suo elettorato di saper condurre in porto un accordo diplomatico storico e di aver disinnescato una pericolosa mina che Obama gli aveva lasciato in eredità, e con la miccia già accesa. Una nuova rottura delle relazioni con Pyongyang comporterebbe la ripresa dell’attività nucleari e del lancio di missili balistici.
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PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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