In evidenza sui principali quotidiani:
– Le priorità di Draghi per il rilancio
– Bankitalia smonta il Recovery Plan
– Musk annuncia investimento miliardario nel Bitcoin
– Impeachment, si apre oggi il processo a Trump
– Netanyahu torna alla sbarra: “Accuse false, sono innocente”
PRIMO PIANO
Politica interna
Testata: Corriere della Sera
Autore: Falci Giuseppe_Alberto – Galluzzo Marco
Titolo: Draghi, i 5 punti per il rilancio – Draghi indica le priorità ai partiti E apre il dossier sulla scuola
Tema: governo Draghi
Si delinea un’idea del programma di Mario Draghi dopo la ripresa delle consultazioni con i partiti minori. Intanto la collocazione internazionale,«atlantista ed europeista», un doppio pilastro su cui il premier incaricato insiste in tutti i confronti anche per risolvere i dubbi residui sia della Lega che dei Cinque Stelle. I quali, nel frattempo, annunciano che domani e dopodomani «gli iscritti saranno chiamati a esprimersi» su Rousseau «su un eventuale supporto a un governo presieduto da Mario Draghi». Il premier incaricato, intanto, delinea una cornice di priorità indicando cinque emergenze: ambiente, sanità (con la campagna vaccini da accelerare), lavoro (con la «tutela» di chi resta senza), imprese (con un sostegno anche alle banche) e scuola. Su quest’ultimo punto il capo del governo incaricato ha insistito sull’obiettivo di lavorare da subito sia per cambiare il calendario scolastico — allungandolo a giugn o oltre i termini previsti in modo da recuperare le tante assenze dovate al Covid — sia per avere tutti i docenti pronti già da i primi di settembre. Sono tutte dichiarazioni riferite dai piccoli partiti che escono dal confronto con Draghi, che domani vedrà le parti sociali a conclusione del secondo giro di consultazioni. Ma del programma fanno parte in primo luogo tre maxi riforme — Pubblica amministrazione, giustizia civile e Fisco — da mettere in campo per cambiare íl volto e il futuro del Paese. Riforme che, pure se connesse con II Recovery e indicate dalla Commissione dl Bruxelles, danno la sensazione alle forze politiche di un orizzonte temporale non breve.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Verderami Francesco
Titolo: Il retroscena – «Grazie, ci rivedremo in Parlamento» Il premier incaricato non parla dei ministri
Tema: governo Draghi
«Grazie, ci rivedremo in Parlamento». La formula con cui Mario Draghi conclude ogni consultazione, è la prova che i partiti avranno solo la facolta di decidere se concedere la fiducia al governo. Perché sul governo deciderà lui. Con Draghi sono saltati i vecchi rituali, le doglie che anticipavano la nascita di ogni esecutivo: le rose di nomi, le terne di candidati per ogni ministero, le combinazioni incrociate, la contabilità dei gruppi parlamentari che incideva sul peso dei dicasteri da assegnare, il gioco delle correnti. Tutto finito. Come riconosce un autorevole esponente del Pd, «i partiti sono nel panico». I loro organigrammi per la distribuzione degli incarichi sono simili a monete fuori corso: non hanno cioè valore, siccome non c’è possibilità di mediazione. Nemmeno sul testo del programma, che era l’altra liturgia di ogni trattativa e nascondeva la lotta nella distribuzione del potere. Per qualche g iorno, nel tentativo disperato di aggirare l’ostacolo, i curricula sono stati inviati al Colle come bottiglie gettate in mare aperto. Il fatto è che il premier incaricato si consulta solo con il capo dello Stato. E chiama direttamente i candidati: chi non ha sentito finora squillare il suo telefono, ha poche chance di essere contattato. Ovviamente Draghi farà sapere per tempo al partiti della sua maggioranza la composizione della squadra e quindi la soluzione che ha adottato. L’ipotesi più accreditata rimane quella di un governo misto, con tecnici e rappresentanti dei partiti a irrobustire il progetto. Già si prevede un assembramento per accaparrarsi i posti di sottosegretario. Dal profilo dell’esecutivo si capirà la sua durata, se punterà ad arrivare fino al termine della legislatura o se avrà — come appare più probabile — un tragitto più limitato. Si tratterebbe in quel caso di un governo di scopo, con un orizzonte limitato al varo delle tre grandi riforme che Draghi ha anticipato durante le consultazioni: il Fisco, la Pubblica amministrazione e la giustizia civile. Questo programma, che è legato alla concessione dei fondi europei, richiederebbe circa un anno per essere completato. Così si arriverebbe in coincidenza con la fine del settennato di Mattarella e l’elezione del nuovo capo dello Stato.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Falci G._Alberto – Galluzzo Marco
Titolo: La squadra
Tema: governo Draghi
Anche se i partiti continuano a dirsi all’oscuro di tutto, Mario Draghi sembrerebbe essere orientato per una squadra dl «alto profilo» costituita da tecnici e da figure professionali con connotazione politica. Di certo, almeno stando alle delegazioni che hanno partecipato alle consultazioni, non si è aperta alcuna trattativa fra partiti e presidente del Consiglio incaricato. L’unica persona con cui l’ex governatore della Bce si sta confrontando per la formazione della squadra di governo è il capo dello Stato Sergio Mattarella. In sintonia con quest’ultimo individuerà le caselle più importanti dell’esecutivo: dai tre ministeri economici (Economia e Finanza, Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti), ai dicasteri degli Esteri, Interno, Difesa e Giustizia. In questo schema gli altri dicasteri , dall’Ambiente alla Sanità, dall’Istruzione alle Pari opportunità, sarebbero destinati ai partiti. E probabile che la rappresentanza pol itica sia ridotta all’osso, con non più di due ministri appartenenti ai grandi partiti, Pd, Cinque Stelle e Lega. Per i democratici i nomi forti sono Dario Franceschini, Andrea Orlando e Lorenzo Guerini. Con le senatrici del Nazareno che mormorano: «E le donne?» . Nel M5S in pole position c’è Luigi Di Maio. Ma è possibile che nel gioco dei veti incrociati fra i diversi movimenti politici alla fine potrebbero essere indicati solo dei tecnici d’area, per arrivare ad un governo interamente tecnico. Di sicuro, a quanto sembra, non parteciperanno i leader dei partiti, troppo ingombranti, per non causare problemi.
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Testata: Stampa
Autore: Monticelli Luca
Titolo: Sadun, Ruffini, Panucci Draghi pronto a blindare i ministeri economici
Tema: governo Draghi
Nelle prossime 48-72 ore è possibile che l’ex governatore della Bce salga al Colle con la lista dei componenti del prossimo esecutivo. Il piano A resta “il governo di alto profilo”, che non si identifichi con alcuna formula politica, come l’aveva immaginato Sergio Mattarella prendendo l’iniziativa una settimana fa quando convocò Draghi al Quirinale. Secondo questo scenario le forze in Parlamento che voteranno la fiducia sarebbero rappresentate dai “numeri 2”, pronti a entrare come sottosegretari e vice ministri. Ma il nodo delle presenze politiche non è ancora sciolto, le segreterie sono in pressing nonostante si rischi lo stallo nelle trattative. Infatti non è tramontato il piano B che prevede un governo misto, fatto di tecnici e ed esponenti dei partiti. Sicuramente Draghi avrà in testa un quadro ben preciso delle personalità da inserire nel suo dream team, però resta ben abbottonato e ai gruppi parlamentari che ieri ha ricevuto nel secondo giro di consultazioni non ha fatto riferimenti ai componenti della squadra. Perciò, le indiscrezioni che girano vengono fatte filtrare dalla politica o dagli alti papaveri dei ministeri. Stando alle ricostruzioni, Daniele Franco, direttore generale della Banca d’Italia, è il favorito per occupare il posto di ministro dell’Economia. La seconda opzione è Dario Scannapieco, vice presidente della Bei. Proprio Franco è stato Ragioniere generale dello Stato dal 2013 al maggio 2019 ed è entrato spesso in rotta di collisione con il governo gialloverde del Conte I. Per il ministero delle Infrastrutture e trasporti è spuntata la candidatura di Ernesto Maria Ruffini, che lascerebbe scoperta la direzione dell’Agenzia delle entrate, una posizione fondamentale non facile da rimpiazzare. In alternativa al Mit potrebbe finire l’economista Carlo Cottarelli, che nel maggio del 2018 aveva ricevuto l’incarico da Mattarella. Il professore esperto di conti pubblici è in lizza pure per essere designato come responsabile dell’attuazione del Recovery plan o ministro della Pa.
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Testata: Stampa
Autore: AME.LAM
Titolo: Svolta sui migranti e sì al Recovery ora Salvini punta a fare il ministro
Tema: governo Draghi
Matteo Salvini sta diventando il primo fan di Draghi. E ai suoi dice: «Non cadiamo nelle provocazioni». L’ordine di scuderia è non commettere falli di reazione. Nella Lega nessuno finora li ha commessi: la stragrande maggioranza del partito, dalla base ai vertici, è convinta che Draghi sia la più grande occasione che sia loro capitata. La senatrice-avvocato Giulia Bongiorno, che Salvini ascolta molto e che potrebbe diventare ministro, lo dice in questo modo: «Draghi è la persona giusta al momento giusto, anche se non è stato votato dal popolo». Un fallo lo ha commesso lo stesso Salvini quando ieri ha proposto «il modello Bertolaso che è il più avanzato sulle vaccinazioni». A parte questa scivolata agli occhi dei potenziali e riottosi alleati che vogliono tenerlo fuori, l’ex ministro dell’Interno si è fatto concavo e convesso. Ha promesso che si vaccinerà («lo farò a giugno- luglio»), stavolta senza citare il via libera del suo medico di famiglia. Sull’immigrazione ha perfino affermato che «bastano le leggi europee». E visto che oggi tornerà a sedersi davanti al «professor Draghi», uno dei massimi esponenti dell’europeismo, Salvini ha fatto sapere che al Parlamento europeo la Lega potrebbe cambiare atteggiamento sul regolamento del Recovery Fund. Gli eurodeputati leghisti si erano astenuti durante il governo Conte, ma ora attendono l’incontro con Draghi prima di prendere la decisione definitiva. Da quello che ci risulta la decisione sarebbe già stata presa: il voto sarà positivo. Ci manca solo che Salvini annunci l’iscrizione al Ppe e la riconversione giorgettiana sarebbe compiuta.
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Testata: Repubblica
Autore: Lopapa Carmelo
Titolo: Intervista a Silvio Berlusconi – “Al governo per salvare il Paese e mi spiace il no di Meloni” – Berlusconi “Con Draghi senza calcoli di parte Lega? Forse è la svolta I 5S in declino e infantili”
Tema: governo Draghi
Il governo che sta per nascere sarà politico, sebbene con la presenza di tecnici, perché politico è un governo di “unità nazionale”. A Mario Draghi l’invito a «tenere conto delle indicazioni dei partiti», ma di far prevalere la «qualità». Silvio Berlusconi parla per la prima volta dopo l’incarico a “SuperMario”. Lo fa dal buen ritiro in Provenza, da dove spera ancora di muoversi per raggiungere in queste ore Roma per il secondo giro di consultazioni. Dice di non ravvedere la necessità di una presenza dei leader di partito nell’esecutivo. Della svolta di Salvini non si stupisce, «era stato già al governo col M5S», della scelta della “signora Meloni” invece sì, si «rammarica». Quanto ai grillini insofferenti per la convivenza con lui, beh, «infantilismo politico». Presidente Berlusconi, perche avete ritenuto necessario sostenere II tentativo dl Draghi? «P erché circostanze eccezionali richiedono risposte eccezionali. Impongono alla classe dirigente del Paese di mettere da parte le distinzioni, gli interessi di parte, i calcoli politici o elettorali e di dare una risposta di alto profilo, adeguata alla gravità della situazione. II momento è davvero gravissimo, per l’Italia e per il mondo intero, certamente è la fase storica peggiore dopo la Seconda Guerra mondiale». La Lega sembra essere della partita. Che ne pensa della svolta dl Salvini? Lo aiuterà anche In Europa? «Quando ho indicato la strada dell’unità delle migliori energie del Paese come unica soluzione possibile, ho espresso l’auspicio che tutto il centrodestra condividesse la scelta di privilegiare la salvezza della nazione rispetto all’interesse di parte. Sono contento che un grande partito come la Lega abbia maturato questa scelta. Non so se definirla una svolta, in fondo la Lega ha già governato con i Cinque Stelle, ma è certamente un atto di saggezza che anche in Europa sarà apprezzato».
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Testata: Repubblica
Autore: Pucciarelli Matteo
Titolo: Sul governo il M5S si affida a Rousseau Tensione Grillo-Casaleggio sui quesiti
Tema: M5S
«Non avessimo offerto l’opportunità di votare l’accordo allora si che il M5s andava in frantumi», confida un membro dello scorso governo. Cosi da domani alle 13 fino a giovedì alla stessa ora gli attivisti del Movimento potranno votare si o no all’entrata nell’esecutivo guidato da Mario Draghi. Non era una scelta scontata, in diversi erano contrari, ma alla fine ha prevalso il richiamo a uno dei fondamentali dei 5 Stelle, cioè la democrazia diretta. Ma questo non ha impedito nuove tensioni: a chi spetta infatti formulare i quesiti cui gli iscritti dovranno rispondere? La forma conta e non poco nell’orientare la scelta. Il tentativo di Davide Casaleggio di scrivere personalmente i quesiti è stato stoppato da Beppe Grillo che vuole occuparsi della questione, a cominciare dal numero delle domande per i militanti (alla fine potrebbe anche essere una sola). Oggi il reggente Vito Crimi e i capigruppo di Camera e Senato saranno ricevuti da Draghi per il secondo giro di consultazioni, usciranno fuori i termini del possibile accordo (una coalizione con chi, quanti ministeri, quali punti programmatici) e saranno quelli la base del quesito su Rousseau. Ma la scelta di dare la parola alla base è anche un modo — si racconta nel dietro le quinte — per alzare il prezzo nella trattativa con il primo ministro in pectore. Se vorrà contare sull’appoggio della prima forza parlamentare dovrà venirgli incontro. Di certo la mossa ha fatto sbollire un po’ la temperatura, specie al Senato. I contrari e gli Indecisi sono stati accontentati, e se il voto darà il via libera potranno comunque salvarsi la faccia — dal loro punto di vista — dicendo che ha vinto il processo democratico. I contrari all’accordo si faranno sentire sui social e con gli incontri con i vecchi meetup, anche Alessandro Di Battista ha promesso di impegnarsi per il no.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Palmerini Lina
Titolo: Politica 2.0 – La sponda del Quirinale nell’ora delle mediazioni
Tema: governo Draghi
Smontare le manovre dei veti reciproci è diventato il campo su cui sta agendo Draghi di concerto con il Quirinale. Di certo l’ex presidente della Bce e Mattarella sapevano che non sarebbe stato facile mettere insieme gli avversari di oggi – e di domani quando si tornerà alle urne – ma gli ostacoli sono perfino superiori alle attese. Non ci si aspettava per esempio che per il Pd sarebbe stato così complicato accettare la convivenza con la Lega al punto da ipotizzare un appoggio esterno – poi smentito – così come in casa leghista non si rinuncia a sventolare la flat tax – rilanciata ieri da Siri – per mettere ancora più in difficoltà il centro-sinistra. E pure il voto – mercoledì e giovedì – della base dei 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau (ieri sera non era ancora chiaro il quesito) esigerà che i grillini vadano oggi al secondo incontro con Draghi piantando le loro bandiere. In queste ore è in azione l’opera del c apo dello Stato che insieme al premier incaricato sta preparando un terreno adatto per un Governo “senza formule politiche” come aveva chiesto al partiti. Una neutralità che va costruita su un minimo comune denominatore di proposte, che vale non solo per far partire il Governo ma per farlo andare avanti costruendo mediazioni accettabili per tutti. E ieri Draghi ha cominciato a spiegare in cosa consisterà questa base di convivenza: innanzitutto un piano operativo sui vaccini e poi riforme della burocrazia, giustizia, fisco e scuola. Riforme che sono la premessa indispensabile per avere il via libera di Bruxelles sulle risorse del Recovery Fund ma che sono pure l’immancabile elenco di ogni programma elettorale che si rispetti, di destra e di sinistra.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Polito Antonio
Titolo: L’analisi – Le capacità necessarie – Se ora è il popolo a volere un’élite
Tema: governo Draghi
Sappiamo che Mario Draghi proviene da una tradizione di servizio all’interesse nazionale tra le più impeccabili e severe, quella della Banca d’Italia di Stringher, di Einaudi, di Ciampi. Una fucina di classe dirigente nel senso migliore, le cui qualità Draghi ha esportato in Europa e nel mondo, ricavandone ammirazione e rispetto. Però, nonostante questi quarti di nobiltà, neanche lui potrà sfuggire ai rischi che la situazione comporta. Il primo è il seguente: c’è ancora oggi, nel declino italiano, abbastanza élite di qualità per guidare uno sforzo di rinascita nazionale? Nel governo Ciampi del 1993, tanto per dire, c’erano un giurista come Gino Giugni, un intellettuale come Alberto Ronchey, un politico come Beniamino Andreatta. Il secondo interrogativo è più indiscreto: sarà questa nuova classe dirigente, chiamata alla prova della pandemia dal fallimento della lotta del galli politici, capace di «sporcarsi» le mani? Di rischiare cioè anche la critica e il dissenso che inevitabilmente arriveranno di fronte alle scelte difficili?
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Testata: Repubblica
Autore: Folli Stefano
Titolo: Il punto – Le insidie nascoste nelle troppe attese
Tema: governo Draghi
Il presidente incaricato in sostanza chiede piena adesione all’idea d’Europa: chi appoggia l’esecutivo deve sostenere lo sforzo per integrare nel tempo l’Unione a tutti i livelli. Inoltre deve condividere l’atlantismo, ossia il valore di una comunità occidentale fondata sulla partnership tra Stati Uniti ed Europa. Un messaggio a Biden. Il resto ne deriva. A cominciare dal Recovery Plan da riscrivere con le riforme connesse (giustizia, pubblica amministrazione, fisco). Poi c’è la campagna vaccinale da accelerare e la scuola da rimettere in funzione tentando di far recuperare ai ragazzi il tempo perso. Si capisce che una Lega impacciata potrebbe cascare su uno di questi punti. Ma Salvini è abbastanza spregiudicato da non esitare: abbandona AfD — avrebbe dovuto farlo da tempo — e si iscrive senza nostalgie putiniane al partito atlantico. L’obiettivo è fin troppo chiaro: ritagliarsi un posto privilegiato sotto l’ombrello del governo di salute pubbl ica; suggerire all’opinione pubblica che è il centrodestra a interpretare al meglio la nuova fase d’emergenza rispetto a un centrosinistra in affanno e ai 5S in seduta psicanalitica. Non è così, ovviamente. Ma è vero che l’equilibrio tra le forze che sostengono le larghe intese è un problema che il presidente del Consiglio non potrà sottovalutare, una volta che i primi entusiasmi si saranno raffreddati. Un’altra insidia riguarda la polemica pretestuosa sulla durata dell’esecutivo: alcuni mesi, un anno, fino al termine della legislatura? Nessuno può fissare un limite di tempo, ma è chiaro che Draghi e i suoi ministri — tecnici o politici che siano — dovranno lavorare ogni giorno come se avessero davanti un orizzonte di anni.
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Testata: Foglio
Autore: Cerasa Claudio
Titolo: Lo show di un reset chiamato Draghi – Vince il realismo
Tema: governo Draghi
Il governo Draghi non rappresenta il tonfo della politica ma rappresenta al contrario un cristallino trionfo della politica, come capita in ogni occasione in cui il realismo politico si afferma sulla fuffa dell’antipolitica. La politica può riscattarsi con Draghi a condizione che al governo ci metta la faccia. E a prescindere da quale sarà l’esito del secondo giro di consultazioni (già domani sera il presidente incaricato vorrebbe salire al Quirinale con la lista dei ministri, ma vista la decisione del M5s di di votare tra mercoledì e giovedì su Rousseau l’ipotesi del governo Draghi il passaggio dovrebbe slittare di qualche giorno) lo spettacolo offerto negli ultimi giorni dai vecchi campioni dell’antipolitica, al cospetto dell’ex presidente della Bce, che come avranno avuto modo di scoprire in queste ore i suoi primi interlocutori è un politico di razza, non può che creare entusiasmo: lo show quotidiano dei populisti che cercano in tu tti i modi di rottamare con passione lo stesso populismo che hanno contribuito ad alimentare.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: Postiglione Venenzio
Titolo: Lo specchio dei partiti – Lega e 5 stelle allo specchio Il populismo (quasi) sparito
Tema: populismo italiano
La parola chiave è governabilità: per i prossimi mesi e come rincorsa peri prossimi anni. La stazione è quella che verrà, ma il treno passa oggi. I Cinque Stelle già transitati dal vaffa all’Europa, da Salvini al Pd, sono a un passo dall’ex presidente della Bce. Nel rifiuto a caldo parlava la pancia, poi è arrivata la politica. Quella che aveva scelto Bruxelles e battezzato il secondo Conte. Beppe Grillo, II fondatore, si è schierato per il via libera. E Luigi Di Maio non sa più come dirlo, «saremo decisivi come prima», anche perché ha spiegato più volte che il Movimento è «il baricentro del Paese» e garantirà «la tenuta del sistema». Ma la genetica è la genetica. Per cui ci sarà l’ultimo (simbolico e paradossale) omaggio alle radici: il voto su Rousseau di domani e dopo per decidere II sostegno a Draghi. Il «no» riporterebbe i Cinque Stelle indietro di anni, giusto o sbagliato che sia, il «si» segnerebbe il passaggio definitivo (definitivo come possibile in Italia) a partito di governo. Qualcuno, però, ha fatto un salto ancora più in alto. Non tanto la Lega, che guida già Regioni e Comuni, ma proprio Matteo Salvini. Dritto e deciso. «Niente veti, il cuore oltre l’ostacolo, accogliamo l’appello di Mattarella». Chi saranno mai Orbán, Trump e gli anti-euro? II Capitano ha difeso Draghi dai sovranisti tedeschi di Afd e ha rivisto anche la linea sui migranti, che gli aveva portato un diluvio di consensi ma aveva spaccato l’Italia. «Proporremo l’adozione della legislazione europea. A noi va bene che il tema sia trattato come in Francia e Germania, con le stesse regole. Coinvolgendo la Ue». La svolta è compiuta. Con Silvio Berlusconi così vicino a Draghi e Giorgia Meloni così lontana, Salvini si prende adesso o mai più il centro del centrodestra, la leadership della maggioranza che verrà (se verrà) dopo II voto. Magari gioca un ruolo anche l’astinenza da potere, un anno e mezzo dopo: vedremo. Che la guerra a Bruxelles e ai Paesi amici fosse insensata e controproducente si sapeva da semp re: ma l’epoca della pandemia l’ha fatto capire a tutti o quasi a tutti. Non esiste un’Italia fuori dall’Europa o contro l’Europa: l’arrivo di Draghi fa rivivere quel filo che dalla visione di Spinelli alla tenacia di De Gasperl ci ha sospinto nel gruppo degli ideatori e dei fondatori. Che ci siano «convertiti» della prima o ultima ora non è una tragedia. Al contrario. Se vogliamo, conferma la bontà della causa.
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Economia e finanza
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Colombo Davide – Trovati Gianni
Titolo: «Arduo rientrare dal debito al 160% del Pil» – Bankitalia: dal Recovery +2% di Pil Allarme debito della Corte dei conti
Tema: Recovery Plan
Utilizzare in pieno le risorse messe in campo con il programma Next generation EU significa assicurare all’economia nazionale una spinta espansiva di almeno due punti percentuali entro il biennio 2023-2024. Ma per farlo serve uno «sforzo sostanziale» sia sul fronte delle riforme da adottare sia su quello degli investimenti da finanziare. È quanto ha affermato Fabrizio Balassone, capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, nell’audizione davanti alle commissione Finanza e Bilancio di Camera e Senato sul Piano nazionale di ripresa e resilenza. Le stime d’impatto macroeconomico di via Nazionale, aggiornate rispetto a quelle di settembre quando erano modulate solo sull’effetto “domanda” e dunque sul breve periodo, sono in linea con quelle indicate ieri anche dall’Ufficio parlamentare di Bilancio. E indicano una spinta un po’ più modesta di quella attribuita al Recovery Plan dal governo uscente, che mira a tre punti di Pil aggiuntivi nel 2026, a f ine piano. Gli esercizi sui numeri oggi sono inevitabilmente provvisori, anche per la revisione profonda del Piano che verosimilmente arriverà con il nuovo governo. Ma si concentrano sullo snodo chiave. Perché alla spinta del Recovery è affidato il compito di rientrare da un debito spinto dalla crisi pandemica alle soglie del 160%del Pil. Un «compito arduo», ha avvertito sempre ieri in audizione la Corte dei conti, che ha anche lanciato l’allarme sul rischio che la maggiore spesa corrente prodotta dalle misure presenti nella bozza di piano possa «debordare oltre quota 30 per cento».
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Testata: Repubblica
Autore: Petrini Roberto
Titolo: Bankitalia smonta il piano “Deve sostenere lo sviluppo o sarà solo nuovo debito”
Tema: Recovery Plan
Bankitalia smonta il Recovery Plan lasciato in eredità dal governo Conte e propone una robusta riscrittura. Sul piano del metodo chiede una «netta discontinuità con il passato», nel merito invoca innanzitutto una scelta sulla cabina di regia perché serve una «struttura di governo degli interventi adeguata alla complessità dell’impresa». Ci vuole, aggiunge, un «efficiente impiego delle risorse» e «riforme» per migliorare l’azione pubblica e l’ambiente economico. Il rischio se perseveriamo nell’errore? Ci troveremo senza sviluppo e con più debito. Dunque «massima attenzione» alla qualità degli interventi. Parole affilate e determinate che sono giunte ieri durante l’audizione sul Recovery Fund del capo economista di Via Nazionale, Fabrizio Balassone. Un intervento che giunge a due giorni da quello pronunciato dal governatore Ignazio Visco al Forex che aveva esortato a puntualizzare prog etti e tempi e ad accompagnare il Piano alle riforme necessarie al Paese. Bankitalia ieri è tornata sul tema, che è stato tra i motivi della crisi di governo, aggiungendo altri argomenti. Balassone ha ricordato che gli interventi aggiuntivi avranno íl valore di circa un 1 punto di Pil all’anno (circa 17 miliardi) e che se vogliamo che abbiano un effetto “moltiplicativo”, cioè stimolino adeguatamente la crescita dell’economia bisognerà cambiare registro e dotarsi di una governance adeguata. Questo perché se i 209 miliardi del Recovery Fund «non saranno impiegati in maniera produttiva i problemi del Paese non saranno alleviati» ma al contrario «saranno accresciuti dal maggiore indebitamento».
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Testata: Repubblica
Autore: D’Argenio Alberto
Titolo: Intervista a Manfred Weber – Weber “Nel Recovery vere riforme l’Italia non puo permettersi altri sprechi”
Tema: Recovery Plan
«In un momento storico così difficile Mario Draghi è la personalità giusta per governare andando oltre gli interessi di parte». Manfred Weber è il capogruppo al Parlamento europeo del Ppe. L’apprezzamento per il premier incaricato è netto, ma l’ammonimento sul Recovery non manca: «L’Italia non può permettersi di sprecare i fondi e deve fare le riforme». Quanto al nuovo europeismo di Salvini, il politico bavarese afferma: «Vedremo». Ad oggi, spiega, non ci sono prospettive di ingresso del Carroccio nel Ppe. Dal punto dl vista europeo come valuta un governo guidato da Mario Draghi? «Per l’Europa in questa fase la cosa più importante è la stabilità, e la prospettiva di avere Mario Draghi alla guida del Paese ci dice che la stabilità a Roma è possiblle. Draghi è una grandissima personalità non solo in Italia, ha fatto un lavoro eccezionale alla guida della Bce riconosciuto in tutta Europa. Un uomo con la sua esperienza può avere le chiavi per tenere insieme i differenti interessi della società e dei partiti, per governare andando oltre gli interessi di parte».
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Testata: Stampa
Autore: Bresolin Marco
Titolo: La Bce: Recovery, nel 2021 i primi effetti sul Pil il petrolio a 60 dollari torna ai livelli pre-virus
Tema: Recovery Plan
Il principale rischio al ribasso per l’economia europea è caratterizzato dalle varianti del virus, che potrebbero rendere inefficaci i vaccini e costringere i governi a nuove chiusure. Ma Christine Lagarde, pur riconoscendo il pericolo, coglie alcuni segnali positivi. E anche la Commissione europea inizia a vedere quella «luce in fondo al tunnel» illuminata dai piani di vaccinazione che a partire da aprile dovrebbero aumentare il ritmo: giovedì l’esecutivo Ue presenterà le sue previsioni economiche che registreranno un’accelerata della ripresa nel secondo trimestre di quest’anno. A conferma del clima positivo ci sono anche le notizie che arrivano dal prezzo del petrolio: ieri il Brent, quotato a Londra, ha superato i 60 dollari al barile. Non succedeva dal gennaio dello scorso anno, segno che i mercati sono fiduciosi. Ieri la presidente della Banca centrale europea è intervenuta al Parlamento Ue, dove ha lanciato un nuovo appello agli Stati mem bri: bisogna assolutamente accelerare con il Recovery Fund. «È necessario che i fondi del Next Generation EU vengano erogati rapidamente – ha sottolineato la francese- e utilizzati per sostenere le riforme strutturali e gli investimenti favorevoli alla crescita» . Se così fosse, Lagarde è convinta che gli effetti del piano europeo potranno vedersi già anche sul Pil di quest’anno. Scenario molto probabile, ma non affatto scontato, visto che mancano ancora alcuni passaggi. E al momento le previsioni più ottimistiche dicono che la prima tranche arriverà soltanto in estate. Proprio oggi il Parlamento Ue approverà il regolamento della Recovery and Resilience Facility, il pilastro del Next Generation EU.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Orlando Luca
Titolo: Industria, persi 132 miliardi Ma da agosto è in recupero – L’industria perde 132 miliardi, ma da agosto è quasi pareggio
Tema: Industria
Male, non malissimo. II 2020 dell’industria manifatturiera italiana si chiude con un calo dei ricavi del 10,2%, 132 miliardi in meno rispetto al 2019. Dati non certo brillanti, quelli evidenziati dall’analisi dei Settori industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia, e tuttavia di gran lunga migliori rispetto a tutte le previsioni realizzate nei momenti più duri del lockdown, quando alla caduta della domanda si era aggiunto lo stop forzato ad un’ampia fetta della nostra produzione. La frenata per l’intera manifattura vale così 360 milioni di euro al giorno, cifra per fortuna distante dalle prime stime del periodo di lockdown, quando ad esempio la sola meccanica ipotizzava per ogni giornata lavorativa persa 1,7 miliardi di gap nel fatturato, un miliardo al giorno tenendo conto dell’intero calendario annuale. Non che sia esattamente una consolazione, tuttavia l’industria nazionale ne ha viste di peggio in tempi non troppo remoti. Il calo delle vendite, per quanto pesante, &e grave; infatti comunque inferiore rispetto al crollo di 19 punti sperimentato dalla manifattura nel 2019, peggior anno dal dopoguerra. Un risultato 2020 che riflette il progressivo recupero dal punto di minimo primaverile: tra agosto e novembre, infatti, il fatturato si è mantenuto in linea con il livello pre-covid, cedendo appena lo 0,4%. Esito legato anche alla ripresa dell’export, che così come per i ricavi, si è comportato meglio rispetto al 2009, arrivando a cedere una decina di punti, la metà rispetto a quanto accaduto 11 anni prima. Se la media dei ricavi 2020 non è penalizzata in modo eccessivo lo si deve in particolare a due comparti, alimentari/bevande e farmaceutica, in grado in entrambi i casi di chiudere l’anno con ricavi appena al di sotto dei livelli 2019, in frenata rispettivamente dello 0,6 e dello 0,9%.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Lops Vito
Titolo: Tesla accende il Bitcoin dei record – Tesla innesca il rally del Bitcoin
Tema: criptovalute
Tesla ha annunciato di aver acquistato Bitcoin per un controvalore di 1,5 miliardi di dollari. Nel documento consegnato alle autorità di Borsa, la casa automobilistica ha spiegato di averlo fatto per avere «maggiore flessibilità per diversificare ulteriormente e massimizzare il ritorno di cassa». Inoltre l’azienda fondata da Elon Musk ha annunciato che comincerà ad accettare Bitcoin come forma di pagamento. La reazione del prezzo del Bitcoin, la criptovaluta più importante, è stata immediata: nel corso della seduta di mercato il valore è balzato di oltre il 10%, fino a toccare un nuovo massimo a 44.112 dollari, lontanissimo dal record di 20mila dollari infranto il 16 dicembre scorso. L’annuncio di Tesla era atteso, dopo i numerosi segnali che Musk ha mandato sul social nelle scorse settimane. Tuttavia secondo molti esperti il tentativo di trasfomare le criptovalute in un mezzo di pagamento “mainstream” rischia di essere vano.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Carlini Vittorio
Titolo: L’analisi – Quella strada molto in salita per i pagamenti in criptovaluta
Tema: criptovalute
L’amore, non certo disinteressato, di Elon Musk per le criptovalute è noto. Solo pochi giorni fa il visionario, e controverso, imprenditore aveva twittato «Dogecoin is the people’s crypto». Un cinguettio, inutile dirlo, che ha contribuito a mandare in orbita la criptomoneta rappresentata dal cane giapponese Shiba Inu. La notizia della nuova mossa di Musk, con la sua Tesla, è però qualcosa di nuovo. Un passaggio che, rispetto al Bitcoin, va distinto in due parti. La prima attiene al fronte degli investimenti, al considerare la criptovaluta quale asset finanziario. Il gruppo automobilistico, indicando di avere impiegato nel Bitcoin circa l’8% dei 14,9 miliardi in cassa a dicembre, ha concretizzato una strategia di allocazione del capitale. La mossa, al di là dei potenziali dubbi sul fronte normativo e regolamentare può avere una sua sensatezza. Certo: la volatilità intrinseca di questi asset crea dell’alea sull’investimento. Si trat ta di una diversificazione che, visti gli alti e bassi del Bitcoin e i rischi di manipolazione del medesimo, potrebbe rivelarsi non cost azzeccata. Ciò detto, però, l’investimento può a pieno diritto rientrare in un programma, anche a fronte dei tassi a zero nel reddito fisso, di ricerca di maggiore rendimento. Altro discorso, invece, è quello legato alla seconda parte dell’operazione. Quella, cioè, in cui Tesla indica che potrà, seppure limitatamente, iniziare ad accettare il Bitcoin quale mezzo di pagamento. Qui Musk continua nel tentare di aprire un fronte ben più importante. Vale a dire: fare diventare la criptovaluta “mainstream” nei sistemi di pagamenti. La strada è possibile? Per molti esperti la risposta è negativa. La funzione “mezzo di pagamento” di una moneta, va ricordato, spesso viene sovrapposta a quella di “mezzo di scambio”. In realtà sono due caratteristiche diverse. Il “mezzo di scambio” non ha una dimensione temporale. È l’utilizzo della valuta in una permuta che si conclude «hic et nunc».
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Testata: Stampa
Autore: Lepri Stefano
Titolo: L’analisi – Il boom fragile della valuta e i timori che scoppi la bolla
Tema: criptovalute
Un titolo azionario ha dietro un’azienda su cui si possono cercare notizie. L’oro può salire a valori spropositati, ma non può cadere più di tanto perché ci sarà sempre qualcuno disposto a spendere per un gioiello. In generale si può dire che il Bitcoin sale quando c’è molta liquidità in giro, e scende quando ce n’è poca. Ma anche così non si è per nulla al sicuro. Nessuno è in grado di spiegare perché dal precedente picco di valore, quasi 20.000 dollari il 19 dicembre 2017, poi cadde fino a oscillare attorno ai 3.000un anno dopo. Divieti emessi dal governo cinese contribuirono solo in parte. Si tratta di un contratto che si acquista sperando che possa valere di più in futuro; «una scommessa» nelle parole di Fabio Panetta, membro del direttorio Bce. Resta da capire perché ci impegnino soldi aziende potenti, come ora la Tesla. La risposta semplice è che avviene a ppunto perché di soldi ne hanno in eccesso, più di quanti ne servono per investire e per remunerare gli azionisti. Può essere conveniente, specie se promettendo di accettare i Bitcoin in pagamento per le automobili, se ne può almeno temporaneamente spingere in su le quotazioni. Non è detto che questo avvenga davvero; perché almeno per ora non è facile iscrivere in un bilancio giuridicamente valido degli incassi in criptomonete.
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Testata: Stampa
Autore: Paolucci Gianluca
Titolo: Il dossier Mps sul tavolo di Draghi Apollo in campo, il titolo vola: +19%
Tema: banche
La buona notizia è che c’è la continuità aziendale. Che dovrebbe essere la normalità, ma trattandosi di Monte dei Paschi il concetto di normalità, da un paio di lustri, è di difficile applicazione. Oggi il consiglio d’amministrazione della banca esaminerà i conti del 2020, attesi in forte perdita. La discussione in seno al consiglio sulle poste di bilancio – anche su sollecitazione dei regolatori – si è protratta a lungo nei giorni scorsi e le fonti interpellate riferiscono di un clima teso all’interno del cda, la cui sintesi è stata comunque una soluzione che ha permesso al revisore di certificare la continuità aziendale. Di certo c’è che Mario Draghi, se e quando diventerà presidente del consiglio, tra le prime cose dovrà occuparsi proprio della banca senese e della sua messa in sicurezza. Proprio l’arrivo di Draghi è visto come una garanzia di buon esito dell’operazione tra i banker c he stanno lavorando sul futuro dell’istituto.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Rosina Alessandro
Titolo: Occasione unica per mettere i giovani al centro della crescita
Tema: Draghi e le nuove generazioni
L”attenzione verso le nuove generazioni è stata una costante degli scritti e degli interventi pubblici di Mario Draghi come Governatore di Bankitalia e nel periodo successivo, spesso come richiamo rispetto alla scarsa sensibilità sul tema della politica italiana. Con la sua entrata a Palazzo Chigi questa attenzione avrà finalmente l’occasione di essere portata, con la sensibilità e le competenze giuste, al centro delle scelte del Paese. Non certo in modo retorico e con l’idea che i giovani siano una componente svantaggiata da soccorrere, ma con la solida consapevolezza che senza la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni nessuna crescita solida sia possibile, tantomeno nel nostro Paese. Per non invecchiare male è necessario accompagnare la rivoluzione, quantitativa e qualitativa, nelle fasi più mature della vita con un rafforzamento di quelle più giovani. Se invece ci troviamo a ridurre, più di tutti gli altri Paesi, sia la consistenza numerica delle nuove generazioni sia le opportunità del loro ingresso solido nel motore produttivo, la conseguenza non può che essere un indebolimento strutturale della forza lavoro che va inesorabilmente a limitare le possibilità di sviluppo presente e futuro. I dati sono eloquenti. La popolazione italiana in età lavorativa, tra i 15 e i 64 anni, è pari a poco più di 38 milioni. In termini relativi si tratta del 64% dei residenti. Tale valore è rimasto sostanzialmente stabile in passato, ma andrà a ridursi considerevolmente nei prossimi decenni, scendendo di quasi dieci punti entro la metà del secolo.
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Societa’, istituzioni, esteri
Testata: Sole 24 Ore
Autore: Sorrentino Riccardo
Titolo: Le due facce del piano Biden-Yellen – Biden-Yellen: adesso la priorità è trovare la piena occupazione
Tema: Usa
Piena occupazione. È questo l’obiettivo del nuovo maxi piano di stimolo dell’Amministrazione Biden da 1.900 miliardi di dollari, che si aggiungono ai 4mila miliardi già varati dall’Amministrazione Trump: un bersaglio che, malgrado critiche provenienti dallo stesso mondo democratico, la segretaria al Tesoro Janet Yellen ritiene di poter raggiungere agevolmente. Yellen ha risposto alle perplessità ricordando i risultati di un’analisi del Congressional Budget Office, un’agenzia indipendente del Congresso e considerata bipartisan dal mondo accademico. Secondo il Cbo, in assenza di ulteriori stimoli, il tasso di disoccupazione americano potrebbe restare elevato per anni. Yellen, che è stata la presidente della Fed che ha iniziato la stretta sui tassi dopo la lunga fase espansiva seguita alla Grande recessione, ha così avuto buon gioco nell’indicare l’alta disoccupazione come «il rischio più importante», anche se l’Amministrazione tiene ben presenti «tutti i rischi dell’economia». «Abbiamo già molte piccole imprese che stanno chiudendo – ha spiegato Yellen -. Abbiamo persone che soffrono, e in particolare lavoratori con bassi stipendi e appartenenti a minoranze, e assolutamente non per loro colpa. Dobbiamo portarle sull’altra riva ed essere sicuri che tutto questo non sia un peso permanente sulle loro vite. Abbiamo bisogno di un programma che sia abbastanza grande per rispondere a quest’ampia fascia di bisogni». La risposta era diretta innanzitutto alla critiche di Lawrence Summers, democratico, ex segretario al Tesoro con Bill Clinton, secondo il quale il piano Biden è eccessivo e pone «rischi inflazionistici del tipo che non abbiamo visto in una generazione, con conseguenze sul valore del dollaro e sulla stabilità finanziarie.
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Testata: Corriere della Sera
Autore: …
Titolo: Senato Usa. È l’ora dell’impeachment Gli avvocati di Trump: «Solo un teatro politico»
Tema: Usa
Inizia oggi al Senato il secondo processo per impeachment a Donald Trump, il primo per un presidente non più in carica. L’accusa: «incitamento all’insurrezione» per l’assalto il Congresso del 6 gennaio. I suoi avvocati hanno definito ieri il processo un «teatro politico»: in un documento di 78 pagine inviato al Senato sostengono che Trump non avrebbe responsabilità per l’assalto di un «piccolo gruppo di criminali», «non avendoli diretti a commettere atti illegali», e che íl Senato non avrebbe l’autorità per processare un ex presidente. Si inizierà con 4 ore di dibattito sulla costituzionalità del processo, seguite dal voto (a maggioranza semplice). Poi difesa e accusa (quest’ultima costituita da 9 deputati democratici) avranno 16 ore ciascuna. L’accusa ha già respinto il briefing di Trump: «Prove evidenti. Ha tradito il popolo americano».
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Testata: Stampa
Autore: Mastrolilli Paolo
Titolo: Trump, duello sull’impeachment
Tema: Usa
Complotto del presidente per sovvertire il risultato delle elezioni perdute il 3 novembre, o teatrino politico dei suoi avversari assetati di vendetta. Sono i due estremi intorno a cui si giocherà il destino di Donald Trump, nel processo per l’impeachment che apre oggi al Senato. La condanna è impossibile, perché servirebbero i voti di 17 repubblicani che al momento non esistono. Le ramificazioni politiche però sono parecchie, e non è detto che questa sia l’ultima parola sui guai giudiziari dell’ex presidente. Trump è stato messo per la seconda volta in stato di impeachment dalla Camera, perché spargendo bugie su frodi elettorali inesistenti, e incitando i manifestanti del 6 gennaio a lottare, ha fomentato l’assalto al Congresso. Ieri i suoi avvocati, Bruce Castor e David Schoen, hanno presentato una memoria difensiva di 78 pagine, in cui sostengono due punti: primo, il processo è incostituzionale, perché il loro cliente non è più in carica; secondo, il 6 gennaio non ha incitato la folla ad attaccare il parlamento, ma ha solo esercitato il suo diritto alla libertà di parola: «Soddisfare la fame dei democratici per questo teatrino politico è un pericolo per la nostra repubblica e i diritti a noi più cari». La chiamata a lottare era figurativa, così come la richiesta al segretario di Stato della Georgia di trovargli i voti per vincere. I democratici hanno risposto che «la Camera non ha sottoposto Trump all’impeachement perché ha espresso un’opinione politica impopolare, ma perché ha incitato un’insurrezione violenta contro lo Stato». I democratici hanno chiesto all’ex presidente di intervenire, ma lui si è rifiutato. La loro strategia non prevede molte testimonianze, perché l’accusa di baserà soprattutto sui video del discorso di Trump, i tweet, le confessioni degli aggressori all’Fbi in cui sostengono di essere stati spinti all’attacco da lui. Il punto non è se ha commesso un reato, perché ciò non è richiesto dall’impeachment, ma se il comportamento tenuto dal 3 novembre in poi ha cercato di rovesciare illegalmente il risultato delle elezi oni, fino al punto di incitare l’insurrezione quando ogni altra via legale si era chiusa.
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Testata: Repubblica
Autore: Nizza Sharon
Titolo: Bandiere rosa contro Netanyahu E in piazza nasce un nuovo partito
Tema: Israele
Ieri Netanyahu si è presentato in tribunale per la seconda volta dall’apertura, il 23 maggio scorso, del processo che lo vede imputato per frode, abuso di potere e corruzione in tre diversi casi. Il premier è stato in aula per i pochi minuti necessari a pronunciarsi innocente davanti ai giudici. La sua difesa ha posto obiezioni volte a posticipare l’inizio della fase dibattimentale, con la speranza che slitti a dopo le elezioni del 23 marzo, le quarte in meno di due anni. Se così sarà, Netanyahu potrà concentrarsi in toto sull’ennesima battaglia per mantenere la carica di primo ministro, da cui non si separa da 11 anni, e ora più che mai decisiva, perché in Israele solo il premier gode dell’immunità nel caso di rinvio a giudizio. Ancora in testa ai sondaggi, punta sul successo della campagna vaccinale, con il 40% della popolazione inoculata, e della normalizzazione con quattro Paesi arabi in sei mesi. Netanyahu ha chiesto a lla base di non manifestare di fronte al tribunale, «per la vostra salute». Ad attenderlo davanti alla corte c’erano invece gli irriducibili manifestanti. che da quasi un anno protestano ogni settimana davanti alla sua residenza. Il nucleo duro è costituito dal movimento “Crime Minister”, nato con l’apertura delle indagini a carico del premier. Ma la linfa vitale è arrivata con la pandemia, quando la piazza è diventata l’aggregatore di innumerevoli sigle nate per contestare la gestione Covid, la corruzione, la mancanza di trasparenza, la leadership disconnessa, per citare alcuni degli slogan dell’appuntamento del sabato sera, che all’apice del successo ha radunato 20.000 persone.
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Testata: Stampa
Autore: Magrì Fabiana
Titolo: Netanyahu torna alla sbarra “Accuse false, sono innocente”
Tema: Israele
Il pubblico non ha potuto assistere al procedimento ma le telecamere del tribunale hanno trasmesso la seduta ai giornalisti nella stanza accanto. Le eccezioni procedurali per i Casi «2000» e «4000» sono state sviscerate dall’avvocato del premier Boaz Ben Tzur e dal legale dell’accusa Liat Ben Ari di fronte ai tre giudici Rivka Friedman-Feldman, Moshe Bar-Am e Oded Shaham. Il primo caso, il «2000», riguarda la trattativa, mai concretizzata, tra Netanyahu e l’editore del quotidiano Yedioth Ahronoth, Amon Mozes, per una copertura mediatica di favore. Nel «4000» sono all’esame i rapporti con i coniugi Elovitch, proprietari del sito di informazione Walla e coimputati di corruzione, sempre ai fini di un trattamento privilegiato. Non si è trattato invece il terzo caso, il «1000», in cui il primo ministro è accusato di aver accettato in modo illecito regali per un valore di 200 mila dollari dal magnate del cinema israe liano Arnon Milchan e dal milionario australiano James Packer. In aula, Netanyahu ha mantenuto l’aplomb. E’ rimasto seduto di fronte ai giudici per mezz’ora. Ha preso appunti mentre il suo legale illustrava la difesa. Quando è arrivato il suo turno, si è alzato in piedi e ha negato formalmente le accuse di corruzione, frode e abuso di potere, confermando la memoria dell’avvocato. Poi, con il permesso della corte, è andato via. In serata, a margine di una conferenza stampa con il premier greco, ha commentato: «Penso che tutti sappiano che i casi contro di me sono fabbricati. Adesso appare che non lo sono fino in fondo, mancano elementi, anche dal punto di vista della pubblica accusa». E ha azzardato una previsione sulla decisione dei giudici per il prosieguo delle udienze: «Non credo che si affretteranno a passare all’esame delle prove prima delle elezioni. Se così fosse, apparirebbe una rozza interferenza».
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Testata: Stampa
Autore: Attanasio Ghezzi Cecilia
Titolo: Pechino contro la giornalista: spia dell’Australia
Tema: Cina
Cheng Lei è accusata di spionaggio in Cina, e rischia dai 5 ai 10 anni di prigione. Dopo quasi sei mesi di detenzione, solo ieri sono state formalizzate le accuse per la conduttrice australiana di origini cinesi che dal 2013 è un volto simbolo del canale in lingua inglese della Cgtn, la televisione di Stato della Repubblica popolare. Non conosciamo altri dettagli, se non che Cheng non è mai stata veramente critica nei confronti di Pechino, anzi. Lavorava per la propaganda e conosceva le regole del gioco. Era, come recita la bio del suo profilo Twitter, un’«oratrice appassionata della storia cinese». C’è stata un’unica eccezione l’anno scorso quando, durante i giorni più bui di Wuhan, aveva preso in giro un quadro che sosteneva che i cittadini dovevano essere grati al Partito. «Se lo slogan è “servire il popolo”, la realtà è il suo contrario», aveva commentato sulla sua pagina Facebook. Cheng ha 45 anni e due figli di 9 e 11 anni che per il momento sono a Melbourne, affidati alla nonna. «Sappiamo solo che è detenuta da cinque mesi e mezzo, e che le sue condizioni stanno peggiorando», ha dichiarato all’emittente australiana Abc sua nipote Louisa Wen. Tutto è iniziato il 13 agosto scorso, quando Cheng è scomparsa e il suo profilo e le sue interviste sono state cancellate dal sito web della Cgtn. Poche settimane più tardi, altri due corrispondenti australiani hanno lasciato precipitosamente la Cina. Michael Smith dell’Australian Financial Review e Bill Birtles dell’Abc hanno reso noto cos’era successo solo una volta rientrati nel loro Paese.
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Testata: Repubblica
Autore: Santelli Filippo
Titolo: Clubhouse in Cina, una parentesi di libertà prima del blocco
Tema: Cina
Nelle ultime settimane i cinesi si erano tuffati in massa su Clubhouse, il social delle discussioni audio a inviti più in voga del momento, conversando con sorprendente libertà anche su temi di norma oscurati dalla censura, da Taiwan allo Xinjiang. Ma, come previsto, è durato poco: da ieri sera gli utenti del Dragone che cercano di aprire l’app sbattono su un messaggio di errore, impossibile connettersi al server. La Grande Muraglia Digitale con cui il regime circonda il web mandarino ha ricostruito il suo fronte invalicabile. Ed è quasi impossibile che Clubhouse, cacciata fuori come Facebook o Twitter, venga lasciata rientrare. Lanciata ad aprile del 2020, l’applicazione è stata disponibile per un mesetto sull’App Store cinese, prima di essere ritirata. Ma i cittadini del Dragone la potevano comunque scaricare attraverso uno Store straniero, a cui molti hanno accesso. La maggior parte degli utenti erano giovani, membri della comunità hi-tech , studenti, creativi o persone con esperienze all’estero. Protetti dal fatto che la app non tiene traccia delle conversazioni, in molti si sono lanciati a discutere temi sensibili. In una delle stanze cittadini della Cina continentale e di Taiwan, che Pechino considera una provincia da riunificare, si sono confrontati sui rapporti reciproci. In un’altra, musulmani della minoranza uigura e han, l’etnia dominante cinese, hanno discusso dei campi di rieducazione dello Xinjiang. Sempre in modo civile. Che non sarebbe durata lo immaginavano tutti. Non è un caso che il blocco sia arrivato prima delle vacanze del Capodanno lunare, quando i cinesi hanno tempo libero.
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Testata: Sole 24 Ore
Autore: Pelosi Gerardo
Titolo: Asse con gli Stati Uniti su G20, lotta al virus e Libia
Tema: multilateralismo
Sarà Mario Draghi, a presiedere il 21 maggio a Roma insieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, l’ Health Global Summit. Un vertice voluto dai Paesi europei in sintonia con l’Organizzazione mondiale della Sanità per concordare linee d’azione sulla ricerca per i vaccini, sulle cure per il Covid e sugli strumenti di protezione in assenza di regole comuni. Ma l’era del Draghi “politico” coincide anche con rivolgimenti epocali in Europa. L’uscita di scena della cancelliera tedesca Angela Merkel e la Francia di Emmanuel Macron che si prepara alle elezioni presidenziali del 2022 potrebbero concentrare proprio su Draghi le aspettative di chi già vede nell’ex presidente della Bce il nuovo punto di riferimento nella Ue insieme alla von der Leyen e alla presidente della Bce, Christine Lagarde. Mesi che verranno caratterizzati dalla costruzione di un nuovo rapporto di fiducia e cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico con l’entrata in funzione d ell’amministrazione Biden. Su dossier sensibili come quello che riguarda la Cina per il 5G, la Russia per i diritti umani e l’Iran sul dossier nucleare Europa e Stati Uniti si ritroveranno più vicine anche se con diverse sensibilità. «Non sarà un gioco a somma zero – dice un diplomatico di lungo corso – o con Washington o contro, non è che ogni contratto con la Cina potrà trasformarsi in un affronto agli Stati Uniti». Resta il fatto che l’era Trump è ormai archiviata e questo rimette al centro multilateralismo e cooperazione internazionale. L’Italia come il resto d’Europa si troverà a governare gli effetti delle nuove politiche americane.
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Testata: Repubblica
Autore: Flores D’Arcais Alberto
Titolo: L’America Latina al voto ll Covid spiana la strada al ritorno della sinistra
Tema: Sudamerica
Con il più alto tasso di mortalità al mondo a causa del Covid-19, l’America Latina sembra trovarsi all’inizio di un nuovo ciclo di cambiamenti politici e sociali e l’eterno pendolo, che ha scandito le vicende dell’immenso continente a sud del Rio Grande negli ultimi decenni, potrebbe pendere di nuovo a sinistra. Dopo gli Anni ’70 delle rivolte armate e dei “golpe” militari, dopo gli anni Ottanta del faticoso ritorno alla democrazia, dopo gli anni Novanta e i trionfi della sinistra nella sua duplice veste (quella populista-autoritaria e quella democratica-occidentale), l’America Latina ha vissuto più restaurazioni che riforme, spesso pilotate da un esasperato neo-liberismo, da una nuova povertà e da tensioni sociali di cul hanno approfittato anche le grandi organizzazioni criminali. Dopo il crollo dei governi di sinistra nell’ultimo decennio e l’inaspettato arrivo un anno fa del coronavirus, si dava per scontato che sia l’America Centrale che quella del Sud avrebbero avuto una crisi di tale portata da favorire nuove destre e (forse) nuovi golpe. Il 30% dei morti da pandemia a livello mondiale, in un’area in cui vive solo l’8% della popolazione del planeta Terra e la mancanza delle misure anti-crisi da miliardi di dollari attuate negli Stati Uniti e in Europa, hanno creato in pochi mesi un nuovo esercito di poveri di 50 milioni di persone (stima Oxfam) .che nei prossimi appuntamenti elettorali potranno avere un’importanza decisiva alle urne. Ed è sudi loro che le varie sinistre latino-americane puntano per una rivincita insperata fino a pochi mesi fa.
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IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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