La ricerca sia ben inserita e coordinata in un contesto comunitario. Perché non ha senso, oggi, considerarla soltanto un fenomeno nazionale. Senza questi elementi, il Paese rischia di non riuscire a risollevarsi». Il Cavaliere del Lavoro Diana Bracco è nella sala di Palazzo Visconti, uno dei luoghi più nobili in senso storico ed estetico di Milano. Una porta si apre sul teatrino dove il figlio del duca Giuseppe Visconti e di Carla Erba, un giovane Luchino Visconti ancora lontano dal trasferirsi a Parigi nel 1936 per diventare l’assistente alla regia e ai costumi al lean Renoir di Verso la vita e Una gita in campagna, metteva in scena le sue prime prove: quasi un secolo dopo questo teatrino, diventato una sala operativa di Italease, fu sottratto con gran parte dell’edificio al fallimento della banca nel 2008 dall’offerta di Diana Bracco, che abita proprio qui, in un’altra ala del medesimo palazzo, in una casa affacciata su uno dei giardini interni della Milano più nascosta e preziosa.
Nello strano tempo che costringe i commensali a tenersi a una notevole distanza, siamo seduti a una tavolata ampia, collocata per il nostro incontro conviviale in questa sala piena di luce, dove spiccano una vettura regale settecentesca del maestro della Reggia di Caserta Antonio De Dominicis, una grande piantina della storia d’Italia «dai tempi più remoti al 191» e due cataloghi su Giorgio Morandi e i fiori e Morandi e il suo tempo appoggiati su un tavolino: «Si trovano qui perché mi hanno offerto di acquistare alcune sue opere, ci devo pensare, amo molto l’arte, ma era il mio Roberto, mio marito, il vero conoscitore e l’autentico collezionista».
A tavola c’è spazio sia per le questioni pubbliche – il tema della ricerca, uno dei nodi critici del piano che lunedì e martedì Draghi illustrerà alla Camera e al Senato per poi mandarlo a Bruxelles entro venerdì – sia per il vissuto più personale, due elementi che mai come in questo momento storico si sovrappongono e si intrecciano nella vita degli italiani: «Ho desiderio di tornare a vivere appieno. Ho voglia di dare una grande festa. Quando tutto sarà finito, l’energia rimasta finora compressa uscirà in maniera travolgente. I1 connubio fra la spinta del volere tomare a vivere, a lavorare e a fare impresa e la magnitudo finanziaria espressa dal Recovery Plan può attivare un processo molto importante per il nostro Paese. Ho speranza e fiducia in Mario Draghi. Serve una svolta Occorre integrare sempre più una visione industriale e civile in cui la ricerca sia insieme causa ed effetto di una autentica eco-sostenibilità». In tavola arriva un aperitivo. Con una serie di stuzzichini viene servito un Gran Cuvée metodo tradizionale classico extra brut chiamato “Diana e Roberto”, dal nome suo e del marito, prodotto nella azienda agricola Il Botolo a Nizza Monferrato: «Roberto, che è mancato nel 2012, era originario del Monferrato. Comprò questa tenuta nel 2000. Almeno una volta al mese, prima di questa pandemia, andavo in Piemonte. Resta la casa di campagna per tutta la nostra famiglia il punto di riferimento per i miei nove nipoti. Abbiamo le vigne. Più otto gatti e tre cani. Naturalmente, quando i miei due cani di città, gli schnauzer nani Lucio e Zara, arrivano a Nizza Monferrato, fanno appunto i milanesi e iniziano simpaticamente a spadroneggiare».
«Mio padre Fulvio mi ha insegnato il coraggio, uno degli elementi comuni a tutti i protagonisti del Boom economico, e la dedizione per l’associazionismo, in particolare per Assolombarda e Confindustria», racconta con emozione. I Bracco – Fulvio e la moglie Anita, con le figlie Diana, Gemma e Adriana – sono un pezzo preciso dell’Italia del Boom economico. I1 pezzo non ridanciano e tutto notti estive in Versilia, ma riservato e “doverista”, benché né triste né penitenziale: un profilo preciso, soprattutto, di Milano. L’azienda si trasforma coniugando la manifattura, con la creazione del primo stabilimento nel 1947 a Lambrate, la rete commerciale e la Ricerca e Sviluppo che conta su Ernst Felder, lo scienziato svizzero scopritore di due molecole che hanno cambiato l’imaging diagnostico internazionale: lo iodamide e lo iopamidolo, brevettato nel 1974. La vera svolta è rappresentata, nel 1981, dal lancio commerciale dello iopamidolo, prima in Germania e poi in Italia: «Ha cambiato il mercato e la società. Ha intensificato la prevenzione e la cura precoce delle malattie. E, per la prima volta, gli esami fatti per rilevare le patologie non provocavano dolore al paziente», osserva. Una innovazione di rottura, da cui si è poi originato lo sviluppo che ha portato, oggi, il Gruppo Bracco a un fatturato annuo da 1,5 miliardi di euro, ottenuto per l’87% sui mercati stranieri e con un investimento in ReS pari al 13% dei ricavi.