Il settore del trasporto marittimo ha davanti a sé due date: il 2030 e il 2050, traguardi entro i quali l’Imo (il braccio blu dell’Onu) ha chiesto il taglio rispettivamente del 40% e del 70% (rispetto a12008) delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle navi. La rotta per arrivare a questo obiettivo non è ancora chiara, ogni tecnologia ha pregi e difetti, ma tra queste non dovrebbe essere trascurata l’energia nucleare – che in effetti, non produce CO2. Lo ha spiegato ieri il presidente e amministratore delegato del Rina, Ugo Salerno, intervenuto a chiusura dell’evento di presentazione del Progetto per il Mare di Confindustria, che ha rivelato qualche dettaglio in più sul progetto Earth 300 al quale sta partecipando il gruppo genovese, e che ha come obiettivo, tra le altre cose, lo sviluppo di un motore marino nucleare di ultima generazione.
A differenza della propulsione a batterie, del Gnl o dell’ammoniaca, «il nucleare non è una novità – spiega Salerno -: le rompighiaccio che navigano nel Mare Artico usano questa tecnologia da 30 anni. La novità arriva dal nucleare di ultima generazione, che in pratica ci permette di realizzare generatori più molto più piccoli: non più la grande centrale nucleare di terza generazione da 1,6 gigawatt, ma un impianto delle dimensioni di un grosso motore».
Quello che dovrebbe alimentare lo yacht “Earth 300”, commissionato dall’imprenditore Aaron Oliveira a Singapore, con cui il Rina sta lavorando da circa un anno insieme al gruppo informatico Ibm e al costruttore di sottomarini statunitense Triton – inizialmente al progetto era interessata anche la società Core Power, spin off di Terra Power, la società di Bill Gates per la produzione del nucleare pulito. Il nucleare di ultima generazione, spiega Salerno, sfrutta l’uranio 238, che a differenza del tradizionale uranio 235 permette una fissione in strutture molto più piccole, raffreddate con la tecnica dei sali fusi, e che lascia un residuo inferiore, riducendo il problema delle scorie.
La tecnologia dovrebbe essere disponibile entro i12030. Il modello di business possibile? «Un armatore fa costruire una propria nave. Questa nave ha una vita diciamo di 30 anni. Il costruttore vende il motore a propulsione nucleare all’armatore. Quando l’unità va in disarmo, il costruttore riprende indietro il motore, che può rivendere a un altro soggetto continuando quindi a vendere energia, perché la durata di vita di questi impianti può essere sino a 60 anni». L’attuale sperimentazione è condotta fuori dall’Italia e sinora è solo un progetto sulla carta, ma è evidente che, a valle del referendum del 1987 per l’Italia si aprirebbe un tema di tipo normativo, perché secondo fonti tecniche oggi una nave battente bandiera italiana non può montare un generatore nucleare, e la navigazione di questo tipo di unità non è permessa nelle acque del nostro Paese. Salerno però sottolinea come sia necessario superare qualche steccato:
«Per produrre un megawatt di energia servono 8.000 metri quadrati: se vogliamo fare il cold ironing con le rinnovabili per quattro navi da crociera ferme in porto, significherebbe occupare uno spazio largo un chilometro per mezzo chilometro, più l’impianto di accumulo. Insomma, è tutto giusto, e premesso che tutte le tecnologie per la decarbonizzazione sono un bene, bisogna però parlare con i piedi per terra». Un tema, quello della necessità di una filiera del combustibile a emissioni zero, sottolineato dallo stesso Emanuele Grimaldi, che a breve diventerà presidente dell’International Chamber of Shipping, la maggiore associazione armatoriale globale: «Quando parliamo per esempio di navi a idrogeno, o unità ad ammoniaca, dobbiamo considerare che per questo tipo di carburanti non esiste oggi una produzione verde: l’ammoniaca oggi usata come carburante agricolo, ma la sua produzione inquina il doppio rispetto a quella del carburante per le navi». —
Articolo pubblicato dal Il Secolo XIX il 14 Maggio 2022