Il sogno del neurologo fondatore di Valsola, Cavaliere del Lavoro Lorenzo Sassoli de Bianchi: «Un intero “sistema alimentare” con processi poco impattanti dal punto di vista ambientale». Se gli chiedessimo di scegliere una parola, una sola, per sintetizzare i valori che per trent’anni hanno accompagnato e favorito la crescita della sua Valsoia, portandola da un fatturato di 100mila euro a oltre 115 milioni, non ci sono dubbi che la parola sarebbe “responsabilità”.
Non è difficile immaginarlo perché Lorenzo Sassoli de Bianchi, fondatore e presidente dell’azienda leader nei prodotti vegetali, ripete questa parola ad ogni risposta della lunga intervista che gli facciamo. La declina in termini di business, di management, di comunicazione. La usa perfino per spiegare la quotazione in Borsa, che rende Valsoia un caso raro nel panorama agroalimentare italiano, ma anche un modello da seguire per le nostre piccole e medie imprese a matrice famigliare, spesso troppo piccole per competere sui mercati globali e incapaci di lasciare il timone a manager in grado di gestire scenari sempre più complessi.
«Pochissime aziende delle nostre dimensioni sono in Borsa – conferma Sassoli de Bianchi – e quando ci andai io, 15 anni fa, furono in molti a stupirsi. Non ne avevo alcun bisogno, in effetti, se non quello di responsabilizzare ulteriormente l’azienda. Avere degli azionisti significa essere ancora più trasparenti e spersonalizza l’impresa rispetto al fondatore, che deve però dialogare con un contesto manageriale, sociale e anche culturale più ampio».
Un passo indietro non usuale, ma fatto in nome di quella filosofia olivettiana che è sempre stata fonte di ispirazione per Sassoli de Bianchi. «Condivido l’idea di Adriano Olivetti che l’impresa non sia una mera macchina da profitto, ma debba avere un forte molo sociale. Chi ci lavora, a partire dall’azionista, dev’essere al suo servizio, e a sua volta l’azienda deve inserirsi nel contesto in cui opera come esempio di responsabilità». Un caso ante-litteram di “stakeholder capitalism”, modello che oggi contraddistingue le imprese attente a creare valore condiviso più che a massimizzare il profitto per gli azionisti. Un modo di concepire il business innovativo trent’anni fa, così come l’intuizione che ha portato alla fondazione di Valsoia. «Da neurologo sviluppai la convinzione che il cibo potesse non solo far bene alla salute, ma addirittura migliorarla» ricorda Sassoli de Bianchi. Questa l’idea. Serviva poi uno “strumento” che la declinasse.
«E lo strumento è stato la soia – ci spiega – perché ha due caratteristiche fondamentali: è ricca di proprietà salutistiche ed è duttile, direi quasi un “seme magico” con il quale si possono realizzare molti prodotti. La mia idea era proporre un intero “sistema alimentare”, dal latte allo yogurt, dal gelato ai sostitutivi della carne, realizzato con processi produttivi poco impattanti dal punto di vista ambientale». Va da sé che non sia stato facile all’inizio convincere il mercato.
«Ricordo lo stupore di certi responsabili della grande distribuzione che mi chiedevano chi mai avrebbe bevuto un latte di soia! Io rispondevo: voi mettetelo sugli scaffali, a portarvi i clienti ci penso io». Per farlo, Sassoli de Bianchi ha iniziato un percorso di comunicazione dei valori di marca che da trent’anni non si è mai interrotto. «Mi è stato chiaro da subito che avrei dovuto investire moltissimo in pubblicità-spiega -. Se oggi siamo riconosciuti per la nostra qualità e affidabilità è perché abbiamo sentito la responsabilità di educare il consumatore a un’alimentazione sana e sicura».
Un’attenzione e una passione per la comunicazione che non a caso ha portato Sassoli de Bianchi a ricoprire anche la carica di Presidente dell’Upa, l’associazione che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità. «La pandemia ci ha confermato che quando le persone vivono situazioni di incertezza, le marche possono rappresentare degli “agganci psicologici” importanti, perché la loro affidabilità dà sicurezza – spiega Sassoli de Bianchi -. Quindi anche la comunicazione oggi deve essere responsabile. E questo vuol dire non sfruttare situazioni drammatiche per promettere cose che non si possono mantenere, stare molto vicini alle persone, rispondere ai problemi concreti più che proporre campagne immaginifiche ed emozionali come in passato. Le imprese lo hanno capito e stiamo assistendo a un importante cambiamento di linguaggio e strumenti. Il digitale, per esempio, consente di comunicare in modo più diretto a target più mirati su terni concreti».
Un messaggio che Sassoli de Bianchi porta anche all’estero, dove l’attenzione dei consumatori a un’alimentazione sana e sicura sta ottenendo sempre più consensi. «Dagli Usa all’Europa, Valsoia sta crescendo anche perché propone in particolare un prodotto che per ora è unico al mondo: il gelato di soia – spiega Sassoli de Bianchi -. Arrivando dal Paese riconosciuto come miglior produttore al mondo di gelato artigianale, rappresenta un’abbinata vincente di bontà e salute». Merito anche di un team di manager che nel tempo ha saputo tradurre in business i valori forti che hanno orientato la crescita del gruppo. «Stiamo correndo sui mercati esteri, abbiamo mantenuto la leadership su quelli interni, abbiamo acquisito brand come Santa Rosa, Diete.tic e Loriana, creando un polo di prodotti italiani di qualità – ricorda Sassoli de Bianchi -. Tutto grazie a una fortissima delega da parte mia a manager professionali, trasparenti e responsabili. Queste sono le doti umane che ho cercato quando ho reclutato la prima linea dirigenziale in Valsoia. E adesso che non sono più io a reclutare le persone, altri seguono le mie orme: ho avviato quella che mi piace chiamare la “catena della felicità”, perché persone responsabili scelgono a loro volta persone simili e poco a poco tutta l’impresa diventa virtuosa».
Ma l’esempio di Sassoli de Bianchi non si limita all’ambito professionale. In azienda è uno stimolo culturale importante. Critico d’arte, presidente dell’Ica di Milano e per anni del Museo D’Arte Moderna di Bologna, saggista e romanziere: la sua vita insegna come la passione per il bello possa essere feconda anche in azienda. «Oggi imprenditori e manager devono attingere da molte fonti del sapere, perché prima di tutto noi siamo persone e più riusciamo ad essere completi più siamo in grado di generare valore – conclude Sassoli de Bianchi -. Abbiamo il dovere di occuparci anche di cultura, perché e un fertilizzante sociale e umano straordinario». La sua vita è lì a dimostrarlo.