*articolo pubblicato su Il Foglio il 28 aprile 2018
Per molti anni la Silicon Valley è stato il centro tecnologico mondiale, finché delle altre Valley sono spuntate in tutto il mondo, soprattutto in Asia. L’Italia non è da meno. Luca Tomassini, classe 1965, Cavaliere del Lavoro e Adjunct Professor in Luiss Business School è considerato uno dei padri della telefonia mobile italiana e uno degli imprenditori italiani che è stato capace di sviluppare un modello di impresa innovativo, sia in termini di tecnologia che di ambiente di lavoro. Con il suo Gruppo Vetrya, miglior posto di lavoro italiano secondo il Great Place to Work Institute, che si trova ad Orvieto, in Umbria, offre servizi digitali, piattaforme in cloud computing, mobile payment, intelligenza artificiale e analisi di big data, in quattro continenti, dà ai dipendenti un ambiente di lavoro dinamico (ci sono campi da tennis, calcetto, palestre, digital detox, cafè all’interno di un corporate campus da 15mila metri quadrati) ed è primo nel Welfare aziendale. Tomassini però rifiuta la retorica, molto diffusa in Italia, per cui per anni si è rincorso il mito della Valley e delle “start up” senza però creare un ambiente economico-fmanziario degno di un paragone con l’esempio americano. “Siamo un paese che ha fatto da sempre innovazione. A titolo di esempio l’mp3, il microchip, l’accelerometro 3D poi usato da Steve Jobs per gli smartphone Apple vengono dall’Italia. Riusciamo a innovare soprattutto sulla tecnologia, sulla ricerca, ma è l’ecosistema che abbiamo intorno il problema”, dice Tomassini al Foglio. “Qualcuno dovrebbe citare una start up che ha avuto grande successo in Italia. II `modello start up’ è stato pubblicizzato soprattutto dai convegnisti: diventiamo come gli Stati Uniti, facciamo come la Valley, anche in Italia si può. E’ stato un errore importante perché la potenza di Venture Capital, Private equity e Business Angel (investitori che intervengono negli stadi iniziali di creazione e lancio di un’impresa innovativa, ndr) che abbiamo qui non è paragonabile agli Stati Uniti e/o altri paesi al mondo. Parlare di start up senza aggiungere il particolare, affatto secondario, di `come mi finanzio’ è stato deleterio perché si sono regalati dei sogni ma sono rimasti tali. Modelli diversi di crescita, come la quotazione in Borsa, avrebbero sicuramente successo anche in pochissimo tempo. Non è facile fare questo lavoro nel nostro paese, e un ragazzo appena uscito dall’Università che vuole fare impresa capisce presto che il mondo non è un sogno. Noi siamo europei e dovremmo cominciare a ragionare con la testa da europei”, dice ravvedendo nella esterofilia un handicap ideologico.
Dopo una carriera in Telecom Italia e Tim, iniziata quando si chiamava Sip e poi privatizzata con Franco Bernabé alla guida, ha sviluppato il primo servizio al mondo di mobile tv (quando non esistevano gli smartphone, ma i camera phone ndr) e successivamente molti dei servizi per reti a larga banda (CuboVision, oggi TimVision è una sua creazione), nel 2010 Tomassini ha avviato Vetrya con l’idea che non doveva essere una start up ma una multinazionale che è stata finanziata inizialmente con capitali propri per creare delle piattaforme video-streaming quando ancora era pionieristico farlo(You Tube e Netflix sono cresciuti dopo). Vetrya è stata capace di auto-generare reddito poi reinvestito in ricerca e sviluppo. Solo dopo la fase di avvio è nata l’esigenza di crescere di dimensioni attraverso la quotazione in Borsa, per arrivare in mercati altrimenti irraggiungibili Brasile (Rio de Janeiro), Stati Uniti (NewYorkePalo Alto), Malaysia (Kuala Lumpur), Spagna (Madrid). “Stiamo investendo su intelligenza artificiale, machine learning, big data, internet delle cose. Internet è un modello che consente di replicare gli stessi servizi su diversi paesi. L’Europa in generale l’Italia in particolare – dice Tomassini – deve mettersi in condizione di attrarre investimenti dall’estero è cercare di utilizzare modelli di start up (se ancora vogliamo chiamarle cosi) e cercare di comunicarli al meglio per fare entrare capitali europei e soprattutto extra-europei. Le aziende non si fanno con i finanziamenti a fondo perduto della Comunità euro- pea, ma con la creazione di valore, con l’innovazione. La Borsa è un buon veicolo per finanziare lo sviluppo di una impresa”.
Dopotutto Tomassini è convinto ché l’Italia non sia incapace di produrre un modello nazionale per stimolare l’avanzamento tecnologico. “Siamo ancora all’inizio della grande trasformazione che avremo quando il computer sarà come un’estensione delle capacità umane. Mi riferisco al machine learning, l’apprendimento dell’intelligenza artificiale. Tutto quello che generiamo con i device digitali, i big data, sono a grande palestra su cui le macchine si allenano per costruire una visione del mondo. Sono il petrolio di oggi e del futuro”. Chiedere a Tomassini come immagina l’Italia tra venti o trent’anni è forse uno sforzo eccessivo anche per un visionario, com’è stato definito lui, perché è complesso riuscire a intravvedere come sarà, per esempio, la prossima legislatura che dura solo un lustro. “La immagino – dice Tomassini – sicuramente come un paese ancora più maturo che mantiene le sue tradizioni e cresce economicamente dove nasceranno professioni che sono oggi sconosciute e dove l’impiego di tecnologie sarà un paradigma importante. E quando dico tecnologia non intendo una tecnica particolare, ma un insieme di funzioni che consentiranno di ottimizzare i tempi, i costi e la qualità dei prodotti. Anche l’Italia, nella sua lentezza, è in grado di recepirlo. Sono un ottimista di natura e dico sempre che i pessimisti hanno quasi sempre ragione, ma gli ottimisti cambiano il mondo”.