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SIAMO ALLA SVOLTA?| Civiltà del Lavoro 3/2024

30.01.2025

Il supplemento Affari&Finanza di “la Repubblica” del 24 giugno 2024 chiosava, in un occhiello, che “autostrade, ferrovie, rete di telecomunicazioni, reti elettriche, aeroporti, cavi sottomarini, porti sono le dorsali su cui investire per la crescita”. È senz’altro una considerazione saggia, anche se scontata. Dal momento che il contenuto è, insieme con la transizione green, al centro di un talk-evento “L’Italia è un Paese per le grandi infrastrutture?”, promosso dallo stesso quotidiano, è sperabile che si entri sul tema del Ponte dello Stretto e si prescinda da pregiudizi e ideologie. Esso va considerato, per quello che è, se realizzato: una leva fondamentale di crescita, in grado di trascinare, in senso positivo, le dinamiche economiche e sociali del Paese, partendo dal Sud.

Queste considerazioni mi riportano indietro di qualche anno e riaffiora, nella memoria, l’esperienza che ho vissuto nel primo decennio di questo secolo, nella posizione di membro del Consiglio di amministrazione della Società del Ponte sullo Stretto, per quattro mandati consecutivi, che poi sono stati tutti, di quella esperienza (2004-2013).

Il presidente Berlusconi mi chiamava, simpaticamente, “l’uomo del Ponte”, in quanto nato a Reggio Calabria e laureato all’Università di Messina. Mi piace ricordare la qualità professionale di questo organismo, presieduto da Giuseppe Zamberletti, con Pietro Ciucci amministratore delegato.

La composizione era completata da presenze istituzionali – Ferrovie dello Stato, Anas, Ministero dell’Economia, Regione Sicilia e Regione Calabria, rappresentati ad alto livello – e da qualche membro indi pendente. Tra questi, oltre al sottoscritto, c’era Folco Quilici, apprezzato, tra l’altro, documentarista, ambientalista e attivo nel la divulgazione naturalistica fin dagli anni ‘50 del secolo scorso. Lo cito perché la sua presenza, sempre attiva, appassionata e a favore dell’idea, è già di per sé una risposta agli sfrenati ambientalisti che richiamano, in tutte le occasioni, a prescindere, i danni che il Ponte creerebbe.

In quegli anni venne svolto un lavoro complesso e responsabile che portò, in attuazione di una legge dello Stato, a varare le procedure per l’esproprio dei terreni, ad assumere ingegneri, (in certa misura arrivati dagli Stati Uniti al seguito della Società di engineering Parson, la prima al mondo nella realizzazione di ponti sospesi), ad inizia re la costruzione del raccordo di Cannitello, in Calabria, per consentire ai treni di “salire” sul ponte, nonché al tre iniziative complementari.

In una situazione delicata sotto il profilo economico per il Paese e in un clima sfavorevole verso il progetto, il governo Monti, nel 2013, ne decise l’affossamento, ergo la “caducazione” della società, procurando notevoli danni per le imprese coinvolte, per i contenziosi apertisi e per il forte nocumento alla credibilità del Paese, soprattutto se si considera che nell’opera erano impegnati, come legittimi vincitori di una gara, alcune tra le principali imprese di costruzione, a livello mondiale. Numerose ambasciate si mossero per protestare.

L’attuale governo, con la spinta del Ministro Salvini, ha riproposto il progetto. La storia, però, sembra ripetersi dal momento che si vedono rialzare barriere politiche, camuffate sotto varie sembianze, e si ripropongono tanti luoghi comuni, che vanno dall’area ad alto rischio sismico – anche se l’ultimo terremoto degno di nota, in zona, risale al 1908 – a venti e correnti marine impetuose e distruttive, all’altezza del ponte sul mare per il passaggio delle navi, al movimento della Sicilia che progressivamente si allontana dalla Calabria, alle infiltrazioni mafiose, al qualunquismo degli ambientalisti, alle opinioni di intellettuali che non sanno cosa significhi “visione”. A queste osservazioni, unitamente alle possibilità tecniche di realizzazione e alle capacità finanziarie, risponde l’Ad Pietro Ciucci in maniera esaustiva, nell’intervista che appare sulle pagine della presente pubblicazione.

Si arriverà questa volta alla conclusione? A distanza di più di dieci anni dalla precedente esperienza, la spinta del governo attuale, unita al coinvolgimento delle autorità politiche siciliane e calabresi, mi spingono ad essere leggermente fiducioso. Va in questo senso anche la recente decisione, espressa nel decreto legge “Infrastrutture”, di procedere all’approvazione del progetto esecutivo, “anche a fasi costruttive”, come viene fatto, nel mondo, per le grandi opere.

Alimento questa fiducia rileggendo un articolo che Francesco Merlo, una delle più autorevoli firme de “la Repubblica”, non certo favorevole al Ponte, scrisse il 1° ottobre 2003: “Fosse pure vero che non c’è convenienza economica, il Ponte sullo Stretto di Messina andrebbe comunque costruito, senza arroganza verso le ragioni dei ragionieri, ma con un filo di ironia, visto che nessuno ha fatto i conteggi alla Torre Eiffel o alla Statua della Libertà ma tutti capiscono che senza Torre e senza Statua a Parigi e a New York ci sentiremmo persi. Solo grazie ai simboli, infatti, uno spazio dove ci smarriamo diventa un luogo nel quale ci ritroviamo. Non è insomma per ragioneria che si fanno i conti, ma per ridurre le distanze. Il Ponte sconvolge l’arretratezza del sistema viario perché accelera e parifica. E anche con i bilanci in rosso, il Ponte sarebbe comunque ricchezza, risorse, opportunità straordinarie, nuovi posti di lavoro. Alla fine, insomma, questo Ponte sullo Stretto è l’opera più bella e avanzata che l’Italia possa realizza re, è un risarcimento a nostro Sud ed è – deve essere – un’operazione laico simbolica keynesiana, la fine di un handicap, la fusione di Messina e Reggio nella città dello Stretto come una nuova Costantinopoli. Perciò, il Ponte è di sinistra, anzi è quanto più di sinistra si possa fare (non dire, ma fare) oggi in Italia”.

Circa il rischio di infiltrazioni mafiose Merlo scrisse: “Certo, la mafia c’è e qualsiasi investimento corre il rischio della mafia. La verità è che la mafia si combatte con poli ia e magistratura, con la pazienza, l’eroismo ed il rischio di impresa che è fatto di innovazione e dunque anche di ponti. I testi di morale ci insegnano del resto che l’angoscia di essere nati può diventare forza criminale quando va verso la disoccupazione, o forza propositiva quando va verso il lavoro”.

Mi rifugio in questo articolo di Merlo per trovare conforto alle mie convinzioni che, oggi, sono arricchite da una valutazione geopolitica, sperando sempre in una “spoliticizzazione” del dibattito.

Dopo lo sconvolgimento creato dalla guerra Russo-Ucraina il mondo si dovrà riassestare e trovare nuovi equilibri. La ricostruzione di quei territori devastati richiederà notevoli sforzi di capitali e di risorse umane. Pertanto, per partecipare alla ricostruzione, per generosità e per convenienza, l’asse europeo si sposterà sempre più verso il Nord.

Un bilanciamento economico e politico si potrebbe trovare, dando peso e valore al Mediterraneo allargato, visto come perimetro che raccoglie l’area che va dalla linea di Gibilterra al Golfo di Aden, al Medio Oriente e alla sponda Nord del nostro mare. In questa situazione, il Ponte sullo Stretto, con l’interesse mondiale che genererà, sia per il forte avanzamento tecnologico che come attrazione turistica, nonché con il posizionamento del tassello mancante dello Scan–Med (corridoio scandinavo – mediterraneo che unisce Helsinki a Palermo), con la massa di capitali che muoverà, con l’occupazione che promuoverà, con le prospettive che stimolerà per l’economia meridionale e nazionale, in termini di incremento del Pil, potrà, da asset cruciale, sostenere veramente il Paese a posizionarsi degnamente e valida mente nel nuovo disegno europeo e nell’assestamento mondiale in corso.

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