Articolo pubblicato nella rivista n.3/2023 di Civiltà del Lavoro
Il sistema produttivo italiano ha dimostrato negli ultimi anni notevole “resistenza e reazione” alle crisi pandemica ed energetica, come evidenziano i positivi andamenti del PIL e dell’export. Questo è stato riconosciuto anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle considerazioni finali del 31 maggio scorso. Tuttavia, il nodo della produttività rimane un punto critico. A riguardo e sui nuovi modelli organizzativi nel mondo del lavoro, abbiamo intervistato il professor Raffaele Oriani, Dean della Luiss Business School.
Professore, per l’Italia il nodo della scarsa produttività resta. Come affrontarlo?
Negli ultimi vent’anni, l’Italia ha registrato un decremento annuo del 0,3% della produttività, contro una media OCSE del +0,3%. Nel primo decennio (2002-2011), questo è attribuibile a diversi fattori, come l’ingresso della Cina nel commercio mondiale, la creazione dell’area euro e la crisi finanziaria globale. Nel secondo decennio (2012-2021), la produttività è rimasta stagnante, invertendo la tendenza solo lo scorso anno con un +0,8%, ma ancora al di sotto della media OCSE di 0,5 punti percentuali.
Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato che la minore crescita della produttività in Italia è principalmente dovuta a una bassa efficienza dei processi produttivi e a una debolezza nell’accumulazione del capitale. Affrontare questa sfida richiede l’adozione di strategie innovative e un focus sulla formazione, migliorando l’efficienza del sistema giuridico e fiscale, promuovendo la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e attuando la e-governance, favorendo la libera concorrenza, la crescita dimensionale delle aziende e la scalabilità, oltre a investire nella qualità delle infrastrutture e nella competitività del capitale umano.
La produttività del capitale è risultata positiva, indicando l’efficienza con cui il capitale è utilizzato nei processi produttivi. Gli investimenti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono stati cruciali, consentendo l’introduzione di nuovi input nei processi produttivi e contribuendo alla crescita del valore aggiunto nei settori di beni e servizi di mercato.
Come migliorare la flessibilità del lavoro, specialmente con l’introduzione dello smart working durante la pandemia?
La flessibilità del lavoro è diventata un parametro significativo nella scelta di un’azienda da parte dei lavoratori. La tendenza verso forme di lavoro flessibile è stata accelerata dalla situazione degli ultimi anni e dall’innovazione digitale. Il contesto macroeconomico, sociale e politico ha ridefinito i paradigmi tradizionali del lavoro, portando molti a cercare un maggiore equilibrio tra vita professionale e privata, oltre a una maggiore libertà e autonomia.
La flessibilità può essere vantaggiosa sia per i dipendenti, consentendo una migliore conciliazione tra vita lavorativa e personale, sia per le aziende in termini di sostenibilità ambientale e riduzione dei costi. Tuttavia, la sua implementazione richiede una leadership efficace e lo sviluppo di una cultura aziendale che supporti il lavoro ibrido, equilibrando la vita professionale e privata mentre promuove la produttività.
Sebbene lo smart working sia stato introdotto durante la pandemia, sembra stentare a inserirsi stabilmente nell’organizzazione del lavoro e nei contratti. Per migliorare la flessibilità del lavoro, è necessario favorire un ambiente che valorizzi il capitale umano, mettendo le persone al centro e consentendo loro di esprimere appieno il proprio potenziale.
Qual è il ruolo della formazione continua nel miglioramento delle competenze lavorative e nella risposta alle sfide dell’innovazione e dell’evoluzione dei mercati?
La formazione continua, o life-long learning, è essenziale nel contesto delle competenze occupazionali. Il rapporto Skills Outlook 2021 dell’OCSE sottolinea l’importanza di “imparare a imparare” per abilitare gli individui ad affrontare i cambiamenti socio-economici, lavorativi, climatici e demografici. La digitalizzazione e l’automazione rendono necessaria una formazione continua per adattarsi ai cambiamenti tecnologici e mantenere, aggiornare ed espandere le competenze.
Le politiche e le strategie di formazione continua dovrebbero mettere al centro il discente, diversificando contenuti e modalità di apprendimento. È importante responsabilizzare gli individui nel raggiungimento dei propri obiettivi, fornendo informazioni dettagliate sulla professione, sulle competenze necessarie e sulle aspettative retributive e di carriera.
Il coinvolgimento dei datori di lavoro è cruciale, e le politiche dovrebbero fornire strumenti di supporto alle aziende attraverso formule di finanziamento che incentivino gli investimenti nell’apprendimento, anche per le piccole imprese con limitate risorse finanziarie.
Quali sono le iniziative della Luiss Business School per contribuire al sistema produttivo?
La Luiss Business School si distingue per il suo costante contatto con il mondo aziendale, l’approccio “boutique” e l’attenzione allo sviluppo della leadership a 360°. L’offerta formativa comprende programmi trasversali come i Master in Business Administration (MBA), programmi specialistici annuali per neolaureati e manager esperti, corsi executive su contenuti specifici e di breve durata, nonché programmi personalizzati per le aziende.
La scuola sfrutta le tecnologie digitali e innova i metodi didattici, consentendo una flessibilità nell’apprendimento e focalizzandosi sull’esperienza interattiva e sul problem solving. L’obiettivo è fornire agli studenti strumenti in grado di affrontare le sfide specifiche di settore senza trascurare una visione più ampia delle tendenze globali e del contesto economico e sociale.
Quali suggerimenti darebbe alle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, per migliorare organizzazione e performance?
Per migliorare organizzazione e performance, le imprese, in particolare le PMI, dovrebbero investire nella formazione del capitale umano e nell’innovazione. La successo e la resilienza nel medio-lungo termine richiedono una pianificazione strutturata e una forza lavoro in grado di integrare le competenze necessarie per gestire il nuovo normale.
Il ruolo delle PMI è cruciale per il territorio, le infrastrutture e l’accesso al capitale. Nonostante la pandemia abbia colpito molte di esse, la propensione al cambiamento è risultata elevata, con il 90% delle aziende dichiarando azioni immediate per affrontare le difficoltà. La dimensione aziendale può rappresentare una sfida in termini di risorse e accesso al credito, ma non ostacola la propensione all’innovazione.
L’adozione di tecnologie 4.0 e pratiche sostenibili ha evidenziato la complementarità tra crescita del capitale umano e politiche d’investimento. Il coinvolgimento delle imprese nella formazione continua è cresciuto, con il 75,2% delle imprese che realizzerà almeno un’attività di formazione entro il 2024, salendo al 79,3% per le imprese guidate da giovani.