“Sento sempre più forte un vento di fondamentalismo ambientalista. Il Green Deal voluto dall’Europa rappresenta una grande sfida, un’opportunità di crescita ed è fondamentale per la salvezza del Pianeta. Ma c’è il rischio che si trasformi in un black deal se non si interviene in tempo. Le forze decliniste puntano a quella che chiamano una decrescita felice. Che di felice non ha nulla…».
Il Cavaliere del Lavoro Antonio D’Amato, ex presidente della Confindustria, alla guida del gruppo Seda, leader europeo degli imballaggi e del packaging alimentare, è abituato a parlare in modo diretto.
«In Europa si stanno confrontando due visioni: quella fondamentalista e quella che vuole rendere possibile la sostenibilità del Pianeta, ma senza perdere di vista il fatto che l’economia europea deve restare forte, competitiva, molto attenta anche alla tenuta sociale, se vuole davvero contribuire a migliorare le sorti del Pianeta»
Ma la svolta del Green deal e il Recovery plan dovrebbero servire proprio a questa transizione.
«Vero. Ma penso che ci sia stata un’adesione acritica al Green deal, senza percepire che dietro obiettivi assolutamente condivisibili si nascondevano forti derive ideoloL’Europa L’economia europea deve restare forte, competitiva, attenta alla tenuta sociale, se vuole contribuire a migliorare le sorti del Pianeta
giche. Tutti i Paesi hanno teso la mano per ottenere i fondi del Recovery, ma questa spinta che definirei talebana sta mettendo a rischio intere filiere. I cantieri legislativi oggi aperti in Europa su agroalimentare, packaging, biodiversità ed altri ancora sono tutti ispirati dallo stesso paradigma: cresce la popolazione mondiale, cresce il Pil pro-capite, crescono i consumi e, quindi, per salvare il Pianeta occorre ridurre consumi e cambiare stile di vita. Dietro intravedo interventi di una grande pericolosità, non solo per l’industria ma per lo stesso modello di Europa che vogliamo. Un’Europa che sappia essere leader nell’economia circolare, non che instauri un sistema di proibizioni che hanno conseguenze del tutto diverse da quelle che si annunciano…»
Da luglio entrerà in vigore la nuova direttiva sulla plastica, sulla bioplastica e anche sulla carta..
«E la prima contraddizione. La Single Use Plastic Directive è stata approvata per eliminare i dieci prodotti di plastica più comunemente trovati nei mari e sulle spiagge. Obiettivo, questo, assolutamente condivisibile. Le linee guida, che sono una soft law non vincolante, hanno poi esteso arbitrariamente il perimetro originario della Direttiva includendo il packaging monouso, di qualunI bicchieri di carta? Hanno 7-8 vite. Calcolare bene l’impatto ambientale del pluriuso, inquina di più
que materiale esso sia costituito, anche se non ritrovato nei mari e anche se perfettamente sostenibile. I prodotti in carta, ad esempio, non sono normalmente rinvenuti in ambienti marini dal momento che vengono riciclati per oltre l’86% e sono riutilizzati fino a 7-8 volte. Un bicchiere di carta diventa un fazzoletto, o un cartone ondulato, o tante altre cose. Affermare in maniera apodittica che il pluriuso è comunque e sempre meglio del monouso può avere un impatto ambientale disastroso…»
Perché?
«La scienza ha dimostrato che le stoviglie riutilizzabili emettono CO2 in misura 3-4 volte superiori al monouso in carta. Fanno consumare il triplo dell’acqua potabile, immettono in ambiente detersivi e microplastiche, ed emettono particolato in misura 4 volte superiore. E non è così che si raggiungeranno gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2o5o»
Sta dicendo che bisognerebbe usare meno slogan e più numeri?
«Guardiamo i numeri e le evidenze scientifiche, non le ideologie. Avere un Pianeta sostenibile è indispensabile, ma lo si ottiene con gli investimenti, con l’innovazione. Pensi al packaging in carta che realizziamo noi: nasce da fibre che provengono da foreste sostenibili, per un albero che si taglia se ne piantano da tre a cinque. L’86-87% del packaging in carta è riciclato, pensi al lavoro del Comieco. Sono stati già raggiunti oggi gli obiettivi di riciclo dei prodotti di carta che l’Europa aveva fissato per il 203o. In questo settore l’Italia è leader»
Ma l’Europa mica sarà diventata fondamentalista?
«II virus si sta insinuando ma lo ripeto: dobbiamo avere un’Europa competitiva, forte e sostenibile. Serve uno scatto in avanti ma non con la proibizione e la perdita di posti di lavoro. Dopo Cina e Usa il terzo contributore all’emissione di CO2 a livello globale è rappresentato dalla produzione alimentare. Sa che un terzo degli alimenti viene sprecato? E qui che l’industria del packaging è fondamentale, per la conservazione degli alimenti e renderli disponibili anche dove non si producono, riducendone lo spreco. Il packaging monouso è un ingranaggio fondamentale di un’economia che in Europa vale 33o miliardi e occupa 17 milioni di persone. L’industria italiana è tra i principali fornitori in Europa con una quota che vale il 35-40%. Vogliamo distruggerla?
Il governo si sta impegnando molto per evitare questa deriva…
«Il governo Draghi, con la sua autorevolezza e con interventi importanti dei ministri Cingolani, Di Maio e Giorgetti, ha svolto e dovrà svolgere un ruolo molto importante per correggere le distorsioni apportate alla direttiva da linee guida confuse e contraddittorie e che genereranno un’enorme conflittualità. L’Europa ha già pagato un conto molto alto al mito della deindustrializzazione salvo poi lasciar libere le imprese di fare dumping ambientale, sociale e valutario a un metro dai confini europei. Rischiamo di fare oggi lo stesso errore. La difesa dell’ambiente deve essere una priorità globale e i dumping ambientali non possono essere consentiti. Non possiamo permetterci un’Europa debole da un punto di vista economico e precaria da un punto di vista sociale. I sovranismi, i nazionalismi, l’intolleranza trovano terreno fertile sulla fragilità economica».