«Ci sono Paesi in Europa che sono meno virtuosi nelle tecnologie del riciclo in cui l’Italia è all’avanguardia. Ma invece di far proprio il modello italiano stanno cercando di imporre, anche con un pressing serrato sulla Commissione Ue, standard che penalizzano l’ambiente e ci fanno fare passi indietro nella transizione sostenibile». Antonio D’Amato, un passato come presidente di Confindustria e presidente onorario della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, e presidente e amministratore delegato di Seda international packaging group, leader europeo nel settore degli imballaggi e del packaging alimentare. Questo gioiello del made in Italy ha sviluppato una tecnologia all’avanguardia per contenitori riciclabili e prodotti con carta derivata da foreste sostenibill e certificate. Eppure, per il solo fatto che tali contenitori sono rivestiti di un sottilissimo velo di plastica, sono messi dall’Ue sullo stesso piano dei prodotti totalmente di plastica derivati dal petrolio.
Come mai la direttiva Sup tratta male anche la plastica «buona»? «Dietro la direttiva contro la plastica monouso c’è anche un’impostazione ideologica. Numerose Ong che sostengono la decrescita felice hanno trovato una sponda in parte della Commissione. Tali organizzazioni invadono il Web con fake news e affermazioni apodittiche che non hanno base scientifica».
Come giudica il provvedimento dell’Ue?
«La Sup ha l’obiettivo assolutamente condivisibile di ridurre la presenza di plastica nei mari, ma è stata approvata in modo frettoloso alla fine della legislatura precedente, demandando a una fase successiva la definizione delle linee guida interpretative. Che però non sono vincolanti: non devono e non possono integrare elementi sostanziali di una direttiva. Ma in questo caso non è stato cosi, e la “single use plastic directive” è stata trasformata in una “single use directive”, qualunque sia il materiale utilizzato. Il dibattito dura da oltre un anno su un provvedimento che risponde a una logica demagogica».
Quale?
«C’è una posizione ideologica che promuove le stoviglie multiuso e condanna come nemiche dell’ambiente quelle monouso, anche se prodotte con materiali organici, sostenibili e riciclabili. Questa tesi è figlia dell’ideologia della decrescita felice che ha alla base la riduzione dei consumi e il cambiamento radicale delle abitudini di vita. Una tesi declinista che si scontra con chi sostiene l’importanza dello sviluppo economico come condizione per creare occupazione, pace sociale e progresso scientifico per la tutela della salute e dell’ambiente».
Il pensiero declinista ha quindi influenzato la Commissione?
«Certamente. I suoi maggiori sostenitori sono i Paesi del Nord Europa che, non avendo sviluppato una tecnologia all’avanguardia sul riciclaggio, sostengono il multiuso. La Commissione Ue non ha riconosciuto i progressi compiuti dall’Italia nella tecnologia della sostenibilità. Il nostro Paese già oggi ricicla fino all’86% del packaging in carta, obbiettivo che la stessa Europa aveva fissato per il 2030».
Perché il multiuso fa male all’ambiente?
«La risposta viene dallo studio condotto dall’istituto danese Ramboll: gli imballaggi monouso a base di carta per alimenti e bevande, utilizzati nei fast food e nella ristorazione veloce europea, hanno un impatto ambientale nettamente migliore rispetto alle stoviglie riutilizzabili. Queste, infatti, emettono CO2 in misura superiore di 3 volte rispetto al packaging in carta usa e ricicla. Consumano 3 volte più acqua potabile ed emettono particolato fine in misura 2,5 volte superiore. Inoltre, più aumenta il tasso di riciclo del packaging monouso in carta e più l’ambiente ne ha benefici significativi. Un esempio su tutti: con il i00%di tasso di riciclo dei contenitori in carta, l’impatto negativo sul consumo di acqua potabile per le stoviglie riutilizzabili passa da 3 a 311 volte in più».
Quindi riutilizzare le stoviglie di plastica è dannoso?
«Se l’obiettivo è decarbonizzare l’Europa entro il 2035 e il risparmio dell’acqua è la priorità mondiale, spingere verso il multiuso é uno sbaglio colossale».
Allora la direttiva Ue contraddice questi obiettivi.
«Assolutamente sì. Il governo, consapevole delle evidenze scientifiche e dei punti di forza italiani nell’economia circolare, ha giocato un ruolo importante nel promuovere una visione più responsabile e realistica».
Cosa accadrebbe se le linee interpretative della direttiva non dovessero recepire le richieste dell’Italia?
«Una parte importante dell’industria europea, soprattutto italiana, verrebbe danneggiata. Verrebbe gravemente colpito il mondo della ristorazione, la filiera agroalimentare a esso collegata, oltre che naturalmente l’industria della carta e del packaging. Inoltre sarebbe in piena contraddizione con gli obiettivi europei di sostenibilità. Un dato su tutti. La carta dei nostri prodotti viene da foreste sostenibili e certificate che contribuiscono in maniera determinante alla riforestazione attiva del nostro Continente. Per ogni albero tagliato se ne piantano dai 5. Queste foreste sono un vantaggio insostituibile per il pianeta. Solo in Europa ogni dieci anni si addiziona una superficie netta di foreste pari all’estensione della Svizzera, contribuendo ad assorbire il 20% di Coa prodotta a livello europeo. Il pianeta non ha bisogno né di demagogie, né di falsi miti, ma di scienza e responsabilità».