Nel nome del padre Francesco, Cavaliere del Lavoro, e del nonno Aristide, indimenticabile capostipite del distretto industriale territoriale, per continuare da Fabriano ad andare alla conquista del mercato mondiale del comfort termico tra caldaie, impianti di riscaldamento e condizionatori. La favola della famiglia Merloni smentisce il vecchio adagio del nodo critico della terza generazione e anzi il capitano industriale Paolo, 53 anni, Cavaliere del Lavoro, rafforza l’impressionante processo di crescita del colosso Ariston Thermo che nel 2020 ha portato ad un fatturato record di 1,7 miliardi di euro, mantenendo tutte le quote societarie sostanzialmente in house, senza dover ricorrere all’ingresso in Borsa a cui l’azienda continua a non pensare.
Paolo Merloni, quali progetti avete per la storica fabbrica della frazione fabrianese di Albacina, riacquistata nel 2018 dalla Whirlpool, dove Aristide ha cominciato l’epopea industriale di famiglia?
«Il futuro della nostra azienda avrà come perno l’Italia e l’Europa. Concentrerà innovazione, tecnologia, ricerca, parte di un piano che prevede circa 300 milioni di investimenti fino al 2023, al ritmo di un centinaio l’anno».
E Albacina?
«Albacina e le Marche saranno uno dei centri industriali e di sviluppo più importanti, qui si studierà la connettività per fare dialogare caldaie e sistemi di riscaldamento con l’utente finale. Ma stiamo già andando oltre. Bisogna proiettarsi nel domani. Pensiamo anche all’idrogeno verde per la combustione: siamo parte di una catena industriale che nella penisola punta sulle rinnovabili. II nostro obiettivo era di portare all’80% la nostra produzione ad altissima efficienza energetica e alimentata da rinnovabili entro il prossimo anno. Ormai ci siamo arrivati».
La sede centrale degli uffici continuerà a rimanere nella storica palazzina di viale Aristide Merloni? E ancora possibile, cioè, mantenere la testa nella piccola Fabriano e continuare a vincere sfide planetarie?
«Già a partire dagli anni Settanta e poi con maggior forza a partire dagli anni Novanta, Ariston ha perseguito una costante espansione estera. Forti della qualità dei nostri prodotti e delle nostre soluzioni, si è aperto a mercati dove esportare questa eccellenza raggiungendo significative quote di mercato. L’Italia è rimasta centrale in questa strategia, poiché i mercati esteri sono stati per noi sbocco nelle vendite e non mezzi di delocalizzazione produttiva o di ricerca e sviluppo. I risultati di questa strategia sono evidenti: l’azienda concentra in Italia circa il 40% della produzione a valore aggiunto, sebbene le vendite in suolo nazionale siano circa 1’11%. Ariston Thermo è, quindi, un’impresa che ha come mercato domestico e di riferimento l’Europa intera, ma dove l’Italia e, in particolare Fabriano, svolgono un ruolo centrale in questa strategia».
Ci sono in vista nuove possibili acquisizioni di altre aziende per rendere ancor più ampia e forte la vostra holding? «Siamo stati e vorremmo essere parte attiva nei consolidamento del settore. È un ruolo che abbiamo sempre svolto attraverso le acquisizioni. L’ultima, quella della startup tedesca KesseIhe1d, l’abbiamo chiusa all’inizio dello scorso anno in pieno lockdown, con un negoziato svolto tutto via video, causa restrizioni per la pandemia. Abbiamo comprato oltre 15 aziende negli ultimi dieci anni. È inevitabile investire e crescere se si vuole pensare di esistere ancora nei prossimi dieci anni».