“Alo? La siora Amado? La mojér del sior Jorge Amado? Me chiamo Giannola Nonino, distillo snapa e telefono dall’Italia…”. Non ci crederete, ma il primo contatto col celeberrimo scrittore di Bahia avvenne esattamente così. Gli amici sapienti devoti a lei, al marito, alle figlie e alla distilleria avevano buttato lì, come l’uomo giusto cui dare il primo premio letterario internazionale nato nella scia del friulano «Risit d’aur» (tralcio d’oro) intitolato alla civiltà contadina, l’autore di Gabriella, garofano e cannella, Teresa Batista stanca di guerra e altri romanzi del realismo magico brasileiro sospirando solo «peccato che non verrà mai fino a Percoto».
Davanti alle insistenze di quella che Gianni Brera chiamava Nostra Signora della Grappa («Sento che se vivessimo nel Settecento o ancora nell’Ottocento le avrei dedicato odi e sonettesse con enfasi inconcussa») gli amici della Garzanti però si arresero: ecco il telefono. Detto fatto, racconta la santa patrona del monovitigno, pensò: «In che lingua le parlo? Mi dico: il brasiliano dev’essere, a orecchio, una via di mezzo tra lo spagnolo e il veneto. Mi decido. Chiamo, risponde una donna e attacco come dicevo: “Alo? Ia siora Amado? La mojér del sior Jorge?”.
E vado avanti a parlar finché domando: la me capisse? La fa: “Son meza veneta .anca mi”. Miracolo miracoloso! E mi spiega che si chiama Zelia Gattai, che i suoi erano da Pieve di Cadore e che si, sarebbe venuta a Percoto sicuramente». Da allora, ridono Cristina, Antonella e Elisabetta, le figlie che ormai hanno preso in mano la distilleria, «la mamma è arrivata con la sua faccia tosta a parlare anche in bulgaro ai bulgari: se vuole una cosa si fa capire dappertutto». Più che una faccia di tolla, rivendica lei allegra, «ho una faccia “melonaria”, tutta tonda: me lo diceva ridendo Benito, mio marito, quando ci siamo conosciuti giù al ruscello, dove ai tempi ci ritrovavamo da ragazzi».
Faccia solare. Aperta. Capace di conquistare tutti. Dalla bracciante latino-americana al filosofo ebraico mitteleuropeo. A partire da quando, nel ’77, decise col Benito («gran persona, una vita a baruffare ma sempre insieme sulle cose che contano: la grappa e la famiglia, che po’ i xe ‘a stessa roba», ammicca) di dar vita appunto al premio letterario suggerito dal critico enogastronomico Luigi Veronelli, autore anni prima di una rubrica su «Panorama» che aveva esaltato («Picolit, Picolit, che snappa!») la prima grappa di monovitigno: «Ho chiuso gli occhi e ho lasciato scivolare qualche goccia nella bocca. Allora l’ho scaldata, ancora a lungo, tra lingua e palato: la grappa si è sparsa e mi ha invaso». Ia prima giuria si riunì all’osteria di Percoto.
Con Veronelli c’erano Gianni Brera, il teologo, poeta e promotore di una svolta civile e religiosa Padre David Maria Turoldo, il critico cinematografico Morando Morandini, lo storico capo della Cultura del «Corriere» Giulio Nascimbeni (che mise a punto lo statuto) e il presidente scelto dal gruppetto, Mario Soldati. Uno che Giannola degli Spiriti (copyright Gianni Mura) aveva visto solo in tivù ma aveva presto domato a dispetto delle prime («Chi è? Come? Ma dov’è ‘sta Percoto? Ma cosa vengo a fare?») reazioni brusche. Non è tipo, lei, da darsi arie salottiere: «Mia nonna era maestra, mia mamma maestra e mi son piena de bona volontà, ma no so gnente. Non leggo niente». Figuratevi se poteva conoscere fini letterati svedesi o medievisti estoni.
Articolo pubblicato il 7 Aprile 2022 dal Corriere della Sera