Se è vero che siamo nel mezzo della 4° rivoluzione industriale, rimane da chiedersi quali siano i profili professionali più adatti a gestirla. Quali sono i lavoratori e i professionisti capaci di creare ricchezza da “reti sempre più estese di connessioni intelligenti”?
Secondo il Censis sette imprese su dieci in fase guardano, in fase di assunzione, più alle competenze digitali che al titolo di studio. Il campione riguarda le piccole e medie imprese presenti su Facebook, ma che sia solo una piccola spia di un trend che abbraccia tutti i settori produttivi, indipendentemente dalla taglia dell’azienda, sia essa una bottega o una multinazionale, è sempre più evidente. “E non è una questione di competitività, è una questione di sopravvivenza” sentenzia Marco Taisch, docente di Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano e tra i maggiori esperti europei di trasformazione dei processi produttivi (vedi intervista in pagina, ndr).
Come spesso accade i segnali di cambiamento arrivano dagli Stati Uniti, dove aziende e Amministrazione federale (il “Perkins Act” stanzia 1miliardo di dollari per iniziative di formazione professionale) stanno correndo ai ripari per evitare il terribile paradosso rappresentato da una popolazione di disoccupati a fronte di una domanda di lavoro crescente. Perché se è vero che la robotizzazione e l’automazione scalzano certe tipologie di lavori, è vero anche che ne creano altri. A patto di saperne decodificare linguaggi e potenzialità. Un recente studio di Deloitte, per esempio, afferma che da oggi al 2025 l’industria manifatturiera americana richiederà 3,5 milioni di persone con specifiche capacità tecnologiche digitali. Tuttavia solo 1,5 milioni di americani avrà le giuste competenze, i restanti due milioni di lavoratori dovranno essere reperiti altrove per incapacità delle High School e dei College di fornire una preparazione professionale adatta. Un sistema formativo incapace di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro e, si può dire, del mondo tout court, è un sistema formativo destinato a morire. E non da solo, perché insieme a esso deperisce necessariamente tutto il sistema sociale. Le grandi imprese ne sono consapevoli e per evitare indesiderati requiem hanno cominciato a darsi da fare. Nel 2011, per esempio, Ibm ha avviato insieme ad altre 300 realtà industriali un programma che prevede il finanziamento di sessanta scuole professionali in sei stati con percorsi professionali di sei anni.
Come negli States sono stati avviati progetti che vedono insieme atenei, scuole, aziende e pubblica amministrazione in Gran Bretagna, in Giappone, in Australia e in Europa. Nel vecchio continente sono quindici, in particolare, i programmi per Industria 4.0: in Germania, Francia, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Spagna, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo, Svezia e Italia. Per dirla con il programma tedesco, che nel 2011 ha fatto da apripista, con Industria 4.0 si tratta di “adeguare il mondo della formazione e della produzione alla 4° Rivoluzione Industriale, un nuovo stadio di organizzazione e controllo dell‘intera catena del valore per tutto il ciclo vitale dei prodotti. Punto chiave dell‘industria 4.0 è la rete di connessioni intelligenti e in tempo reale, a livello orizzontale e verticale, capace di collegare persone, macchine, oggetti e sistemi Itc per una gestione dinamica di sistemi complessi”.
Il lavoro nell’epoca dell’“Infosfera”
Se è vero che siamo nel mezzo della 4° rivoluzione industriale, rimane da chiedersi quali siano i profili professionali più adatti a gestirla. Quali sono i lavoratori e i professionisti capaci di creare ricchezza da “reti sempre più estese di connessioni intelligenti”? Chi sarà chiamato a riconfigurare il mondo del lavoro? Data analyst, designer engineer, cyber security specialist, innovation manager, big data scientist, robotics & automation manager, cognitive computing specialist, business intelligent analyst, digital learning specialist, l’elenco delle figure professionali del mondo interconnesso pare uscito da un manuale di informatica e, a pensarci bene, suonerebbe strano il contrario. Viviamo nell’“Infosfera”, spiega Luciano Floridi, ordinario di Filosofia dell’Informazione all’Università di Oxford e direttore dell’Ethics Group dell’Alan Turing Institute, l’istituto britannico che si occupa di Data Science. “Il mondo è informazione, tutto ciò che è reale è informazionale, tutto ciò che è informazionale è reale”. Se si arriva a parafrasare il celebre passaggio della “Fenomenologia dello Spirito” di Hegel le ipotesi sono due: o chi lo fa si prende un po’ troppo sul serio o la situazione è davvero critica. Luciano Floridi non è il tipo di intellettuale incline alla militanza teoretica. Più sobriamente preferisce far parlare i fatti.
Quali sono i fatti? Qualche esempio: oggi c’è in media più potere computazionale in un automobile di quanto ne disponesse la Nasa nel 1969 per inviare gli astronauti sulla Luna; nel 2015 i dispositivi connessi a internet erano 25 miliardi e si calcola che nel 2020 raddoppieranno; assistiamo a una crescita esponenziale dell’Internet of Things, tanto che la comunicazione tra esseri umani già rappresenta una piccola parte di un fenomeno che avviene in misura crescente tra soggetti non umani; negli ultimi 5 anni sono stati prodotti più dati di quanti ne abbia accumulati l’umanità in tutta la sua storia; per una fetta crescente della popolazione dei paesi avanzati non ha più senso distinguere tra vita trascorsa online e offline, gli uomini vivono sempre più reciprocamente connessi in un unico ambiente fatto di dati condivisi con altri agenti informazionali, umani o artificiali che siano non fa differenza purché vi sia un’intelligenza in grado di processare quei dati. Pensate a “Siri”, al fatto che digitiamo un numero semplicemente pronunciandolo: Siri “ci capisce”. Ecco, quest’esperienza banale testimonia che noi e il telefono condividiamo lo stesso ambiente perché siamo fatti della stessa pasta: informazione.
“Meno cose, più servizi” sintetizza il filosofo di Oxford. “Nel mondo della produzione si sta apprezzando un notevole cambiamento: già da un po’ la Rolls Royce fa il suo profitto non sulla vendita dei motori ma dal servizio che i motori richiedono. Ogni oggetto prodotto, anche quello tradizionalmente più stupido come un qualsiasi oggetto meccanico, assorbe oggi una quantità di intelligenza crescente, è questo il suo valore aggiunto. Il baricentro dell’industria e del lavoro si sposta così verso il design, ovvero verso l’arte di organizzare questa enorme mole di cose intelligenti in modo da valorizzarne funzionalità e la capacità di parlare tra loro, di capirsi. Chi troverà il modo di far parlare meglio tra loro tutte le cose che verranno fuori dalle fabbriche conquisterà il mondo, per dir così”.
Competence Center: la politica industriale punta sulla conoscenza
Conquistare il mondo è un vaste programme, organizzarsi per non subirne il cambiamento dovrebbe essere più alla portata. I Competence Center servono a questo. Perno del piano di politica industriale voluto dall’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, i Competence Center dovranno diventare i poli di eccellenza intorno ai quali sviluppare l’Industria 4.0 italiana. Sono tre le aree nelle quali sono chiamati a operare: orientamento, alta formazione e ricerca applicata. L’orientamento è rivolto alle imprese, in particolare alle pmi “attraverso la predisposizione di una serie di strumenti volti a supportare le imprese nel valutare il loro livello di maturità digitale e tecnologica”. Per alta formazione si intende quel che gli anglosassoni chiamano “teaching factory”, la “formazione alle imprese, al fine di promuovere e diffondere le competenze in ambito Industria 4.0 mediante attività di formazione in aula e sulla linea produttiva e su applicazioni reali, utilizzando, ad esempio, linee produttive dimostrative e sviluppo di casi d’uso, allo scopo di supportare la comprensione da parte delle imprese fruitrici dei benefici concreti in termini di riduzione dei costi operativi ed aumento della competitività dell’offerta”. La ricerca applicata è l’“attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, proposti dalle imprese, compresi quelli di natura collaborativa tra le stesse, e fornitura di servizi di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, anche attraverso azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese, in particolare delle pmi”.
Il contesto in cui farli crescere, al contrario di quel che spesso si sarebbe portati a pensare, è favorevole. La Banca d’Italia documenta che la spesa delle imprese italiane in ricerca e sviluppo è aumentata del 20% dal 2015 al 2017. Il recente Fdi Confidence Index, la classifica annuale di A.T. Kearney sulla attrattività dei paesi, indica l’Italia nella “top ten”, dopo Usa, Canada, Germania, Regno Unito, Cina, Giappone, Francia, Australia e Svizzera. Un balzo avanti di tre punti rispetto al 2016. Una tendenza positiva da non lasciar sfumare con assistenzialismi, dirigismi e isolazionismi ma, appunto, da aggredire (anche) con il lavoro di centri di alta specializzazione.
Otto poli per connettere università e imprese al futuro
di Dopo una lunga gestazione, proprio nell’ultimo giorno da ministro di Calenda, viene pubblicata la graduatoria dei Competence Center. Al primo posto c’è il centro “Manufacturing 4.0”, il cui capofila è il Politecnico di Torino con partner industriali come FCA, General Motor, GE Avio, Thales Alenia. Il focus è su aerospazio, automotive e additive manufacturing, puntando sul piano tecnologico su additive manufacturing, data science e big data. Al secondo, il progetto “Made in Italy 4.0” guidato dal Politecnico di Milano, focalizzato sulle tecnologie per la fabbrica 4.0. Al terzo, “BI-Rex”, guidato dall’Università di Bologna e sostenuto anche dagli atenei di Modena, Reggio Emilia, Parma e Ferrara. Al quarto posto “Artes 4.0”, centrato su intelligenza artificiale e robotica e guidato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che riunisce la Scuola Normale Superiore, Università di Pisa, Università di Firenze, Università di Siena, e altri atenei. Al quinto posto, “Smact”, capeggiato dall’Università di Padova ma sostenuto da una rete di atenei del territorio (Verona, Venezia, Iuav, Trento, Bolzano, Udine, Trieste e altri) e con focus su agroalimentare, abbigliamento, arredamento e automazione. Al sesto “Industry 4.0”, centro guidato dall’Università “Federico II” di Napoli, e sostenuto da otto fra atenei campani e pugliesi, e dalle Regioni Campania e Puglia. Al settimo, “Start 4.0”, capitanato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, insieme a ABB. Leonardo, Ansaldo e altri. All’ottavo posto, il centro “Cyber 4.0”, guidato dall’Università “La Sapienza” di Roma. Il focus è la cyber security.
Si attende la negoziazione presso il ministero dello Sviluppo. Ogni “cordata” sarà convocata per discutere i progetti e ottimizzare le proposte. Poi, per ogni centro ammesso, sarà emanato il decreto di concessione che conterrà tra l’altro impegni, obiettivi, tempi e modalità di realizzazione dell’attività programmata, indicazione delle spese e dei costi ammissibili. I centri avranno a disposizione fino a 7,5 milioni ciascuno per le spese di costituzione e poi 200 mila euro per ciascun progetto. A disposizione ci sono complessivamente 73 milioni, non moltissimi ma neanche pochi se si considera che l’obiettivo è di farli nascere e poi vederli crescere con le proprie gambe. Ciascun centro potrà infatti fare alleanze, partnership, e usare competenze che si trovino sul territorio nazionale o anche fuori, ad esempio in Europa.
Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna
Sarà dedicato all’Advanced Manufacturing per l’automotive e l’aerospazio, due settori che vedono il Piemonte storicamente all’avanguardia. Ventisette aziende hanno già manifestato il loro interesse a collaborare e molte altre sono in lista di attesa. Proposto dal Politecnico di Torino e dall’Università di Torino, il Centro di Competenza piemontese su Industria 4.0 (Manufacturing 4.0 abbraccerà più nel dettaglio processi manifatturieri innovativi (Additive Manufacturing, Laser-based Manufacturing e World Class Manufacturing) in relazione allo sviluppo di settori come robotica collaborativa, ingegneria dei materiali, IoT e Big Data. In dettaglio, il Centro di Competenza fornirà servizi di orientamento e di formazione alle imprese, in particolare PMI, e di attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Simbolo del Piemonte industriale, il Competence Center avrà sede nel Lingotto, per poi estendersi in altri spazi della città, raccordando il Centro di Competenza col grande progetto dell’Mtcc (Manufacturing Technology Competence Center) promosso dall’Unione Industriale di Torino, con Politecnico ed Università, insieme a numerosi organismi territoriali e fondazioni bancarie.
Sulla manifattura “discreta” sarà invece declinato il polo di alta specializzazione guidato dal Politecnico di Milano, “Made in Italy 4.0”. Verrà valorizzato il tessuto di pmi attraverso il trasferimento di tecnologie orizzontali. Non c’è quindi una verticalità settoriale, come in altri competence center, ma una strategia che accompagna l’intero percorso dell’azienda verso la fabbrica 4.0. Anche Milano ha scelto la sede del suo Polo di alta formazione, la Bovisa, già caratterizzato dalla presenza della Joint Platform appena inaugurata con la Tsinghua University di Pechino e di PoliHub l’acceleratore del Politecnico di Milano che ospita, al suo interno, 113 realtà imprenditoriali (idee in accelerazione, startup e aziende).
Demonstration lab, Co-desing lab e Transformation lab, ruoterà intorno a questi tre laboratori il Competence Center capitanato dall’università di Padova. Composto da tutti gli atenei del Triveneto, l’Università degli Studi di Verona, Ca’ Foscari di Venezia, Iuav (Istituto universitario di architettura di Venezia), Università degli studi di Trento, Libera Università di Bolzano, Università degli studi di Udine, Università degli studi di Trieste, Sissa (Scuola superiore di studi avanzati) di Trieste, “Smact” punterà sull’applicazione delle tecnologie 4.0 a settori chiave del made in Italy: automazione, abbigliamento, arredamento e agroalimentare. Nel Demonstration lab si farà “awareness”, ovvero sensibilizzazione e formazione sulle tecnologie 4.0 attraverso live demo, linee pilota, formazione. Il co-design lab prevede il coinvolgimento di imprese, ricercatori e stakeholder su progetti di innovazione ad alto “Trl” (Technology Readiness Level, livello di maturità tecnologica). Al Transformation lab, infine, il compito del trasferimento tecnologico.
Emilia Romagna e Toscana
La robotica collaborativa farà da stella polare al polo pisano, punto di riferimento mondiale nel settore. Guidato dalla Scuola Superiore Sant’anna di Pisa, “Artes 4.0” è concepito a partire da una vision che fa sintesi tra ricerca in ergonomia, leggi sulla robotica, ripensamento del concetto fisico della fabbrica che diventa distribuita. A coordinare il polo è Paolo Dario, ex direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Prima i robot vivevano in gabbia – spiega Dario – erano chiusi, non sensorizzati, di fatto lavoravano da soli. Lavoravano benissimo, e lo fanno ancora. Ma il futuro è dei robot che lavorano insieme all’uomo. Quando dico insieme, intendo proprio a contatto. Questa è una tecnologia già disponibile, certificata, e noi la vorremmo estendere a moltissimi casi. Realizzeremo una reaserch factory, una fabbrica simulata in cui industria e ricercatori lavorino insieme”.
Meccatronica, automotive, biomedicale, e agrifood sono gli ambiti di intervento del competence center dell’Università di Bologna, il “Bi-rex”, promosso con altri tre atenei dell’Emilia Romagna (Modena – Reggio-Emilia, Ferrara, Parma e l’Università Cattolica), in collaborazione con Cineca, Infn e Cnr. La flag tecnologica principale saranno i big data, ma non solo. Il polo emiliano-romagnolo coinvolge realtà pubbliche della Regione, che metteranno a disposizione tecnologie abilitanti.
Il polo del Sud
Guidato dall’Università Federico II di Napoli, il polo del Sud (“Industry 4.0”) promuoverà la diffusione di strumenti di innovazione tecnologica con riferimento all’intero spettro delle tecnologie abilitanti: Big Data, Cloud, IoT, Information security, Mobile, Advanced Machine Learning, Collaborative Robotics, Additive Manufacturing, Wearable Devices e interfacce avanzate, Virtual & Augmented Reality, Nanotecnologie e tecnologie dei materiali avanzati. Una specifica attenzione sarà rivolta alle tecnologie Social e Blockchain, strettamente correlate con soluzioni per Industria 4.0. Saranno in tutto otto le università coinvolte, cinque della Campania e tre della Puglia: Federico II, Università di Salerno, Università della Campania L. Vanvitelli, Università del Sannio, Università di Napoli Parthenope, Politecnico di Bari, Università di Bari “A. Moro”, Università del Salento. Grande il riscontro da parte delle aziende con circa 150 domande di partecipazione. La mission è appunto il trasferimento tecnologico alle imprese, rivolgendosi in particolare alle pmi, e il criterio è quello di armonizzare le competenze degli enti di ricerca presenti, le otto università, con le realtà che lavorano sul territorio. Per rendere più efficace questa azione saranno ben sei i “laboratori” tematici: Laboratorio IoT & Security & Sensori; Laboratorio Additive Manufacturing & Advanced Materials; Laboratorio Tecnologie Digitali per le Costruzioni; Laboratorio Robotics & Machine Learning; Laboratorio Cloud & Big Data; Laboratorio Droni & Virtual Reality. In attesa di ridefinire gli ultimi passaggi amministrativi con il Ministero, sono già state elaborate 61 ipotesi progettuali dalla partnership.
A chiudere la squadra dei Competence Center “universitari” è quello della Sapienza di Roma, concentrato sulla cybersecurity. Si svilupperà insieme ad altri atenei romani e prevede interventi coordinati con altre università guardando anche, dove possibile, alla zona del Centro Italia. Agli universitari si aggiunge il polo creato dal Cnr dedicato alla sicurezza delle infrastrutture strategiche 4.0, focalizzato sui settori energia, trasporti, idrico, produttivo, porto. Fra le tecnologie abilitanti: IoT (Internet of Things), realtà aumentata, big data, block chain, robotica, connettività 4.0. I domini di riferimento saranno: cyber security, safety.
Articolo pubblicato sul n. 3/2018 di Civiltà del Lavoro
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