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TRAIETTORIE per lo sviluppo | Civiltà del Lavoro 4-5/2024

02.02.2025

Chi, come e con quali competenze? In estrema sintesi, si potrebbe dire che il dibattito animato dai Cavalieri del Lavoro in occasione del convegno annuale, tenuto a Bari il 14 settembre 2024, abbia avuto l’obiettivo di rispondere a questi tre fondamentali quesiti. E cioè: quale sarà l’identikit dei lavoratori italiani da qui a cinque o dieci anni? Come sarà il lavoro alla luce delle spinte sempre più pervasive delle innovazioni tecnologiche? E, infine, quali saranno le skills richieste dalle imprese e quali gli strumenti per riuscire a tenere sempre “sul pezzo” collaboratori, fornitori e più in generale il capitale umano che fa da perno a ogni attività di impresa? Insomma, quale sarà, per riprendere appunto il titolo del convegno, “Il Futuro del Lavoro”? La questione non è solo economica. “Il lavoro è il metabolismo dell’uomo con la natura”, spiegava una dei più acuti osservatori della rivoluzione industriale: quel che trasforma il lavoro trasforma per forza di cose sia l’uomo sia il suo ambiente. Ancora più in profondità si può dire che quel che trasforma il lavoro impatta sulla dimensione esistenziale della persona. “Interrogarsi sul futuro del lavoro – ha spiegato in apertura del convegno Maurizio Sella, Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro – significa anche interrogarsi sul senso che intendiamo dare alla nostra dimensione civile e sociale prima ancora che a quella economica. Cambiamenti demografici, accelerazione tecnologica e Ia, dinamiche connesse alla necessità di una formazione continua, stanno cambiando in modo radicale le forme e il modo stesso di concepire il lavoro. Insieme al lavoro, cambiano le forme e i modi di immaginare la nostra vita, cambia il modo di contribuire al progresso delle nostre comunità e del nostro Paese”. Il nesso tra realizzazione personale e progresso sociale è stato evidenziato an che nel messaggio di saluto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

PROTAGONISMO DEL SUD
A fare gli onori di casa il sindaco di Bari Vito Leccese e il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. “In un contesto come quello attuale, sempre più liquido, per utilizzare i termini di Bauman – ha detto Leccese – parlare del futuro del lavoro significa inevitabilmente parlare di nuove tecnologie e di come queste stiano trasformando in modo irreversibile anche le vecchie professioni”.
Nel fare riferimento al contesto politico e all’iter di riforma sull’autonomia differenziata, Emiliano ha sottolineato la necessità di “riflettere su questo passaggio e di fare in modo che il futuro abbia dei connotati di certezza, di eguaglianza, di possibilità del Mezzogiorno, per cui si possa entrare ancora di più in campo a sostegno dell’Italia perché noi ci sentiamo italiani”, aggiungendo che “Non si può immaginare un percorso politico, economico, senza avere una stretta connessione con gli operatori economici e la vostra autorevolezza ci aiuterà a percorrere questa strada”.

L’URGENZA DELLA CRESCITA
A introdurre i lavori Carlo Pontecorvo e Domenico Favuzzi, rispettivamente Presidente e vicepresidente del Gruppo Mezzogiorno della Federazione che ha organizzato il convegno. “La forza e la modernità di un imprenditore – ha detto il Cavaliere del Lavoro Carlo Pontecorvo, presidente e amministratore delegato Ferrarelle SB – sta nel saper condurre l’azienda lungo le strade del progresso, confrontandosi con il mondo del lavoro che cambia e che affronta le sfide che sono al centro di questo convegno. Questo ci consentirà di raggiungere livelli più alti di competitività e produttività che sono la vera chiave di volta della crescita e dello sviluppo dell’Italia, a cui può e deve contribuire il nostro Mezzogiorno che deve essere il protagonista attivo di una strategia di crescita con ricadute sul mondo del lavoro non solo di tipo occupazionale”.
Il Cavaliere del Lavoro Domenico Favuzzi, presidente di Exprivia, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di coniugare le nuove tecnologie con nuove competenze. “La tecnologia evolve a grande velocità e c’è una forte ibridazione tra il tempo del lavoro e quello della formazione, che deve necessariamente essere continuativa. Il lavoro in una parola chiara che si profonde nella nostra cultura, deriva dal latino labor, che significa fatica, sforzo.
Oggi questa parola assume significati diversi a seconda del contesto in cui viene utilizzata, può rappresentare una fonte di realizzazione personale, un mezzo per guadagnarsi da vivere, un modo per contribuire alla società. Ma che cosa significherà domani? In un futuro dominato dalla tecnologia, il lavoro assumerà nuove forme che oggi possiamo immaginare solo in parte. Una cosa rimarrà sempre costante, il lavoro continuerà ad essere una componente essenziale della dignità umana”.
L’evoluzione del lavoro, delle sue forme e del suo stesso significato sono stati tracciati seguendo tre punti cardinali: la demografia, la tecnologia e la formazione. A intervallare le tavole rotonde due interventi di scenario di Antonio D’Amato, presidente d’onore della Federazione e Ceo di Seda International Packaging Group, e Paolo Benanti, presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

RIPARTIRE DALL’INDUSTRIA EUROPEA
Centrato sulla sostenibilità delle transizioni, energetica, tecnologica e demografica, l’intervento di D’Amato ha messo in evidenza la priorità di intervenire sulla reindustrializzazione dell’economia europea. “Abbiamo immaginato che fosse possibile fare trasferire nei paesi poveri in via di sviluppo la manifattura, mantenendo noi, l’intelligenza, la qualità dello stato sociale, la qualità della vita, la capacità di fare ricerca, innovazione e sviluppo, dimenticando la lezione fondamentale che la storia industriale, dal ‘700 a oggi, avrebbe dovuto insegnare a tutti noi, che senza manifattura non c’è innovazione e non c’è sviluppo”. “Se noi vogliamo contribuire come Europa – ha detto l’ex numero uno di Confindustria – a creare un pianeta più equilibrato e sostenibile, anziché pensare di arrivare a zero emissioni, distruggendoci dal punto di vista industriale, cominciamo a promuovere sviluppo sostenibile nelle altre parti del mondo. Questo è il tema sul quale dobbiamo assolutamente impegnarci. Un tema sul quale le altre grandi realtà del mondo sono assolutamente distratte”. “Un sistema economico che non abbia un motore di sviluppo industriale pari almeno al 25-30% del Prodotto Interno Lordo – ha aggiunto – non è in grado di generare tutto quello che serve per garantire ricerca, sviluppo, occupazione intelligente per i giovani e, soprattutto tenuta sociale e politica”. Indispensabile premessa della capacità industriale è la disponibilità del capitale umano. D’Amato indica per questo anche la necessità di politiche attrattive nei confronti dei giovani. “Una volta – ha detto – emigravano quelli che non potevano; oggi emigrano quelli che possono. Sempre di più, quelli che possono emigrano, dal Sud verso il Nord e dal Nord verso altri parti d’Europa e del mondo alla ricerca di maggiori i migliori opportunità. Noi così perdiamo il meglio, formiamo intelligenze e le perdiamo”. Infine, sull’autonomia differenziata. “Pensare di frammentare ulteriormente i livelli decisionali vuol dire ingessare completamente la capacità per il Paese di competere”.

I RISCHI DI UNA CENTRALIZZAZIONE COMPUTAZIONALE
Paolo Benanti spostato il dibattito sulla “sostenibilità digitale” mettendo in luce la questione della “centralizzazione del potere computazionale”. Siamo in una società digitalizzata, nei supermercati – per esempio – la cassa non è più solo il punto di acquisto del prodotto ma diventa il terminale della logistica e dell’approvvigionamento. “La digitalizzazione della realtà sta cambiando, cos’è che definisce la realtà e questa, più che un’opzione semplicemente filosofica, è anche una disposizione di potere notevolissima nel modo di poter fare impresa e nel modo di poter fare business” ha osservato lo studioso. Noi, infatti, disponiamo dell’hardware ma non del software: quando acquistiamo uno smartphone, acquistiamo l’hardware ma quello che dà le funzioni a quest’oggetto, è il software che carichiamo o paghiamo che non sarà mai nostro ma del quale abbiamo una licenza d’uso. “La domanda allora non è se l’Intelligenza Artificiale sia buona o cattiva, la domanda è se, una volta introdotta all’interno dei sistemi produttivi, si possa evitare di sottrarre la catena di valore generata da chi con quella macchina lavora ai legittimi proprietari, gli imprenditori, trasferendola invece a chi di quel sistema è fornitore all’azienda stessa”. Questa è una domanda che va affrontata in una maniera strategica perché cambia la stessa catena di valore e dell’organizzazione del lavoro.

COMPETENZE E “GAVETTA”
A chiusura del convegno, il presidente Maurizio Sella ha ricordato il contributo allo sviluppo e al territorio delle Academy dei Cavalieri del Lavoro (si veda il servizio nelle pagine a seguire), “strumento efficace non solo per le imprese che investono nelle Academy ma più in generale per i territori perché favoriscono l’occupabilità dei più giovani”. “Scuola e formazione – ha aggiunto – rappresentano un’infrastruttura necessaria per lo sviluppo dell’economia e per il progresso del Paese. Per raggiungere il successo però, per diventare imprenditori, solo il titolo di studio può non bastare. In caso di forte innovazione può addirittura essere poco significativo. Non occorrono esami per diventare imprenditori e in questo senso l’impresa è forse uno dei settori più aperti e trasversali all’interno del sistema sociale in una sana competizione fra laureati e non laureati”.
Cos’è quindi che contraddistingue le storie di successo? “Credo che l’elemento che ci contraddistingue, come Cavalieri del Lavoro, sia la passione. La passione è quel motore sempre acceso che ci porta a sopportare sacrifici duraturi e a volte non ripagati, ci spinge a fare la gavetta che non è una punizione ma uno strumento per raggiungere con più efficacia, il successo dell’attività di impresa. La gavetta è la base dell’iniziale formazione, anche quando inizia da giovanissimi. Si parte dalle mansioni più umili, le piccole cose, quelle che si imparano facendole e non semplicemente affiancando qualcuno che le fa. Più della metà dei Cavalieri del Lavoro, laureati e non laureati, ma largamente più della metà, ha fatto la gavetta. È così che si impara il mestiere”. Alla base di grandi storie di successo nel mondo del lavoro, è anche necessaria quella capacità dell’imprenditore che chiamiamo “intuito”, la capacità dell’imprenditore per vedere nuovi spazi di mercato, nuovi processi produttivi, nuovi prodotti, nuovi bisogni ancora inespressi.
“Dal convegno di stamattina – ha concluso nel dare appuntamento al prossimo Convegno Nazionale, in programma a Venezia il 7 giugno 2025 – è emerso, in modo evidente, l’appartenenza dei Cavalieri del Lavoro ai costruttori del futuro: imprese, fabbriche, Academy avanzate delle politiche di welfare aziendale, propensione all’innovazione tecnologica, sono i mattoni con cui noi, Cavalieri del Lavoro, contribuiamo a edificare il futuro di questo Paese”.

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