Articolo pubblicato nella rivista n.2/2024 di Civiltà del Lavoro
Alcuni interventi, tra i quali quelli relativi al settore agricolo, ma non solo, hanno suscitato vivaci proteste e manifestazioni in molti paesi europei. C’è molta attesa, dunque, per vedere se la nuova Commissione confermerà gli indirizzi seguiti fino a ora o se verranno introdotte delle modifiche per tenere conto delle reazioni che ci sono state.
Per comprendere il contesto in cui si collocano gli interventi europei, è utile ricordare alcuni dati. Le emissioni di gas climalteranti sono aumentate a livello mondiale di circa l’8% tra il 1990 e il 2020, mentre nello stesso periodo in Europa sono diminuite del 34%, con una progressione di poco più dell’1% all’anno. Circa metà delle emissioni mondiali di CO₂ proviene dall’Asia, e la Cina da sola ne genera circa un terzo. Gli Stati Uniti, da parte loro, contribuiscono per circa il 15%. I grandi paesi europei contribuiscono in misura marginale alle emissioni globali di CO₂: la Germania produce il 2% delle emissioni globali, mentre Francia, Italia, Regno Unito e Polonia circa l’1% ciascuno, e la Spagna lo 0,7%.
È evidente da questi dati che famiglie e imprese in Europa hanno dato un contributo rilevante alla mitigazione del problema a livello mondiale. Tuttavia, è altrettanto evidente che qualunque sforzo faccia l’Europa ha un impatto limitato. Nonostante ciò, il pacchetto di norme presentato dalla Commissione nel 2021, denominato “Fit for 55”, impone a imprese e famiglie di fare ogni anno il triplo di quanto fatto negli anni precedenti. Un obiettivo che non può essere raggiunto senza uno straordinario sforzo industriale e finanziario, che richiede rilevanti contributi pubblici e deve coinvolgere innanzitutto i governi e le istituzioni europee.
Mentre nella definizione degli obiettivi l’Europa si è mossa velocemente, l’individuazione degli strumenti è stata caratterizzata da una sistematica mancanza di tempestività. Mentre l’Europa produceva studi, leggi e regolamenti, Cina e Stati Uniti si sono mossi con massicci interventi di sostegno finanziario alle imprese che sviluppavano tecnologie per la transizione energetica. Questo ha creato un differenziale di capacità produttiva, competenze e posizione competitiva che renderà difficile per l’Europa recuperare in tempi ragionevoli i ritardi accumulati.
Il Paese che si è mosso con maggiore determinazione nel promuovere gli investimenti nelle tecnologie rinnovabili, come il solare, l’eolico, l’idrogeno verde e i progetti geotermici, è stata la Cina. Intorno agli anni Dieci, la Cina ha sviluppato una politica di sostegno attivo per il settore, che le ha permesso di avere, nel 2023, poco più della metà del parco installato mondiale di energie rinnovabili. Grazie a questi formidabili investimenti, l’industria energetica cinese ha acquisito un vantaggio competitivo in termini di dimensioni e costi difficilmente raggiungibile.
L’Europa ha accumulato quasi dieci anni di ritardo rispetto alla Cina e solo ora ha riconosciuto la necessità di sostenere l’industria per realizzare gli investimenti necessari alla transizione energetica. Gli Stati Uniti sono partiti in ritardo rispetto alla Cina, ma hanno cercato di recuperare attraverso massicci interventi finanziari. L’Inflation Reduction Act, promosso dal presidente Biden e approvato nell’agosto del 2022, ha messo a disposizione del sistema economico 783 miliardi di dollari per accelerare il processo di transizione. In Europa, l’allarme è scattato solo dopo aver visto i provvedimenti adottati negli Stati Uniti. La Commissione ha cercato di recuperare approvando il Net Zero Industry Act nel marzo del 2023. Da lì è iniziato un processo di concertazione con il Consiglio europeo e il Parlamento che si dovrebbe concludere a breve.
Purtroppo, la Commissione europea non dispone di grandi risorse finanziarie da destinare all’industria per colmare il gap competitivo. Pertanto, si è concentrata soprattutto sull’alleggerimento dei processi autorizzativi e sulla concessione di aiuti di Stato ai settori delle rinnovabili, creando però una forte disparità tra i paesi che hanno spazio fiscale per questi aiuti, come la Germania, e quelli che invece non dispongono di tali risorse.
Tutto questo potrebbe indurre al pessimismo, se non fosse per i risultati raggiunti dall’Europa nel contenimento delle emissioni negli ultimi trent’anni, che testimoniano una straordinaria capacità dell’industria europea di rispondere alla sfida della transizione verde. Tuttavia, è fondamentale che venga consentito all’industria di trovare le soluzioni più efficaci attraverso un dialogo con le istituzioni europee, basato sul rispetto dei meccanismi di mercato, evitando di imporre scelte tecnologiche che potrebbero risultare inefficaci rispetto agli ambiziosi obiettivi della transizione.
Franco Bernabè è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2011. È presidente di FB Group, società di investimenti, e di Techvisory, che si occupa dello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico. È presidente di Acciaierie d’Italia ed è stato presidente e amministratore delegato di Telecom Italia e amministratore delegato dell’Eni, gestendo la trasformazione dell’azienda da ente di Stato a SpA.