Il 17 aprile scorso Enrico Letta ha presentato il rapporto sul futuro del mercato unico. Illustrato all’interno del li bro edito da il Mulino “Molto più di un mercato”, il lavoro punta a “condurre un esame approfondito del futuro del mercato unico dopo una serie di crisi e sfide esterne che hanno messo a dura prova la sua capacità di resistenza”, come si legge nell’introduzione. Insieme al rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea presentato a settembre, questi due lavori di ampio respiro dovrebbero rappresentare la bussola della nuova legislatura europea, guidata per la seconda volta da Ursula von der Leyen. Con l’ex presidente del Consiglio italiano, nonché attua le presidente dell’Istituto Jacques Delors, abbiamo approfondito alcuni punti.
Presidente Letta, a suo giudizio ci sarà la volontà politica per realizzare le vostre proposte visto che l’asse politico europeo si è spostato verso i sovranisti?
Le crisi epocali a cui abbiamo dovuto far fronte in questi anni hanno dimostrato in modo inequivocabile l’insostituibilità dell’Unione europea e del mercato unico. Anche i governi più critici nei confronti dell’Europa riconoscono oggi l’importanza di lavorare insieme per affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Aggiungo poi un elemento: il rapporto è il risultato di un lungo viaggio attraverso l’intero continente europeo (e anche al di là dei suoi confini). Le proposte contenute al suo interno sono state quindi elaborate tenendo conto delle diverse sensibilità e posizioni che esistono all’interno dell’Ue, con l’obiettivo di trovare un punto di equilibrio attorno al quale si potessero raccogliere consensi trasversali. Sono convinto che malgrado la frammentazione del quadro politico vi siano le condizioni per portare avanti le proposte contenute nel rapporto. Il pragmatismo dovrà prevalere sulle divisioni ideologiche, perché il rafforzamento del mercato unico rappresenta una necessità per tutti gli Stati membri. L’inerzia su questo fronte ci impone una riflessione cruciale: vogliamo, tra vent’anni, essere protagonisti globali o ridurci a dipendere dagli Sta ti Uniti o dalla Cina?
Quali sono le principali riforme necessarie per rafforzare il mercato unico europeo?
Il rapporto delinea tre direttrici principali di intervento. Innanzitutto, trovare gli strumenti per finanziare gli obiettivi strategici che l’Ue si è data (primo tra tutti la transizione green), grazie a una maggiore integrazione dei mercati dei capitali e a una revisione delle norme sugli aiuti di Stato.
In secondo luogo, permettere alle aziende europee di crescere e operare su scala veramente europea, in particolare nei settori chiave delle telecomunicazioni, dell’energia e della finanza, per poter competere ad armi pari coi colossi statunitensi e cinesi.
In terzo luogo, semplificare le regole del mercato unico e ridurre gli oneri burocratici ad esso collegati, così da sbloccarne il potenziale inespresso, favorirne l’attrattività e sostenere l’innovazione.
Lei ha posto particolare enfasi nel sottolineare la necessità di unione del risparmio e degli investimenti, denunciando una “fuga” del risparmio europeo verso gli Usa. Pensa che ci arriveremo e quali scelte sarebbero necessarie?
L’Unione europea è ricca di risparmio privato, ma povera di investimenti strategici. Ogni anno circa 300 miliardi di euro di risparmio europeo fluiscono verso gli Stati Uniti, perché i mercati finanziari europei risultano ben poco attrattivi a causa della loro frammentazione. Questo dato è emblematico di un’inefficienza strutturale che non possiamo più permetterci di ignorare.
Se vogliamo che il risparmio europeo sostenga lo sviluppo del nostro continente, è fondamentale realizzare quella che nel rapporto chiamo una “Unione del Risparmio e degli Investimenti”, costruita sulle basi dell’incompleta Unione dei Mercati dei Capitali.
Per farlo è necessaria una maggiore integrazione in tre aree chiave: l’offerta di capitale, la domanda di capitale e la struttura del mercato e il framework istituzionale che governano il movimento di tale capitale.
L’industria italiana si lamenta per l’alto costo dell’energia: quasi il doppio di Francia e Spagna e il 45% in più rispetto alla Germania. Anche qui potrebbe aiutare un mercato più unito?
Assolutamente sì. Un mercato dell’energia pienamente integrato a livello europeo rappresenterebbe un passo decisivo per ridurre le disparità nei costi tra i paesi membri e garantire condizioni più competitive per imprese e cittadini.
Superando le attuali frammentazioni, l’Europa sarebbe in grado di ottimizzare l’uso delle risorse energetiche, sfruttando appieno le economie di scala e promuovendo una distribuzione più equa dell’energia. Inoltre, un mercato energetico integrato permetterebbe di attrarre maggiori investimenti in infrastrutture innovative, come quelle per i sistemi di accumulo e per l’idrogeno, favorendo la resilienza del sistema energetico europeo e sostenendo la transizione verde.
Un altro tema cruciale riguarda le nuove tecnologie digitali: l’Europa ha perso il treno rispetto a Usa e Cina o potrebbe recuperare?
L’Europa ha accumulato un ritardo significativo, ma ha ancora le risorse e il potenziale per recuperare terreno. Possediamo competenze eccellenti in ambiti strategici e un mercato interno che, se adeguatamente regolamentato e sostenuto, può essere un catalizzatore per l’innovazione. Per farlo, però, è indispensabile un cambio di passo. Innanzitutto, sono necessari investimenti massicci e coordinati in ricerca e sviluppo, soprattutto nelle tecnologie emergenti. Allo stesso tempo, le nostre normative devono creare un ambiente favorevole all’innovazione, evitando di soffocarla, pur mantenendo alti standard di sicurezza, trasparenza e protezione dei dati. Per questo, nel rapporto ho suggerito di introdurre una “quinta libertà” accanto alle quattro alla base del mercato unico. Oltre alla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, dobbiamo promuovere la libera circolazione del la conoscenza, della ricerca e dei dati. Questa “quinta libertà” – idea che Ursula von der Leyen ha espressamente ripreso nella formazione della propria Commissione – mira a integrare e mettere a sistema i fattori abilitanti dell’innovazione, creando un contesto in cui ricerca e sviluppo possano prosperare e tradursi rapidamente in soluzioni pratiche per il mercato.
Per ridurre la burocrazia lei ha proposto l’istituzione di un 28esimo “Stato virtuale” con normative semplificate al quale le imprese potrebbero aderire volontariamente. Come potrebbe funzionare?
L’idea del 28esimo regime rappresenta una soluzione innovativa per superare le barriere burocratiche e normative che rendono ancora difficile per molte imprese (soprattutto le Pmi), operare a livello veramente europeo. La soluzione proposta consiste nella creazione di un regime opzionale e armonizzato a livello europeo, che offra regole valide in tutti gli Stati membri.
Questo regime non sostituirebbe i regimi nazionali, ma si affiancherebbe ad essi. Le imprese potrebbero quindi aderire volontariamente, beneficiando così di un sistema unico valido in tutti i paesi partecipanti, oppure mantenere le regole del paese in cui operano.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia per favorire un’Europa più forte?
L’Italia deve esercitare un ruolo proattivo, promuovendo politiche che rafforzino la coesione europea, soprattutto in un momento in cui le leadership tedesca e francese sono messe in discussione dall’instabilità politica interna. Ciò significa sostenere l’integrazione dei mercati, impegnarsi con determinazione nella transizione ecologica e digitale e garantire il rigoroso rispetto dello Stato di diritto. Inoltre, l’Italia deve porsi come modello di efficienza nella gestione dei fondi europei, dimostrando che gli investimenti comuni possono tradursi in risultati tangibili.
Infine, è fondamentale che il Paese assuma un ruolo attivo nella politica estera europea, contribuendo a de lineare una visione condivisa su sicurezza e difesa.