Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 11

CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
TABÙ
E
TOTEM
A INIZIO MAGGIO
si è rischiata la crisi politica sul
voto della riforma del Senato in commissione. Il giorno do-
po, il governo ha dovuto mettere la fiducia per far passa-
re il decreto lavoro che semplifica le norme sul contratto a
tempo determinato e sull’apprendistato. Era prevedibile che
l’impulso innovatore di Renzi, che vuole sradicare i vecchi
tabù, suscitasse reazioni e tentativi di frenata, dai politici
che non vogliono rinunciare ai senatori eletti, ai prefetti, di-
rigenti pubblici e medici che temono di perdere i cosiddet-
ti “diritti acquisiti” fino ai dipendenti del Comune di Roma
che il 6 maggio hanno bloccato senza preavviso il centro
per protestare contro i provvedimenti imposti dall’enorme
indebitamento della capitale. La resistenza al cambiamen-
to che sta emergendo da tutti i settori della società politi-
ca, accademica e civile e rischia di soffocare nella culla le
timide speranze di riforme e di ripresa. Ci sono gli illustri
costituzionalisti che accusano il governo di “tentazioni au-
toritarie” perché ha proposto una legge elettorale a dop-
pio turno come in Francia (anche se da noi sarebbe doppio
turno di coalizione, mentre in Francia c’è il doppio turno di
collegio) o perché ha modellato un Senato con consiglie-
ri regionali, come in Germania, e con alcuni sindaci. C’è la
segretaria della Cgil Susanna Camusso che dalla tribuna del
suo congresso ha parlato di “torsioni alla democrazia” per-
chè il governo non intende riconoscere alle parti sociali un
diritto di veto mascherato dal totem della “concertazione”,
che non esiste in alcuna altra democrazia. Ci sono i politici
e i sindacalisti che protestano perché le timide semplifica-
zioni del mercato del lavoro accrescerebbero il “precariato”,
anche se la nostra legislazione lavoristica resta comunque
tra le più rigide al mondo. Intendiamoci: tutte le riforme
possono e debbono essere migliorate. Ma a una condizio-
ne: che si tenga ferma la stella polare dell’aumento della
competitività e della riduzione della spesa pubblica, uni-
ca condizione per uscire da un ventennio di bassa crescita
e dalla crisi degli ultimi anni. Le cose da fare le conoscia-
mo. Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per dare al Pae-
se, a noi stessi e ai nostri giovani un futuro all’altezza del
nostro passato. E non possiamo perdere tempo, non per-
ché dobbiamo fare bella figura in Europa nel nostro seme-
stre di presidenza e magari ottenere qualche allentamen-
to dei vincoli di bilancio. Ma perché dobbiamo utilizzare al
meglio questa fase di bassi tassi d’interesse e di forte li-
quidità a livello mondiale, fase che potrebbe rapidamente
invertirsi per la politica monetaria meno espansiva adot-
tata dalla Federal Reserve. E se i tassi d’interesse interna-
zionali dovessero rimettersi al rialzo, per noi e per il nostro
enorme debito pubblico sarebbero dolori. Ecco perché non
possiamo continuare con i vecchi metodi, con il vecchio vi-
zio della politica di insabbiare i problemi anziché risolverli.
Dobbiamo convincerci che l’Italia è ancora un grande Pa-
ese e che la ripresa è alla nostra portata. Unioncamere e
Fondazione Edison hanno elencato i primati del nostro si-
stema economico: siamo tra i primi cinque Paesi al mon-
do con un surplus commerciale oltre i 100 miliardi (113 nel
2013); siamo ai primi tre posti per attivo commerciale su
935 categorie di prodotti sulle 5.117 censite dal Wto; sia-
mo tra i Paesi che dal 1999 ad oggi hanno saputo conser-
vare la propria quota di commercio mondiale; siamo primi
in Europa per numero di pernottamenti dei turisti extra Ue
e dal 1996 ad oggi abbiamo accumulato il più alto avan-
zo primario della storia, pari a 591 miliardi. Su queste basi
possiamo costruire un futuro di crescita e sviluppo, rifug-
gendo dalle illusioni mitologiche come il “salario di cittadi-
nanza” che ci farebbe risprofondare nella crisi della finanza
pubblica o l’uscita dall’euro, che ci farebbe tornare a una li-
retta supersvalutata con enormi perdite per i nostri reddi-
ti e patrimoni e senza il vantaggio delle svalutazioni com-
petitive, perché gli altri Paesi si proteggerebbero elevando
barriere doganali contro i nostri prodotti. Non c’è alternati-
va al risanamento e alle riforme per rendere più efficiente
e meno costoso il nostro apparato pubblico e per rendere
più fluido il mercato del lavoro. Ricordiamocelo quando an-
dremo a votare il 25 maggio.
EDITORIALE
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