Civiltà del Lavoro, n. 2/2014 - page 21

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CIVILTÀ DEL LAVORO
II • 2014
cresciamo strutturalmente meno dell’Eurozona.
Il secondo dato è più ambiguo. Il nostro tasso di disoccu-
pazione è stato più basso di quello europeo fino al 2012;
era stato più alto del tasso di disoccupazione europeo nel
quinquennio 1995-2000, ma i dati dell’Eurozona non sono
ancora sufficientemente affidabili. In ogni caso, abbiamo
avuto un tasso di disoccupazione più basso; le ragioni so-
no molteplici, ma comunque siamo stati sotto.
Se guardiamo il terzo indicatore, che è il deficit sul Pil, ve-
diamo che l’Italia tutto som-
mato non è andata così ma-
le. Già nel 2010 avevamo
un deficit sul Pil migliore di
quello dell’Eurozona, condi-
zione che è stata mantenuta
fino al 2013 e probabilmen-
te condizione che continue-
rà anche fino al 2015. Quin-
di, come deficit sul Pil noi
siamo abbastanza tranquilli,
è un deficit nominale.
L’elemento che penalizza
è, ovviamente, il debito su
Pil, dove la differenza oscil-
la sempre tra un 33% circa,
fino addirittura a un 44% di
divario nel periodo 1995-
2009. Quindi si potrebbe di-
re che la nostra linea di ten-
denza è 35 punti percentuali
di Pil sopra la media euro-
pea. È una bella differenza,
una questione irrisolta; le al-
tre sono significative, ma in
qualche modo meno pesanti.
Efficienze italiane. L’Italia è un paese fatto solo di ineffi-
cienze? Certamente no, sappiamo benissimo che nel con-
testo del commercio internazionale e mondiale, in base
ai dati di riferimento dell’Unctad, noi siamo secondi dopo
la Germania in quattordici grandi settori di aggregazione
delle voci del commercio internazionale. Cioè, siamo for-
temente competitivi sui mercati internazionali e abbiamo
un’enorme capacità di generare degli avanzi primari, pre-
scindendo quindi dal pagamento degli interessi sul debi-
to. Abbiamo inoltre una grande capacità di risparmio, una
solidità delle finanze familiari con pochi debiti.
Vedo, dunque, tre grandi punti di forza del nostro Paese:
competitività internazionale delle imprese che hanno af-
frontato grandi sfide – l’euro forte e la concorrenza asia-
tica e cinese – avanzi primari enormi e, infine, risparmio
e solidità delle economie familiari.
L’ultimo dato sul surplus primario di commercio estero ita-
liano nell’anno 2013 si avvicinerà ai 100 miliardi. Siamo
ben piazzati in Europa, secondi solo alla Germania, molto,
ma molto più forti della Francia. Le imprese del manifat-
turiero italiane che esportano sono, quindi, molto forti e
dobbiamo continuamente ripeterlo anche perché spesso
all’estero di questo non ci si rende conto.
A partire dal 1992-93 l’Italia
ha generato avanzi prima-
ri per 751 miliardi di euro.
È un record mondiale. Co-
sa sono gli avanzi prima-
ri? La differenza tra tutte le
uscite, escluso gli interes-
si, e tutte le entrate. Quin-
di, le nostre entrate hanno
superato le uscite prescin-
dendo dagli interessi per un
cumulato di 751 miliardi di
euro. È una cosa mostruo-
sa. La Germania, per quan-
to essa sia virtuosa – e lo è
– ma si sappia anche auto-
definire virtuosa, ha avuto
avanzi primari per 337 mi-
liardi di euro, cioè, meno
della metà degli avanzi pri-
mari italiani. Naturalmente
a questo punto scatta im-
mediatamente la doman-
da: ma dove sono finiti tutti
quei quattrini? La risposta è
relativamente agevole.
Anzitutto la nostra spesa pubblica ha continuato a maci-
nare dei record. Siamo arrivati ad un livello di spesa pub-
blica pari al 53% nel 2009, inclusi gli interessi; poi c’è sta-
ta una discesa, soprattutto con riferimento all’anno 2012,
poi siamo di nuovo al 51,2%. La spesa pubblica è stata
quindi drammaticamente pesante in Italia in tutto il ven-
tennio del quale sto parlando.
Secondo elemento. Perché abbiamo accumulato dei sur-
plus così grandi? Per un’enorme pressione fiscale. Il Total
Tax Rate italiano, riferito al paese con il quale dobbiamo
sempre confrontarci ovvero la Germania, è quasi il 66%.
Quello tedesco è il 49%, la media dei Paesi Ocse non su-
pera il 42%. Quando si dice che le imprese italiane non
sono efficienti, bisognerebbe anche spiegare come
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