CIVILTÀ DEL LAVORO
VI - 2013
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Che cosa dovrebbe fare dunque l’Europa?
Deve capire che sta perdendo le proprie capacità compe-
titive perché è stata costruita sul mito del welfare state
e di standard elevati di protezione sociale che col tempo
hanno progressivamente inceppato il motore della com-
petitività e la capacità di creare lavoro. Nel contempo,
l’Europa deve capire che è ancora uno spazio economi-
co e sociale ricco di opportunità: è un’area con 500 mi-
lioni di consumatori con il più elevato potere d’acquisto
del mondo, con 250 milioni di cittadini dei Paesi dell’area
sud del Mediterraneo e del Medio Oriente che nei prossi-
mi decenni sono destinati a uno sviluppo economico rile-
vante. Ci sono dunque tutte le opportunità per riconcilia-
re sviluppo e protezione sociale, crescita dell’occupazione
e welfare state. Purchè l’Europa si decida a fare le rifor-
me sinora rinviate.
Quali riforme giudica più importanti per riprendere la
via dello sviluppo?
Le riforme sono quelle note, ma vanno calibrate guar-
dando alle aree più dinamiche del mondo come gli Stati
Uniti. Prendiamo il mercato del lavoro: negli Stati Uniti si
lavora mediamente 1.900-2.000 ore all’anno e non ci so-
no limiti allo straordinario; in Europa l’orario medio di la-
voro è attorno alle 1.650 ore l’anno e una direttiva pone
un limite massimo di 250 ore allo straordinario. Abbiamo
gravi ritardi, scoordinamenti intollerabili e sprechi eleva-
tissimi nei settori della formazione, della ricerca, delle in-
frastrutture, dell’energia; lo stesso processo istituzionale
europeo è rimasto in mezzo al guado: rischiamo di ave-
re solo i costi e non i vantaggi della mezza unificazione
realizzata sinora.
In vista delle elezioni europee del 25 maggio prossi-
mo e poi del semestre italiano di presidenza dell’U-
nione europea il 2014 sarà l’anno dell’Europa: c’è chi
vorrebbe smantellare l’unione monetaria, chi prospet-
ta un modello confederale con poche competenze eu-
ropee che non intacchino la sostanziale sovranità de-
gli Stati nazionali, chi pensa sia necessario spingersi
verso un modello federale, sacrificando buona par-
te delle sovranità nazionali per avvicinarci al model-
lo degli Stati Uniti d’America. Lei verso quale model-
lo si muoverebbe?
Il modello verso cui muoversi non può che essere fede-
rativo, sia pure con le necessarie gradualità. Per esempio,
penso che l’allargamento ad Est sia stato un errore colos-
sale, perché è stato realizzato troppo in fretta.
Occorreva innanzitutto completare l’assetto costituziona-
le ed istituzionale dell’Europa dei 15 e poi con gradua-