Civiltà del Lavoro, n. 1/2013 - page 13

CIVILTÀ DEL LAVORO
VI - 2013
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lità aprire ai nuovi stati membri. L’evoluzione della Bce,
che dovrà diventare una vera banca centrale prestatrice
di ultima istanza sul modello della Fed che ha tra i suoi
obbiettivi sia la stabilità monetaria e la lotta all’inflazio-
ne, la crescita e lo sviluppo, è solo la punta dell’iceberg.
Dobbiamo mettere in comune non solo la vigilanza ban-
caria, ma anche l’energia, il mercato del lavoro, le grandi
politiche infrastrutturali. E soprattutto, dobbiamo rimettere
al centro della politica economica europea lo sviluppo del
sistema industriale, che resta
ai primi posti nel mondo, ma
rischia di perdere colpi.
Il recupero di centralità e
competitività dell’Europa non
è solo un interesse europeo,
ma un interesse mondiale.
In che senso?
Nel senso che nell’evoluzione
degli equilibri mondiali, con
una Cina che cerca di uni-
re alla potenza economica
una nuova influenza politi-
ca e militare, la Russia che,
dalla Siria all’Iran, cerca di re-
cuperare una centralità ge-
opolitica di altri tempi e gli
Stati Uniti in affanno, l’Europa
rappresenta un indispensabi-
le elemento di stabilità e di
moderazione dei conflitti la-
tenti, soprattutto nelle aree
limitrofe del Medio Oriente
e del Nord Africa.
Un’Europa in declino econo-
mico e sociale e instabile po-
liticamente è ininfluente e
addirittura rischia di essere un pericolo per gli equilibri
mondiali.
Nel discorso sulla fiducia al Parlamento dell’11 dicem-
bre scorso, il presidente Letta ha fissato quattro punti
per la presidenza italiana della Ue nel secondo seme-
stre 2014: realizzare l’Unione bancaria, dare alla Zo-
na euro una capacità finanziaria che incentivi gli Sta-
ti a compiere l’ultimo miglio delle riforme e li renda
più resistenti agli shock economici, lottare contro la
disoccupazione, far sì che la prossima legislatura eu-
ropea 2014-2019 chiuda la fase della crisi e della so-
la austerità e apra la fase della stabilità e crescita. La
convince questo programma?
Apprezzo la centralità che il presidente Letta attribuisce
all’Europa, ma a mio giudizio sarebbe stato più opportu-
no indicare anche quali riforme strutturali il Governo ri-
tiene necessarie.
L’Unione bancaria è importantissima, ma deve anche ser-
vire a far affluire più credito
alle imprese; la lotta alla di-
soccupazione è ovviamente
in cima alle priorità, ma non
vorrei che venisse interpre-
tata solo come allentamento
dell’austerità e non invece co-
me necessità di riforme strut-
turali del mercato del lavoro.
Insomma, il problema non
sono gli obiettivi, tutti condi-
visibili, ma gli strumenti per
raggiungerli.
Abbiamo parlato sinora
di Europa, ma i problemi
dell’Italia sono solo parte
dei problemi europei, op-
pure c’è una specificità del-
la crisi del nostro paese?
L’Italia è uno dei Paesi fon-
datori dell’Europa e resta il
secondo paese manifatturie-
ro dell’Unione dopo la Ger-
mania.
Abbiamo certamente un ritar-
do di competitività più eleva-
to rispetto alla media euro-
pea e dobbiamo certamente accelerare la soluzione delle
nostre contraddizioni interne per arrestare il declino e la
deindustrializzazione.
Ma dobbiamo farlo rilanciando il nostro ruolo europeo, sen-
za rifugiarci nella comoda illusione che i nostri guai deri-
vino dai vincoli europei o dall’”egoismo” della Germania.
Anzi, a coloro che immaginano assi dei Paesi del Sud Eu-
ropa favorevoli a politiche economiche più espansive, in
opposizione alla Germania troppo “austera” io ribatto che
noi italiani e anche i tedeschi dovremmo avere tutto
»
Il programma è quello
di concentrare tutti
i nostri sforzi nel
recupero di competitività
non solo a livello
nazionale, ma anche
a livello europeo
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