CIVILTÀ DEL LAVORO
I • 2014
Antonio D’Amato
RIFORME
ECONOMICHE
E
ISTITUZIONALI
ANCHE
PER
RILANCIARE L’UNIONE
RIFORME ECONOMICHE
e istituzionali e di-
battito sul futuro dell’Europa: sono i due temi che anima-
no il confronto nell’opinione pubblica italiana. Sembrano
questioni separate, ma non lo sono. Senza un’Italia rifor-
mata, infatti, non potrà esserci un futuro di sviluppo per
l’Europa, perché il nostro non è solo uno dei Paesi fon-
datori dell’Unione, ma è la seconda economia manifattu-
riera del Continente dopo la Germania. Al tempo stesso
senza più Europa e senza un’Europa più competitiva non
c’è futuro neanche per noi. Nel dibattito che si è aperto
in vista delle elezioni del 25 maggio tra europeisti con-
vinti e forse un po’ depressi, baldanzosi euroscettici no-
stalgici delle “piccole Patrie” e neo secessionisti, bisogna
sottolineare con forza che abbiamo bisogno di più Euro-
pa, ma soprattutto di un’Europa diversa, che non si limiti
a chiedere efficienza e austerità ai Paesi membri, ma co-
minci a farla anche nelle istituzioni comunitarie; che non
si limiti a sollecitare riforme per la crescita agli Stati eu-
ropei, ma metta in campo una forte strategia europea per
lo sviluppo; che non si lamenti per la caduta degli ideali
europeisti, ma sia in grado di rilanciare i valori profondi
dell’identità europea: la pace, la tolleranza, la diffusione
del benessere e della equità sociale.
La spinta riformista impressa al nostro Paese dal Presi-
dente del Consiglio Matteo Renzi, il primo premier post
ideologico della storia repubblicana, non serve dunque
solo all’Italia: serve a costruire un’Europa che abbia una
visione e un ruolo più forte nel mondo. L’Europa non è
mai stata necessaria come in questi anni, non solo per
garantire alle prossime generazioni del nostro Continen-
te un futuro di benessere e qualità della vita analogo a
quello della generazione precedente, quanto soprattutto
per svolgere un ruolo di dialogo e moderazione nei con-
flitti tra le altre grandi potenze del mondo, in un quadro
di crescente instabilità e rischio sul piano geopolitico, ol-
tre che economico.
Il ritmo imposto in questo momento dal governo Renzi è
quello necessario. E non sono condivisibili le critiche se-
condo cui occorrerebbero nuove analisi e riflessioni per ri-
solvere problemi di cui discutiamo da decenni, di cui sap-
piamo tutto e che si sarebbero potuti risolvere da anni, se
non ci fossero state le consunte pratiche consociative e i
veti incrociati che le corporazioni del nostro Paese hanno
interposto e continuano a interporre all’azione riformatrice
per frenare ogni cambiamento. In una democrazia parla-
mentare tutti i soggetti sociali hanno il diritto di proporre
analisi e soluzioni, ma alla fine il Governo ha il dovere di
decidere e nessuno ha il diritto di porre veti. Quello che
sinora è mancato, dunque, non sono le analisi e le pro-
poste, ma la volontà di decidere.
Con questo spirito, con la volontà di contribuire a costru-
ire nel rispetto dei ruoli un’Italia più moderna e compe-
titiva per costruire un’Europa più forte economicamente
e politicamente.
Dobbiamo impegnarci perché si possa finalmente realiz-
zare quella modernizzazione di cui da troppo tempo ab-
biamo bisogno.
L’Italia è un grande Paese che ha ancora molto da espri-
mere per la sua imprenditorialità, la sua capacità di la-
voro, il suo patrimonio culturale, la sua storia, per le sue
intelligenze e per i suoi giovani. E ha molto da dare ad
un’Europa che non voglia rassegnarsi a un destino di de-
clino ma che piuttosto voglia essere all’altezza del ruolo
che questo momento storico impone.
Sta soprattutto a chi come noi, ceto dirigente di questa Ita-
lia e di questa Europa, vede con chiarezza i rischi e le op-
portunità che sono all’orizzonte sostenere senza riserve la
costruzione di una nuova Italia e di una nuova Europa.
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EDITORIALE
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