Civiltà del Lavoro, n. 1/2014 - page 19

CIVILTÀ DEL LAVORO
I • 2014
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Emmanuele Massagli
Nel complesso quella che manca, secondo Tiraboschi, è
la consapevolezza di come è fatto oggi il mercato del la-
voro e delle nuove professioni che, ad esempio, si sono
affacciate negli ultimi anni e per le quali spesso la forma
della collaborazione autonoma è una libera scelta. Tutto
questo non trova riscontro nello “Statuto dei lavoratori”,
che adottando un’impostazione fordista non distingue tra
un lavoratore bravo e uno meno bravo. Non si parla, inol-
tre, dei mestieri, che invece dovrebbero costituire il cuore
di un ipotetico “Statuto dei lavori”.
“Restiamo l’unico paese – sottolinea – con l’anomalia dell’ar-
ticolo 18, spia di una sfiducia nei confronti dell’azienda,
considerata un disvalore e non un luogo di formazione”.
Renzi bocciato su tutta la linea? In realtà no. Per Tirabo-
schi, infatti, il suo decisionismo e la scelta di affrontare a
viso aperto il sindacato meritano un plauso quanto meno
per il coraggio, che invece il precedente governo non ha
dimostrato. Il taglio delle tasse sul lavoro dipendente per
i salari bassi ha spiazzato la Cgil, che adesso dovrà accet-
tare alcune scelte in tema di flessibilità. Insomma, i giochi
sono aperti ed è presto per dire come andrà a finire.
così in europa cambia
il mercato del lavoro
Come funziona il mercato del lavoro all’estero? Nello spe-
cifico, in che modo i nostri principali competitor europei
affrontano e risolvono i problemi dettati dalla contrazio-
ne dell’economia e conseguentemente delle opportuni-
tà di lavoro? A queste domande ha risposto Emmanuele
Massagli, presidente di Adapt (l’associazione di studi sul
lavoro fondata da Marco Biagi, ndr), offrendo una detta-
gliata panoramica sulle principali misure introdotte in Eu-
ropa in tema di lavoro dalla crisi in poi. Tra i paesi analiz-
zati manca la Gran Bretagna ma, precisa il docente, questo
è dovuto al fatto che il mercato del lavoro anglosassone
presenta caratteristiche strutturali tali da renderlo difficil-
mente comparabile con il sistema italiano. È infatti molto
“sregolato” ma nel senso positivo del termine, in quan-
to la forte flessibilità in uscita è accompagnata da politi-
che attive per il reinserimento altrettanto sostenute. “In
Gran Bretagna il diritto del lavoro è pensato per tutela-
re la concorrenza – spiega Massagli – e non per difende-
re il lavoratore da situazioni di potenziale sfruttamento”.
A livello generale, comune ai principali paesi europei è
la necessità di contrastare la disoccupazione giovanile e
quella di lunga durata perfezionando, ad esempio, i mec-
canismi di reinserimento, di aiutare le fasce più debo-
li (stranieri e individui a bassa qualifica professionale), di
garantire maggiore flessibilità, specialmente in ingresso,
e di rendere più efficienti le politiche attive pubbliche e
private. Tutti compiti che la Germania sembra avere svol-
to egregiamente a giudicare dai dati economici forniti da
Massagli, il quale riporta un calo della disoccupazione fra
2008 e 2013 dal 7,6% al 5,2% e una diminuzione di quel-
la giovanile (15-24 anni) dal 10,6% all’8,7%.
Dietro questo successo, spiega il docente, c’è una rifor-
ma del lavoro varata nel 2002 sotto il governo Schröder,
la riforma Hartz (dal nome di Peter Hartz, ex componen-
te del Cda della Volkswagen), che nelle quattro leggi che
la compongono ha puntato su alcuni fattori, fra cui un in-
sieme di incentivi economici pro-assunzioni sia in favo-
re delle imprese che dei lavoratori, il rafforzamento dei
mini-impieghi (senza contributi sociali per il lavoratore e
forfettari per il datore di lavoro), la diminuzione dell’ali-
quota contributiva per il finanziamento delle indennità di
disoccupazione e ancora l’unificazione delle politiche at-
tive e passive al fine di razionalizzare le prestazioni socia-
li. Indubbiamente la ricetta tedesca, sottolinea Massagli,
ha potuto funzionare grazie anche a un sistema di rela-
zione industriali consolidato, caratterizzato da una più dif-
fusa abitudine alla partecipazione e da un sindacato più
responsabile, che ha fatto sì che in questi anni la produt-
tività aumentasse più dei salari, ovvero l’esatto contrario
di quanto è accaduto in Italia dove il salario è rimasto in-
vece slegato dalla produttività medesima. La Francia ha
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