Civiltà del Lavoro, n. 6/2014 - page 125

VITA
ASSOCIATIVA
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CIVILTÀ DEL LAVORO
VI • 2014
dell’Astronomia) Antonio D’Amato, il quale aprendo l’in-
contro ha sottolineato come i giovani rappresentino “la
vera prospettiva e la vera speranza per il Paese”. “Siamo
in una fase straordinaria di cambiamenti e di evoluzioni
– ha affermato – cambiamenti che spesso portano pau-
re, tensioni o angosce, ma che possono essere al tempo
stesso vissuti in maniera positiva come opportunità per
recuperare il tempo perso e soprattutto per creare nuove
occasioni di sviluppo”.
Più focalizzati sulle attività e sui valori ispiratori del Col-
legio sono stati, invece, gli interventi di Linda Orsola Gil-
li, presidente della Commissione per le attività di forma-
zione, e di Stefano Semplici, direttore del Lamaro Pozzani
nonché professore di Etica sociale all’Università di Roma
“Tor Vergata”. Gilli ha voluto ricordare, ad esempio, “l’in-
tuizione coraggiosa e lungimirante” che ne è stata all’o-
rigine, 44 anni fa, in un momento storico di forte conte-
stazione dei valori liberali e dell’iniziativa individuale, ai
quali il Collegio si ispira. Quella intuizione era, e oggi lo
è ancora, la volontà di contribuire alla formazione del-
la classe dirigente del Paese, senza mai perdere di vista
l’obiettivo del bene comune. Guardando indietro, spiega,
sono oltre 500 i giovani che si sono formati in queste au-
le e che oggi, in larga parte, occupano posti di prestigio
e ricoprono ruoli di responsabilità. Agli allievi in sala l’im-
prenditrice ha poi rivolto un invito ad affrontare il futu-
ro con coraggio ed entusiasmo, impegnandosi a portare
lo “stile del Collegio” con senso di responsabilità civile.
Stesso fil rouge per Semplici, il quale si è soffermato bre-
vemente sui tre valori cardine del Collegio: identità, re-
sponsabilità e, per l’appunto, stile. Il primo, richiamando
lo stretto legame tra il mondo dell’impresa e quello del
sapere, rappresenta “una caratteristica genetica del La-
maro Pozzani, tale da renderlo unico nel panorama dei
collegi di eccellenza”. A questo si affianca la responsabili-
tà, aspetto anch’esso peculiare del programma formativo,
spesso più difficile da mettere in evidenza ma che, spie-
ga Semplici, porta più frutto nel tempo: “Questi giovani
– afferma – vivendo insieme, si esercitano a pensare le
proprie aspirazioni e ambizioni insieme a quelle degli al-
tri, cominciano così a creare bene comune”. E su questa
tensione a “orientare la libertà e i talenti degli individui
alla costruzione di bene comune – prosegue – i Cavalieri
del Lavoro giustamente richiamano la nostra attenzione”.
Infine lo stile, concetto già richiamato da Gilli, e che il di-
rettore del Collegio ha sintetizzato efficacemente come il
saper “pensare in grande, con l’umiltà di chi, pur assumen-
do elevate responsabilità, non pensa solo a se stesso”.
Eugenio Galli
CURARE È ANCHE SOSTENERE LO
SGUARDO DEL PAZIENTE
Lo scorso ottobre si è
laureato in medicina e
chirurgia all’Università
Cattolica del Sacro Cuore
di Roma. Quali progetti ha
nell’immediato?
Seguirò il classico percorso
comune a molti laureati
in medicina. Adesso
studio per l’esame di Stato che abilita alla professione
medica, dopodiché sosterrò le prove di ingresso per
la scuola di specializzazione. Mi piacerebbe entrare in
Ematologia, dura cinque anni e almeno uno di questi
vorrei trascorrerlo all’estero, possibilmente in un paese
anglofono oppure in Germania.
Più avanti nel tempo cosa vorrebbe fare?
Vorrei lavorare con il German Hodgkin Study Group, un
team di esperti che da trent’anni studia le terapie più ap-
propriate per curare il linfoma di Hodgkin, dove il proble-
ma principale è trovare un equilibrio fra tossicità ed effi-
cacia delle terapie medesime. Ho scelto questo tema per
la mia tesi (“Livelli di TARC alla diagnosi e durante la te-
rapia nel linfoma di Hodgkin: un biomarcatore utile per
guidare la terapia?”, ndr). Solitamente pochi lo fanno, ne-
gli ultimi due anni sono stato forse l’unico studente, ma
a me ha particolarmente interessato perché, oltre a una
base di medicina generale, richiede la conoscenza di altre
discipline come la genetica, l’oncologia e biologia mole-
colare, che negli ultimi tempi hanno registrato progressi
incredibili. In ogni caso, per il mio lavoro, vorrei riuscire a
conciliare ricerca e clinica. Essere cioè un “medico-ricerca-
tore”, sulla scorta di quanto mi ha insegnato il mio profes-
sore, Stefan Hohaus, che mi ha sempre stimolato al con-
fronto, fondamentale specie se si studiano malattie rare.
Come descriverebbe il rapporto medico-paziente?
Rispetto al passato, quando al medico ci si affidava nella
consapevolezza di un rapporto quasi paternalistico, oggi si
preferisce parlare di “alleanza terapeutica”, nella quale il
medico è la figura che, oltre ad offrire la propria professio-
nalità, è in grado di “sostenere lo sguardo del paziente”.
Personalmente è la parte che mi piace di più: durante la
tesi ho seguito pazienti anziani e anche molto giovani, sot-
to i trent’anni, e sento una sorta di “vibrazione umana”,
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