Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2013 - page 71

RITRATTI
CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2013
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dello Stato: la stampa dei brevetti per invenzioni industria-
li. I quantitativi di copie da stampare erano limitati, ma
c’era tanto da fare per i compositori a mano come me.
Da guardiano dei fantasmi passai a un lavoro vero.
Ma mi veniva pagato, come quello precedente, cioè po-
chissimo. Nulla contava che, vista la scarsità di manodo-
pera, mi dessi da fare anche per altre mansioni, dalla ma-
nutenzione delle lame alla consegna dei pacchi.
In compenso, lavorando di giorno, ebbi modo di conosce-
re la donna della mia vita: Luisa.
L’attività più importante era l’impaginazione. Mi ci tuffavo
con passione e tanta voglia di progredire, facevo il doppio
delle pagine realizzate dagli altri, compreso il capo repar-
to. Fu un tutt’uno. Crebbero in me sia la coscienza profes-
sionale che quella politico sindacale.
Le condizioni di lavoro erano inoltre ancora inadeguate.
riportare l’ordine nella tipografia umbertina, doveva libe-
rarsi in qualche modo del sottoscritto.
Tornò all’attacco, cambiando la prospettiva. “Tu sei il più
bravo di tutti – riconobbe – ma se te ne vai ti daremo qual-
siasi cosa”. Era un discorso che mi sembrava molto più li-
neare e, perché no?, interessante. L’idea di mettermi in
proprio cominciava a prendere corpo in me, man mano
che mi rendevo conto dei progressi che avevo raggiunto
nella padronanza del lavoro e nella conoscenza comples-
siva dei meccanismi di funzionamento di una tipografia.
A farmi decidere fu un episodio sfortunato di cui rimase
vittima un mio collega, Mario Esposito. Un po’ per solida-
rietà, un po’ perché il pensiero di andarmene ormai aveva
cominciato a frullarmi per la testa, decisi di venire incon-
tro al malcapitato. “Ora che ti hanno licenziato – gli pro-
spettai – se mi licenzio anch’io possiamo metterci insie-
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Lo stabilimento Arti Grafiche Boccia (anni 2000)
Non esistevano ferie, ad agosto si smetteva la produzione
solo per metà giornata del 15. Era il 1958. Con Biamonte,
Amendola e Granati organizzammo uno sciopero, qualco-
sa di mai visto prima all’Umberto I.
Menna, che alla Presidenza dell’Orfanotrofio aveva ag-
giunto le cariche più prestigiose di Presidente dell’Isvei-
mer e Sindaco di Salerno, mi teneva d’occhio.
Lui, democristiano, aveva capito che, facendomi assume-
re, me comunista, si era piazzato la “serpe in casa”. Co-
minciò la “guerra”. Ma lui non mollava, sentiva che per
me”. Andai da Menna a fargli la mia controproposta. Gli
chiesi un vecchio tagliacarte, dei banchi di cassa con una
serie di caratteri di stampa, più la buona uscita. Aggiunsi
un minimo di commesse garantite per poter avviare l’at-
tività. Menna era il Sindaco, ottenni che mi fosse riservato
qualche lavoro da parte dell’amministrazione comunale.
Con pagamento in contanti! Con i soldi della buona usci-
ta e i nostri sforzi, ci mettemmo in società. Comprammo
una pedalina. Fittammo un locale. Iniziò così la mia sto-
ria di imprenditore.
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