Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2013 - page 67

RITRATTI
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CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2013
ENTRAI ALL’ORFANOTROFIO
Umberto I nel
settembre 1945, per uscirne cinque anni dopo. Fui abban-
donato a me stesso, nessuno venne mai a trovarmi. Ero
scalzo, con la camicia ma senza canottiera, e con i pan-
taloncini corti. Fu questo il mio abbigliamento, d’estate
e d’inverno.
Il freddo era la nostra condanna. A letto non avevamo co-
perte. Un materassino di fieno, un paio di lenzuola, un cu-
scino appena appena imbottito. Il letto era composto da
tre tavole di legno poggiate su sbarre di ferro. Non era un
orfanotrofio, ma un serraglio. Avevano ragione, i salernita-
ni, a chiamarlo così. In un posto del genere si chiudono le
bestie feroci e i delinquenti, o almeno si imprigionavano
un tempo, quando l’ideologia repressiva non aveva fatto
ancora i conti con la moderna concezione della pena, dif-
fusasi gradualmente da Beccaria a seguire.
Io venivo dalla strada. La mia fortuna nella vita è scaturi-
ta dalla mia sfortuna. All’Umberto I, scalzo venni, scalzo
rimasi. Quando mi assegnarono il posto letto, equivocai
e mi diressi in quello di un altro. Sdraiatomi, sentii che
sotto il pagliericcio c’era qualcosa di duro. Era uno sfilati-
no con del prosciutto, che, senza perder tempo, ingurgi-
tai in pochi secondi. Apparteneva a un ragazzo grande e
il SERRAGLIO: tra fame e freddo
uno sprazzo di luce
manesco. Quando si accorse di quanto era successo, fe-
ce venire la fine del mondo. Si scagliò contro di me. Sep-
pi difendermi e riuscii a sconfiggerlo. La cosa destò scal-
pore. Fu proprio l’esito di quel combattimento a indurre i
miei compagni a portarmi rispetto.
A distanza di più di sessant’anni, ancora stento a render-
mi conto di come sia stato possibile vivere quell’espe-
rienza senza essere stato segnato per sempre dalla vita,
di come sia riuscito malgrado tutto a farmi strada poi, ad
avviare un’avventura imprenditoriale portata al successo,
prima dal sottoscritto, poi dai miei figli.
Mi capita in questi momenti di ricordare la finestra del-
la mia camerata, una delle più alte del Serraglio, l’ultima
sulla destra dell’imponente struttura che sovrasta la cit-
tà di Salerno. Da quella finestra, nel mio giaciglio, di sera,
prima di dormire, vedevo sempre uno spicchio di cielo.
Credo che in tutte le circostanze, se vuoi evitare di farti
sopraffare dalla sorte, devi conservare un posto per i so-
gni, continuare a guardare le stelle, evitando di lasciarti
sommergere dal fango che ti circonda.
L’Umberto I cominciò a trasformarsi da Serraglio in un or-
fanotrofio degno di questo nome con l’arrivo, al vertice
dell’Istituto, del Commendator Alfonso Menna.
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L'Orfanotrofio Umberto I in una foto d'epoca
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