Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2013 - page 66

RITRATTI
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CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2013
GLI anni dell’infanzia,
una povertà dignitosa
SONO NATO
il 26 novembre del 1932. Mio padre
Vincenzo morì di tetano nel febbraio del ’44. Degli an-
ni precedenti al ’40 ricordo poco. All’epoca della grande
depressione, Salerno aveva trentamila abitanti. Nel do-
poguerra si sarebbe estesa. Allora era più piccola, oltre
che più povera.
Secondogenito e unico maschio di cinque figli, fin da picco-
lo ho imparato l’arte del digiuno. Ricordo che, in famiglia,
aspettavamo che papà fosse riuscito a procurarsi di che
comprare pasta e olio. Cercavamo di resistere; poi, erava-
mo sopraffatti dal sonno. Quando papà arrivava, mamma
Angelina ci svegliava per mangiare. Mangiavamo mez-
zo assonnati. Ma quando Vincenzo Boccia aveva soldi in
tasca, sapeva essere generoso. Invitava anche qualche
amico bisognoso. Ne chiamava sempre uno in particola-
re, poverissimo: don Luigi, insieme alla moglie. Organiz-
zava tavolate. O tutto o niente.
Gli Americani, già sbarcati in Sicilia, subito dopo l’armisti-
zio erano giunti fino a Paestum. L’operazione Avalanche
(valanga) assestò un altro colpo al nemico, costringendo-
lo a riposizionarsi decine di chilometri più indietro. I tede-
schi si ritiravano, ma senza rinunciare a portarsi con loro,
prigionieri, italiani adulti, dopo l’8 settembre considerati
come dei traditori. Presero anche mio padre.
Feci in tempo a vederlo, spintonato da un militare cor-
pulento ma di bassa statura, raggiungere l’autocarro per
ammassarsi con gli altri. Pensai che per tutti loro non ci
sarebbe stato più ritorno.
Ma papà era un uomo pieno di energia, capace di regge-
re pesi da un quintale. Non si arrendeva facilmente, non
lo fece nemmeno in quell’occasione. Il giorno dopo riu-
scì a fuggire assieme ad altri dal campo di Avellino do-
ve era stato temporaneamente destinato, per essere poi
condotto in un lager tedesco. Si era fatto strada attraver-
so il reticolato arrugginito con cui i militari tedeschi ave-
vano recintato il campo. Ci raggiunse e si nascose in una
botte grande alta come un uomo. Ricordo quei momen-
ti come fossero ieri. I tedeschi che cercavano gli evasi, la
perquisizione che giunse fino alla cantina. Un soldato si
appoggiò con la mano alla botte dove si era nascosto pa-
pà. Se ne andarono.
Papà, scappando, si era ferito a una mano, ma non ci ave-
va badato più di tanto. Di qui l’infezione, il tetano.
Per papà, di riprendere il lavoro al porto, non se ne parla-
va proprio. Era zona militare, controllata dagli statuniten-
si. L’accesso era vietato. Dovevamo organizzarci, porre le
basi per una nuova vita. Papà adocchiò un locale abban-
donato a Portanova, dove prima del conflitto si giocava al
bancolotto. Cominciò a vendervi della frutta.
Ero un bambino di undici anni, ma fiero di alzarmi con lui
alle quattro di mattina per andare col nostro carrettino al
mercato dove comprare quello che avremmo rivenduto
poche ore dopo.
Non era una vita facile, ma a distanza di tanto tempo ri-
cordo quelle poche settimane come un sogno, un’avven-
tura, la speranza che tutto potesse riprendere con maggio-
re fortuna di quella che c’era toccata prima della guerra.
L’illusione durò qualche mese. Poi, si palesò la sua malat-
tia. Non riusciva a ingoiare. I medici pensavano che fos-
se un problema di tonsille. Lo curavano e lui continuava
a peggiorare. Cessò l’attività. Fu ricoverato agli Ospeda-
li Riuniti di Salerno San Giovanni Di Dio e Ruggi d’Arago-
na. Stette lì qualche settimana. Per me, bambino, le visi-
te erano proibite. Per vederlo nella sua stanzetta dovevo
arrampicarmi su un muretto. Riuscivamo a parlarci. Po-
co prima di lasciarci si raccomandò: ora sei tu l’unico ma-
schio, il capofamiglia! Fu seppellito nella fossa comune.
Gli impegnati
Orazio Boccia
Guida
10,00
Storia di uno
scugnizzo
Con le prefazioni di
Benito Benedini
e
Vincenzo De Luca
a cura di
Bruno Bisogni
e
Roberto Race
Orazio Boccia
Storia di uno scugnizzo
Guida
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