Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2014 - page 75

CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2014
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DOSSIER
fatti, di definire i processi produttivi più idonei alle caratte-
ristiche del bene prodotto, assecondando le richieste dei
clienti stranieri. È una peculiarità tutta italiana e ci porta a
essere più apprezzati rispetto ai nostri competitor stranieri.
Altri aspetti fondamentali sono il gusto e la creatività, co-
niugati con capacità artigianale e tecnologia che ritrovia-
mo in tutti i prodotti della nostra manifattura. Su questo
siamo sicuramente imbattibili ed è una delle caratteristi-
che per le quali il made in Italy è riconosciuto nel mondo
come il “bello e ben fatto”.
Quali sono i mercati nei quali le nostre imprese, so-
prattutto le piccole e medie, hanno maggiori chance
di affermarsi?
La scelta di un mercato dipende molto dal tipo di prodotto
che si realizza e dalle opportunità che alcuni paesi offro-
no. L’Europa, nonostante la crisi degli ultimi anni, rappre-
senta ancora un’area economica importantissima per le
nostre esportazioni, tanto da aver rappresentato nel 2013
il 53,7% dell’Export italiano. Ci sono poi i mercati cosid-
detti “maturi” come il Nord America e il Giappone, che
grazie alle riforme economiche sono ripartiti, tornando a
essere grandi estimatori e, soprattutto, consumatori dei
nostri prodotti. E, infine, le aree più dinamiche come l’A-
frica settentrionale, il Medio Oriente e il Sud Est asiatico,
che offrono grandi potenzialità di sviluppo.
Una pmi avrà maggiori chance in paesi che presentano
meno barriere all’ingresso, in termini di dazi ma anche di
barriere non tariffarie, che possono ostacolare le importa-
zioni. Per chi produce macchinari i mercati più interessanti
sono quelli in via di industrializzazione, dove c’è l’esigenza
di acquistare tecnologie e impianti di produzione.
Per i beni di consumo, quelli che noi definiamo i “bel-
li e ben fatti”, secondo l’indagine “Esportare la Dolce Vi-
ta” realizzata dal Centro Studi di Confindustria e Prome-
teia, ci saranno oltre 200 milioni di nuovi ricchi in più nel
2019 rispetto al 2013. Di questi individui il 71% proverrà
dalla Cina, il 23% dall’India, il 15% dagli Stati Uniti, l’8%
dal Brasile e a seguire dal Messico, dalla Russia, dall’In-
donesia, dalla Turchia e da altri paesi. In queste econo-
mie le produzioni italiane rappresentano per i consuma-
tori uno status symbol, grazie alla forza delle grandi firme,
ma anche al fascino esercitato dal più generale marchio
del made in italy.
Che consiglio si sente di dare a un imprenditore che
voglia iniziare a esportare sui mercati stranieri?
Il mio primo suggerimento è di partecipare a una delle
tante tappe italiane del “Roadshow per l’Internazionaliz-
zazione”, un’iniziativa – partita quest’anno – organizzata
dai Ministeri dello Sviluppo economico, degli Affari este-
ri e della Cooperazione internazionale, insieme alle prin-
cipali associazioni imprenditoriali del paese, che riunisce
tutti gli attori pubblici e privati che si occupano di inter-
nazionalizzazione. Viene data una panoramica sugli stru-
menti messi a disposizione delle imprese con la possibilità
di incontrare, oltre ai partner dell’iniziativa, esperti setto-
riali dell’Ice-Agenzia, che offrono un check-up aziendale.
Per un’impresa che voglia internazionalizzarsi è fondamen-
tale partire con una pianificazione strategica che preveda,
in primis, una struttura organizzativa di base in grado di
affacciarsi all’estero. È poi importante analizzare i mercati
più ricettivi per il proprio prodotto e, successivamente, se-
lezionare un paio di paesi dove avviare attività promozio-
nali, quali la partecipazione a fiere o a mostre autonome.
La raccomandazione che mi sento di fare è quella di chie-
dere supporto alle associazioni di appartenenza e agli uf-
fici Ice, che rappresentano un valido punto di riferimento
per intraprendere questo percorso.
Patrizia Caridi
Licia Mattioli
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