Civiltà del Lavoro, n. 1/2015 - page 77

INTERVENTO
CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2015
77
salute afferma la necessità che qualsiasi trattamento
abbia il consenso di chi lo subisce; l’art. 27, che contiene
un’affermazione importantissima della dignità, statuendo
che le pene devono tendere alla riabilitazione del
condannato e non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità.
La dignità è una nozione da “maneggiare” con cura. Si pensi
soltanto alla complessa semantica dell’uomo “dignitoso”,
che nell’immaginario collettivo è associato all’idea di un
uomo che merita rispetto in virtù dei suoi meriti, delle
sue qualità, per l’ufficio che ricopre, per i suoi soldi. Si
pensi all’idea di un uomo che è dignitoso solo perché
è in realtà un dignitario. Si pensi, ancora, al rischio di
confondere la dignità col buon costume, col rispetto dei
modelli dominanti, di confinare il tema della dignità in
un discorso di tipo morale. E c’è un altro binomio quanto
mai drammatico che oggi deve essere considerato, che è
quello dignità-sicurezza: l’attuale scenario geopolitico ci
impone di trovare un equilibrio tra questi due valori. Dagli
attentati dell’11 settembre 2001 agli attuali avvenimenti
che vedono protagonisti i terroristi dell’ Isis ci troviamo a
fronteggiare un nemico che gioca sul terrore e sul panico.
Proviamo a trarre qualche conclusione dai profili problematici
fin qui presi in considerazione. La dignità, ora come in
passato, è la base del rispetto della condizione umana, è il
valore conciliatore di eguaglianza e diversità, di cui assicura
la saldatura attraverso la solidarietà. A questo punto, però,
si prospetta un’altra questione imprescindibile, che è quella
del rapporto fra la dignità e la libertà. Sembra il dilemma
dell’uovo e della gallina: è nata prima la libertà o è nata
prima la dignità? La dignità è attributo della libertà o la
libertà è attributo della dignità? La questione può apparire
banale, ma, in realtà, il quesito è molto più importante
di quanto possa sembrare perché si tratta di capire entro
quali limiti la libertà di ciascuno consenta al soggetto di
rinunciare alla sua dignità; l’imposizione del burqa è un
aiuto a difendere la propria libertà o è un’offesa per la
dignità della donna? Le mutilazioni genitali femminili,
tipiche di certe culture, sono una forma di affermazione
dell’identità e della dignità, della libera espressione, oppure
devono essere impedite?
Chi è il giudice della dignità? Un terzo oppure ciascuno di
noi è giudice della propria dignità e può rinunciarvi? La
risposta implica risvolti particolarmente delicati perché da
essa dipende per esempio il diritto a smettere di vivere
se si ritiene che la propria vita non sia più dignitosa e la
qualificazione di legittimità della pretesa che qualcuno
collabori a tal fine.
È chiaro che problemi enormi, che coinvolgono la vita di
tutti a livello individuale e globale, si basano sulla dialettica
di libertà e dignità: lo scontro tra il diritto al lavoro e il
diritto alla salute, la tutela dell’ambiente come tutela della
dignità umana, giusto per citare qualche questione attuale.
Qualcuno sostiene che è meglio rinunciare a un concetto
così ambiguo come quello di dignità, che continuiamo
ad evocare non sapendo esattamente cosa significhi. Io,
invece, credo, con una punta di ottimismo, che per quanto
ambigua, confusa, calpestata e poi riscoperta sia stata la
dignità, occorra ancora sapersi “indignare”: non solo di
ciò che capita all’altro estremo del mondo, ma anche di
ciò che capita a casa nostra e ricordarsi che questa è la
premessa per la costruzione del rispetto della personalità
e del modo di essere della persona, fondamentale per
continuare a convivere.
LA DIGNITÀ, È LA BASE
DEL RISPETTO DELLA
CONDIZIONE UMANA, È IL
VALORE CONCILIATORE DI
EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ,
DI CUI ASSICURA LA
SALDATURA ATTRAVERSO LA
SOLIDARIETÀ
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