Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2014 - page 23

CIVILTÀ DEL LAVORO
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a un minimo riequilibrio di genere anche in quella sede.
Ma volevo riferirmi a ben altri, clamorosi segni di nega-
tività nella vita del Paese: dalla corruzione nel pubblico
e nel privato alla criminalità, dalla scarsa funzionalità di
troppe amministrazioni centrali e locali, a regressioni in
senso becero e violento dei comportamenti di individui e
di gruppi asociali, fino alle degenerazioni eversive vere e
proprie. Ma perché il nostro Paese esca dalla crisi e torni
a crescere, libero da zavorre, dobbiamo tutti – come cit-
tadini democratici in nome dello Stato – mettercela tutta.
Peraltro, è giusto uscire da questo nostro incontro – e
non per formale omaggio a riti retorici – con un messag-
gio positivo: perché si sta diffondendo, io credo, in Italia
un senso di insofferenza per il trascinarsi di vecchi assetti
strutturali e di potere, e insieme di determinazione, for-
te come da lungo tempo non si vedeva, a non fermarsi
per strada nel perseguire riforme e cambiamenti, in va-
ria misura avviatisi.
Infine, il ragionamento che ho svolto finora si è concentrato
su quel che di peculiare presentano le difficoltà drammati-
camente avvertite nel nostro Paese da famiglie, imprese,
lavoratori, giovani. Ma non possiamo certo dimenticare il
mondo in cui siamo immersi. Perché siamo osservatori e
attori di un periodo tra i più complessi e problematici del-
le relazioni internazionali degli ultimi decenni.
Dinanzi a esso – lasciate che torni su quanto ho appena
detto all’apertura dell’incontro Asia-Europa a Milano – “la
priorità non può non essere data a un intenso e coordinato
impegno per lo spegnimento di focolai di guerra e di ten-
sione, per il superamento di conflitti armati e di minacce
di violenza, che ben conosciamo e che abbiamo visto di
recente emergere anche in forme di inaudita aggressività
e barbarie con l’offensiva del cosiddetto Isis. Nessuno di
noi può sottrarsi a risposte le più ferme di fronte alle mi-
nacce incombenti, né a una paziente tessitura di soluzioni
politiche e diplomatiche rispetto a vecchi e nuovi conten-
ziosi tra Stati e dinanzi a scontri dissolutivi all’interno di di-
versi paesi. Nello stesso tempo l’imperativo più scottante
che oggi richiede il massimo di sforzi da parte dell’Asem
è quello di superare i danni e le persistenti implicazio-
ni della crisi finanziaria ed economica mondiale iniziata
nel 2008 e di rimuoverne le cause, i rischi di sue ripeti-
zioni nel futuro. Dai paesi asiatici più dinamici e in forte
crescita sono venuti negli anni scorsi contributi preziosi
per controbilanciare sul piano mondiale il peso della crisi
del debito sovrano e delle sue conseguenze nell’Eurozo-
na, dei fenomeni recessivi e degli arretramenti produttivi
e occupazionali determinatisi in molte parti d’Europa. Ma
di certo all’Unione europea tocca ora imboccare la stra-
da di politiche più favorevoli alla crescita, anche perché
– nonostante indubbie differenze nel suo seno – è l’Euro-
pa nel suo insieme che accusa i colpi di una tendenziale
stagnazione se non deflazione”.
Caro D’Amato, ho molto apprezzato la sua passione euro-
peista, il suo impegno a delineare concretamente la svol-
ta necessaria per fare assumere all’Europa una strategia
di rinnovamento al suo stesso interno e di impulso al rin-
novamento dell’intero quadro mondiale. Mi auguro che
questa passione e questo impegno contagino fruttuosa-
mente tutto il mondo dell’impresa e del lavoro. 
E si può oggi, da parte di tutti noi, cogliere con non re-
torica soddisfazione quel che di nuovo e di sensibile alle
istanze sostenute dall’Italia come Presidente di turno del
Consiglio Europeo, quel che di nuovo sta per essere san-
cito – e crediamo di non essere smentiti di qui a domani
– nelle conclusioni del Consiglio europeo che ne discute-
rà già a partire da questo pomeriggio.
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