Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2014 - page 45

CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2014
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INCHIESTA
Occorre che il passaggio delle competenze che dovranno
andare, a seconda dei casi alle Regioni e ai Comuni, sia
accompagnato da un ragionamento condiviso sul perso-
nale e sulle risorse. Non vorrei che una politica economica
imperniata troppo sui tagli lasciasse poi amare sorprese
– si tratti di una Regione o di un Comune – a chi poi sarà
chiamato a rispondere di quella competenza.
Si tratta di problemi seri come quelli delle funzioni di area
vasta, su cui è bene che le istituzioni si confrontino in
modo approfondito proprio perché riguardano i cittadini.
Il riordino dei poteri locali porterà a una riduzione del-
la spesa pubblica?
Credo che queste scelte ci consentiranno di razionalizza-
re la spesa pubblica. A un patto, però.
Quale?
Che lo Stato riapra il “rubinetto” delle risorse per gli inve-
stimenti, soprattutto se riuscirà a vincere qualche batta-
glia a Bruxelles per svincolare, in tutto o in parte, questo
genere di risorse dai vincoli del Patto di stabilità.
Regioni e Comuni sono spesso accusati di sperperare
risorse pubbliche attraverso le società partecipate, che
il Governo intende ridurre da 8mila a mille. Alla luce
della sua esperienza, queste società sono uno strumen-
to utile da rimodernare o semplicemente da abolire?
La razionalizzazione delle società partecipate è un obiet-
tivo che non è più rinviabile, ma non riguarda solo Re-
gioni e Comuni, deve coinvolgere anche il livello statale.
Il federalismo è stato unamoda o un’opportunità sprecata?
Il federalismo ha rappresentato nel nostro Paese più un
approccio culturale e politico. Certi ragionamenti hanno
perso vigore nel momento stesso in cui sono diventati
il vessillo di fazioni politiche, anche perché l’assetto isti-
tuzionale del nostro Paese non è certo di tipo federale.
Oggi dobbiamo gestire l’eredità di quegli anni e di quei
ragionamenti e credo che il raffreddarsi delle polemiche
politiche su questi temi possa portarci a compiere scelte
più oculate e forse anche più federaliste di tanti, troppi
proclami che abbiamo registrato in passato.
C’è chi propone una riduzione del numero delle Regioni
con l’accorpamento delle più piccole. Cosa ne pensa?
Credo sia una tema da affrontare almeno in termini di
dibattito politico e culturale. Non penso, però, che possa
rientrare nel paniere delle scelte costituzionali che stia-
mo proponendo in questi mesi. Certamente occorre fare
passi in avanti sul piano dell’autoriforma delle istituzioni
regionali e sono convinto che il rafforzamento di alcune
esperienze interregionali già in essere – sia a livello na-
zionale che a livello europeo – possa facilitare il cammi-
no in questa direzione.
Le riforme istituzionali vengono generalmente perce-
pite come riforme dallo scarso impatto sull’economia
e sulla vita dei cittadini e delle imprese. Quali esempi
farebbe per far cambiare idea agli italiani?
È proprio questo il pericolo che dobbiamo evitare. Le rifor-
me non vanno fatte per ripagare l’amor proprio di qual-
che tecnocrate o di qualche esperto di diritto. Vanno fat-
te perché servono ai cittadini.
Il metro con cui dobbiamo guardare alle riforme è, come
dicevo, quello dell’interesse dei cittadini e delle imprese,
soprattutto in questo periodo in cui stiamo vivendo una
difficile fase di crisi economica.
Però di una cosa sono convinto: se riusciamo a semplifica-
re il quadro superando il bicameralismo perfetto, creando
un Senato che rappresenti i territori e che si occupi dello
sviluppo di questi ultimi, se razionalizziamo il quadro dei
livelli istituzionali articolando al meglio la Repubblica fra
centro e periferia, attribuendo in modo puntuale le com-
petenze legislative, avremo compiuto un buon lavoro che
i cittadini per primi sapranno riconoscere.
Sergio Chiamparino
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