Civiltà del Lavoro, n. 2/2015 - page 59

OPINIONE
CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2015
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Non so se i generali degli Stati Maggiori prussiano e au-
stroungarico avessero letto la “Guerra del Peloponneso”
di Tucidide, che fu coevo all’epoca dei fatti narrati; pro-
babilmente l’avevano letta appartenendo a due paesi in
quel periodo fra i più colti d’Europa, però è evidente che
non ne avevano tratto alcun insegnamento.
Infatti, nel 415 a.C., esattamente 2400 anni fa, Atene ave-
va la supremazia in Grecia, ma volle sviluppare la sua po-
litica di potenza nel Mediterraneo, aggredì Siracusa in Si-
cilia e fu la sua rovina perché perse anche il suo ruolo in
Grecia a favore di Sparta.
Così è stato nella prima guerra mondiale, primo atto di
quella tragedia che si sarebbe conclusa venti anni dopo
con l’inizio seconda guerra mondiale, suscitata dalla me-
desima cultura della politica di potenza, ma con esiti an-
cora più gravi per l’Europa tutta.
In Italia gli anniversari, che attengono alla nostra storia,
vengono spesso dimenticati o visti con insofferenza; di-
pende forse dal fatto che la nostra storia – anche se pen-
siamo soltanto al periodo che inizia con le guerre di Ri-
sorgimento e giunge fino al secondo conflitto mondiale
– ha visto l’Italia attrice di avvenimenti prevalentemente
drammatici; dopo il secondo anno di guerra nel 1917 si
ebbe il disastro di Caporetto, un evento tale che la parola
stessa è divenuta, ormai anche in altre lingue, significato
di disfatta o di sbandamento anche morale.
Se lo Stato Maggiore italiano avesse avuto nervi saldi, Ca-
poretto avrebbe potuto essere soltanto una ritirata strate-
gica manovrata, invece si perse la testa, i soldati furono
abbandonati a se stessi e il generale Pietro Badoglio, re-
sponsabile di quel settore, scomparve per tre giorni, poi
si ripresentò a Padova, nuova sede del Comando Supre-
mo, e si ritrovò alcuni giorni dopo promosso Sottocapo di
Stato Maggiore Generale, quando invece avrebbe dovuto
essere sottoposto alla Corte Marziale.
In quel frangente il generale Luigi Cadorna non fu all’al-
tezza del suo ruolo di Capo dell’Esercito; volle scaricare di
responsabilità lo Stato Maggiore e imputò la colpa di Ca-
poretto ad alcuni reparti della II° armata, mentre gli stes-
si soldati poco tempo dopo si batterono eroicamente sul
Piave e sul Grappa fino alla vittoria.
I corsi e ricorsi di Gian Battista Vico si ripeterono venti-
cinque anni dopo; lo stesso generale Badoglio divenuto
Maresciallo d’Italia e Capo del Governo, il 9 settembre del
1943, fuggì da Roma senza lasciare disposizioni all’eser-
cito, che inevitabilmente si dissolse; anche allora avem-
mo una seconda e più grave Caporetto.
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Nella sua storia l’Italia si è trovata più volte in situazioni
“Caporetto”: non soltanto militari perché, anzi, queste sono
state invece la dolorosa ed evidente conseguenza di ne-
gative condizioni morali e politiche suscitate dai compor-
tamenti di taluni membri della nostra classe dirigente, che
tenta sempre di scaricare le responsabilità sui gregari.
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Aureliano Benedetti
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