Civiltà del Lavoro, n. 6/2014 - page 19

CIVILTÀ DEL LAVORO
VI • 2014
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Quando si dice startup, si pensa subito al settore dell’Ict.
È un luogo comune oppure nascono soprattutto in quel
campo? E perché?
Le startup sono specifiche del settore Ict perché sono tut-
te ad alto tasso di innovazione digitale: pensate al mondo
dello sharing on-line o a quello delle app. L’Italia, inve-
ce, ha una grande tradizione di ingegno tecnologico che
riguarda l’innovazione nella produzione di macchine per
produrre, come nella migliore tradizione leonardesca. In-
gegno che è crea-
tività applicata e
che deve oggi mi-
surarsi anche nel
mondo immateria-
le della web eco-
nomy e dello sha-
ring.
Da Airbnb, che na-
sce dall’idea di un
italiano, agli algo-
ritmi di Google,
stiamo parlando di
una dimensione di
business che vie-
ne plasmata dalle
opportunità dell’e-
conomia digitale,
che non prevede
la produzione di
prodotti in serie
ma piuttosto l’at-
tivazione di nuove
esperienze di vita.
La rete come un si-
stema che si auto-
organizza attraverso mercati che attraversano i suoi no-
di, diventa la dimensione di riferimento, senza escludere
la capacità di realizzare manufatti e distribuirli nel modo
più tradizionale, utilizzando il retail classico.
Nelle sue analisi parla di “Italian Factor”, concetto al
quale ha dedicato un libro. In che modo può riguar-
dare anche le startup?
L’italian Factor, e cioè la capacità tutta italiana di mette-
re a frutto il nostro talento inventivo e l’ingegno applica-
to che ci arriva dai geni del Rinascimento ma anche dai
designer/architetti degli anni ‘60, può riguardare le star-
tup soprattutto nell’integrazione dei prodotti belli, elegan-
ti, distintivi che già siamo in grado di realizzare, con ser-
vizi e applicazioni che l’economia digitale rende possibile.
L’on-line e l’off-line non sono più in alternativa, ma sempre
più spesso tendono a convergere in una unica dimensio-
ne innovativa. È su questo terreno di incontro che dovremo
giocare la nostra partita in futuro, nella relazione tra l’utile
e il bello, con un occhio sempre molto attento alla qualità
della vita.
Per mestiere in-
contra tantissimi
imprenditori. Se-
condo la sua espe-
rienza, c’è un’età o
è necessaria una
formazione speci-
fica per creare una
startup?
Io credo che la ge-
nerazione dei grandi
imprenditori italia-
ni, dei Del Vecchio
e dei Ferrero, ormai
ultraottantenni, deb-
ba incontrarsi con i
manager 40/50enni
e con i nativi digita-
li, ancora più giova-
ni, per definire quel
mix magico di com-
petenze, passioni ed
esperienze che per-
metterà all’Italia di
riprendere la corsa
verso una crescita felice, come propongo nel mio ultimo li-
bro appena pubblicato che ha proprio questo titolo: “Crescita
Felice”. Le startup vengono create inevitabilmente da gio-
vani entusiasti, che sperano in questo modo di potersi af-
fermare, in un panorama che da decenni si dimostra chiuso
e impermeabile nei confronti delle loro passioni e compe-
tenze. Più che di formazione specifica c’è quindi bisogno
di apertura mentale, forte motivazione e capacità di inte-
ragire con interlocutori che possano integrare in termini di
competenza e specificità il business model che ogni star-
tup deve essere in grado di elaborare.
(s.t.)
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