Civiltà del Lavoro, n. 2/2015 - page 17

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2015
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Annunciare un volume complessivo di investimen-
ti per 315 miliardi di euro non rischia di creare trop-
pe aspettative?
No, perché il piano si basa su analisi certificate della Bei.
Perché dovrei ridurre le aspettative su uno strumento che
va finalmente nella giusta direzione e il cui funzionamen-
to è comprovato da operazioni finanziarie precedenti? Non
è il tempo del dubbio, è il momento di lavorare per favo-
rire gli investimenti.
La Corte dei Conti dell’Unione europea ha espresso
alcune perplessità a proposito della bozza di regola-
mento del Feis. Cosa ne pensa?
La Corte dei Conti dovrà fare una valutazione a valle del
Piano Juncker, non deve esprimere un giudizio a monte.
In questa fase, infatti, è preferibile basarsi su chi opera
sul mercato, e nella fattispecie la Bei, i cui tecnici hanno
fatto delle valutazioni che vanno nella direzione opposta
rispetto alla Corte dei Conti.
Per quanto riguarda l’Italia, un ruolo di primo piano
spetterà alla Cassa Depositi e Prestiti. Quali funzioni
avrà e che tipo di investimenti saranno promossi sot-
to la sua egida?
La Cassa Depositi e Prestiti italiana e soggetti equivalen-
ti come le banche regionali di sviluppo in Germania e in
Francia possono svolgere un ruolo attivo all’interno del
Piano Juncker, ovvero utilizzarlo come catalizzatore per
una politica di investimenti più ampia: questo è un aspet-
to sul quale abbiamo molto insistito in fase di negoziato.
Tali soggetti possono, infatti, contribuire finanziando di-
rettamente piattaforme e progetti, che dovranno benefi-
ciare delle garanzie della Bei attraverso il Feis e saranno
soggetti alla valutazione degli organi preposti.
La Cdp investirà 8 miliardi, la stessa cifra arriverà da Fran-
cia e Germania, mentre la Spagna ha annunciato un mi-
liardo e mezzo.
I 21 miliardi di euro iniziali, dunque, sono già diventa-
ti molti di più.
Un altro importante principio stabilisce che le risorse pub-
bliche aggiuntive che un governo decide di investire nel
Piano Juncker non vengano computate ai fini del calcolo
del debito pubblico.
Si tratta di un ulteriore tassello che dimostra l’approccio
più flessibile alle questioni economiche e che punta a fa-
cilitare il più possibile gli investimenti per la crescita e
l’occupazione.
Con quali criteri e da quali organi saranno scelti gli in-
vestimenti da finanziare in Italia attraverso le risorse
provenienti dal Piano Juncker?
Il piano poggia su una logica di partenariato pubblico-pri-
vato ed esclude una selezione su base nazionale. I pro-
getti saranno selezionati da un comitato di economisti in-
dipendenti, fra i quali abbiamo chiesto e ottenuto che vi
siano esperti non solo di finanza ma anche di economia
dello sviluppo. I progetti dovranno essere in linea con gli
obiettivi indicati dal piano e vertere dunque in una delle
seguenti quattro aree: innovazione tecnologica digitale,
energia, infrastrutture, istruzione, formazione e ricerca.
Poiché l’obiettivo è attrarre gli investitori privati – pensia-
mo ai fondi di investimento internazionali – incanalando
l’enorme liquidità disponibile oggi sul mercato, è fonda-
mentale che siano ben fatti e che dimostrino di essere
potenzialmente redditizi. Oltre a questo, saranno privile-
giate quelle iniziative che riguardano i settori con il mag-
gior gap di investimenti e i settori più esposti al fallimento
del mercato, un criterio quest’ultimo che abbiamo chie-
sto noi di inserire.
In Italia quali settori coinvolgerebbe?
Certamente le infrastrutture. A nostro avviso è chiaro che il
Piano Juncker debba partire da quei territori che presentano
i maggiori divari rispetto alla media europea e questo cri-
terio – a valle – potrebbe favorire alcune regioni italiane.
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