Civiltà del Lavoro, n. 2/2015 - page 19

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2015
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Come governo italiano abbiamo inoltre insistito affinché
tra i progetti finanziabili possano essere incluse anche
iniziative che coinvolgano paesi vicini. Per noi, infatti, è
importante avviare progetti infrastrutturali energetici nel
Mediterraneo e nei Balcani.
L’obiettivo di fondo del Piano Juncker è stimolare l’addi-
zionalità degli investimenti, cioè assicurare investimenti
aggiuntivi che senza il piano non sarebbero mai partiti.
Quali altri interventi o riforme, a suo avviso, dovreb-
bero accompagnare il Piano Juncker affinché nel no-
stro Paese si possano gettare le basi di una vera ri-
presa economica?
Procedere con quello che stiamo facendo: semplificare le
procedure burocratiche, procedere con la riforma della giu-
stizia civile e commerciale, fare scelte chiare sulla politica
industriale e coerenti con gli obiettivi che si è data l’Europa.
Tutto questo è un modo per preparare il terreno affinché
il Piano Juncker possa avere successo in Italia.
Riguardo la Pubblica amministrazione, ad esempio, abbia-
mo scelto di raddoppiare l’assistenza tecnica per le am-
ministrazioni locali in relazione alla programmazione dei
fondi strutturali 2014-2020.
Dalla capacità progettuale delle nostre amministrazioni
dipenderà infatti anche la possibilità di beneficiare delle
risorse del piano.
La questione del Regolamento sul “Made in” resta
aperta. Dopo l'approvazione dell'Europarlamento era
stata ventilata l'ipotesi di stralciare l'articolo 7, che
stabilisce l'obbligo di indicare l'origine del prodotto.
Cosa farà l'Italia?
Quando il Parlamento europeo ha votato la norma, lo ha
fatto nella piena consapevolezza che la maggioranza dei
governi fosse contraria. Il Parlamento ha certamente vo-
luto marcare una posizione avanzata – e favorevole all’I-
talia – ma va anche tenuto presente che si trattava di uno
degli ultimi atti che compiva primo del suo scioglimento
in vista delle elezioni. Il nostro sforzo è stato evitare pri-
ma di tutto che si formasse una maggioranza qualificata
favorevole alla soppressione dell’articolo. Abbiamo lavora-
to inoltre per identificare alcuni settori nei quali si potreb-
be inizialmente applicare la normativa e abbiamo anche
proposto di introdurre una clausola che prevede una ve-
rifica del funzionamento della norma dopo cinque anni.
Eppure una disciplina di tutela del “Made in” sarebbe più
che necessaria, specie in questo momento in cui stiamo
negoziando per il trattato di libero scambio con gli Stati
Uniti, che al loro interno hanno in vigore una tutela simile.
Benché oggi l’ipotesi dello stralcio dell’articolo 7 non sia
più sul tavolo, resta la forte opposizione della maggioran-
za dei governi. Siamo 28 membri e l’Italia ha il consenso
di 9 paesi. La strada resta dunque in salita.
Silvia Tartamella
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